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L’anziano istituzionalizzato: il vissuto psicologico e l’importanza di attività cognitive e relazionali

L'ingresso in una struttura per anziani comporta reazioni psicologiche diverse in base a numerosi fattori personali e oggettivi.

Di Federica Aloisio

Pubblicato il 05 Lug. 2019

Per gli anziani l’ingresso in una struttura, come in una casa di riposo, è uno degli eventi più delicati e difficili dell’intera vita, sia per le ripercussioni sull’equilibrio della persona, che ricorre a questa soluzione per fronteggiare una situazione di bisogno, spesso non per una scelta personale, sia perché rappresenta un cambiamento radicale di vita sia per l’ anziano che per la famiglia.

Federica Aloisio – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi, San Benedetto del Tronto

 

Recenti statistiche hanno confermato un dato già da tempo noto all’opinione pubblica: la popolazione italiana sta rapidamente e progressivamente invecchiando. I dati statistici evidenziano che, ad oggi, gli ultrasessantacinquenni costituiscono il 22% della popolazione italiana ed è in aumento anche il numero dei “grandi anziani”, cioè di coloro che si avvicinano al secolo di vita (Pugliese, 2011).

Il progressivo invecchiamento della popolazione ha inevitabilmente portato la ricerca scientifica e quindi anche quella psicologica, a concentrarsi su questa fase della vita, con l’obiettivo di contrastare l’eccessiva medicalizzazione dell’invecchiamento.

Questo significativo cambiamento a livello demografico richiede infatti di rivedere il problema dell’invecchiamento della popolazione non solo in chiave economica e assistenziale, ma anche educativa, in particolare di coloro che, per necessità o per scelta, vivono in strutture di accoglienza (Censi et al., 2013). Sono infatti molti gli anziani non più autosufficienti che non possono vivere senza assistenza e che per ragioni diverse essa non può essere fornita direttamente dai familiari. Pertanto un numero crescente di famiglie si rivolge ai servizi domiciliari, residenziali o semi-residenziali per la cura di un familiare anziano; ciò fa sì che le strutture che erogano tali servizi sono destinate ad ampliarsi, trasformarsi e qualificarsi.

Entrare in casa di riposo: gli effetti dell’istituzionalizzazione sugli anziani

Quando si parla di istituzionalizzazione si intende la necessità di ricoverare l’ anziano in strutture residenziali assistenziali e/o di cura a lungo termine.

L’ingresso di un anziano in una struttura, come in una casa di riposo, è uno degli eventi più delicati e difficili dell’intera vita, sia per le ripercussioni sull’equilibrio della persona, che ricorre a questa soluzione per fronteggiare una situazione di bisogno, spesso non per una scelta personale, sia perché rappresenta un cambiamento radicale di vita sia per l’ anziano che per la famiglia.

Il trasferimento in una collettività risulta stressante anche laddove ci sia una diretta scelta della persona e anche quando le nuove condizioni di vita siano migliori di quelle che vengono lasciate dietro alle spalle. Infatti, occorre tenere in considerazione che molti anziani prima dell’ingresso nella residenza vivono da soli, in condizioni di forte disagio e di solitudine estrema: in questi casi le conseguenze dell’istituzionalizzazione non sono solo di carattere negativo, come troppo spesso viene immaginato. In questi casi l’ingresso a medio e lungo termine in una casa di riposo può essere vissuto in modo positivo dall’ anziano, con un senso di sicurezza dato sia dall’assistenza sanitaria che da nuove occasioni di contatti sociali, e che tutto questo favorisce il miglioramento generale dello stato di salute.

In generale però l’entrata in una struttura per anziani può comportare una perdita di autonomia dello spazio decisionale della persona e delle sue motivazioni che, sommata alla serie di perdite fisiologiche dovute all’ invecchiamento, può innescare una serie di reazioni a catena in senso peggiorativo.

Inserirsi in una struttura per anziani comporta reazioni psicologiche diverse in base a numerosi fattori personali ed oggettivi. Il vissuto psicologico durante l’istituzionalizzazione può essere suddiviso in tre fasi (Pedrinelli Carrara, 2016):

  1. il ricovero: in questa fase, le ripercussioni psicologiche sono strettamente collegate alla causa e al modo attraverso il quale l’ anziano è entrato nella struttura.
  2. la sindrome del primo mese: si riferisce ad un problematico adattamento dell’ anziano nella nuova residenza (il tempo di un mese è indicativo). Può succedere che egli abbia determinate reazioni come la confusione mentale, l’agitazione, l’apatia, il rifiuto e l’ostilità per la perdita del proprio ambiente di vita nel vedere limitata la propria libertà individuale. I vissuti emotivi negativi legati all’adattamento nella struttura, quindi, possono influenzare le prestazioni cognitive dell’ anziano producendo uno stato di confusione e rallentamento mentale.
  3. l’accomodamento: dopo la crisi del primo mese, si può osservare nell’ anziano un recupero delle condizioni di salute antecedenti il ricovero oppure un progressivo deterioramento.

Possibili fattori di stress

Tra i fattori che nell’insieme possono innescare il deterioramento ci sono: l’inadeguatezza dell’assistenza e il contesto ambientale, i conflitti familiari, le caratteristiche di personalità dell’ anziano, il vissuto psicologico circa le compromissioni a livello fisico e/o mentale, la tipologia e la severità delle patologie presenti. Al contrario, una personalità ottimista, reattiva, socievole e facilmente adattabile, con una buona tolleranza dei propri limiti psicofisici e di quelli dati dai deficit organici, in un contesto comunitario ben organizzato e con buone relazioni familiari, avrà con maggiore probabilità un accomodamento positivo (Pedrinelli Carrara, 2016).

I fattori principali che possono rendere il trasferimento in una struttura come un evento stressante sono: la minaccia allo spazio personale dell’individuo; la rottura non solo dell’attaccamento a un luogo ma anche delle relazioni familiari, amicali e di vicinato; la possibile compresenza di altre fonti di stress, come la vedovanza e l’insorgere di malattie d’invalidità; la socializzazione forzata con gli altri ospiti e la mancanza di controllo sulle proprie attività, a cominciare dagli orari delle normali routine quotidiane.

Anche per il familiare la fase di inserimento di un proprio caro in una struttura non è certamente facile: il problema principale è il senso di colpa che spesso provano come se si trattasse di un abbandono a danno dell’ anziano. Tutto ciò va affrontato affinchè venga facilitato l’adattamento dell’ anziano in struttura: gli elementi positivi apportati dal ricovero non devono essere percepiti solo dall’ anziano, ma anche dai suoi familiari, che devono considerare la struttura come una fonte di stimoli e come un’occasione per conferire al proprio caro una ritrovata dignità personale.

Come facilitare l’ingresso dell’ anziano in casa di riposo

È necessario quindi far comprendere all’ anziano e ai familiari che il trasferimento all’interno di una struttura residenziale non comporta la perdita né della propria autonomia, né della propria identità.

È importante, per quanto possibile, anticipare all’ anziano le informazioni relative alla struttura in cui andrà ad inserirsi, mostrandogliela, al fine di fargli comprendere lo stile di vita che adotterà, con regole, orari, attività e spazi differenti (Baroni, 2010).

Per facilitare l’ingresso dell’ anziano e favorire un buon adattamento, a medio e lungo termine, le residenze per anziani devono avere delle caratteristiche decisive. Ad esempio dovrebbero avere dimensioni contenute allo scopo di favorire il mantenimento di rapporti interpersonali di tipo familiare e il rispetto delle esigenze individuali dei singoli ospiti; è necessario inoltre per l’ anziano che l’ambiente risponda ai suoi bisogni, ovvero che sia un ambiente facilitante, al fine di rispondere alle necessità del soggetto.

Alcuni autori sostengono che buoni fattori di adattamento all’interno di una casa di riposo sono la soddisfazione residenziale, nei suoi aspetti fisici e sociali; il senso di autonomia; il supporto ambientale; la percezione del proprio stato di salute. Per sostenere tali fattori, sarà necessario creare spazi di privacy e semiprivacy, al fine di creare un ambiente protetto e intimo (Nenci, 2003).

Risulta, inoltre particolarmente importante l’aspetto architettonico della struttura, considerando sia l’interno che l’esterno dell’ambiente. Per l’interno può essere importante per l’ anziano il poter personalizzare la propria stanza da letto, al fine di favorire il mantenimento di una propria identità in un’abitazione inizialmente sconosciuta. Va ricordato a tal proposito che “all’interno di una struttura residenziale, in cui gli spazi sono utilizzati in maniera comunitaria, lo spazio privato rappresenta per l’ anziano il proprio domicilio” (Nenci, 2003).

Gli elementi sociali che influiscono su una buona valutazione residenziale comprendono la percezione di un supporto sociale e di relazioni affettive di aiuto, garantito sia dalle interazioni che l’ anziano riesce a sviluppare con gli altri residenti, sia con il personale della stessa struttura.

È inoltre particolarmente importante il costante supporto della famiglia e la continuità delle altre relazioni preesistenti con l’esterno: l’ anziano non deve sentirsi abbandonato dal caregiver e dai propri affetti, ma deve essere accompagnato in questa fase delicata della propria vita.

Per supplire il più possibile ai limiti dell’istituzionalizzazione, diventa necessario rispondere non soltanto ai bisogni assistenziali, ma anche a quelli socio-culturali, ricreativi ed educativi, organizzando attività di mantenimento cognitivo nonché momenti ludici, creativi e terapeutici. La persona anziana istituzionalizzata ha bisogno di ritrovare stimoli diversi, di essere sollecitata agli scambi sociali, di trovare un momento per sé da condividere con gli altri, di vivere momenti allegri insieme agli altri ospiti e ai familiari (Pedrinelli Carrara, 2013).

Alla luce di queste riflessioni negli ultimi anni stiamo assistendo infatti all’abbandono del modello assistenzialistico nelle strutture destinate agli anziani: si punta sempre più sull’invecchiamento attivo, sulla prevenzione, sul mantenimento delle autonomie, sulla riabilitazione che impedisce l’aggravamento di alcuni stati psico-fisici, sul mantenimento delle relazioni sociali e delle capacità creative.

Quali attività proporre agli anziani e perché

Sono numerose le attività che si possono proporre all’interno delle residenze per anziani: attività espressivo-relazionali, attività informativo-culturali, manuali e di vita quotidiana, attività di stimolazione cognitiva (Presenti, 2013).

Le attività con gli anziani sono principalmente di gruppo, in quanto tale relazione stimola la socializzazione e la cooperazione.

Le attività, per essere efficaci, devono essere personalizzate, cioè adattate alla necessità del singolo utente, al suo modo di essere, di pensare, alle sue possibilità e capacità cognitive (Taddia, 2012).

L’obiettivo principale è il potenziamento e/o il mantenimento delle abilità e delle risorse residue: per tale motivo ogni attività non è fine a se stessa, ma è determinata a stimolare abilità cognitive quali il linguaggio, l’attenzione, la percezione, la memoria e il ragionamento.

L’area affettiva relazionale viene promossa attraverso una serie di attività sociali (giochi, feste, incontri) che prevedono l’interazione, la socializzazione e la collaborazione fra i diversi soggetti coinvolti, al fine di stabilire un legame con le persone e allo stesso tempo mirando al miglioramento delle capacità cognitive della persona.

Un principio cardine per chi lavora in queste strutture per anziani e svolge attività cognitive e relazionali rivolte a questa fascia di età è quello di considerare la persona anziana nella sua globalità e unicità della sua storia, al fine di poter offrire ad ognuno un adeguato livello di cura e assistenza. Tali aspetti non vanno considerati separati dalla condizione fisica, psichica e relazionale: ogni intervento deve essere pensato e attuato attraverso un’ottica multidimensionale e multifattoriale.

Ad incrementare la qualità del lavoro presso una struttura per anziani è la presenza di varie figure professionali che interagiscono con l’anziano ospite. La figura dello psicologo che opera all’interno delle residenze per anziani costituisce una risorsa nella prospettiva di un’assistenza che pone la persona al centro dell’organizzazione promuovendo sia i bisogni sanitari che sociali, emotivi e relazionali. In particolare, lo scopo del servizio psicologico è quello di favorire e promuovere il “ben-essere” e lo “stare bene” degli ospiti anziani. Nel perseguire questi obiettivi lo psicologo può intervenire con diverse competenze: valuta gli aspetti cognitivi (memoria, attenzione, ragionamento, linguaggio…) che possono essere investigati mediante l’uso di strumenti diagnostici che consentano di programmare un intervento di sostegno e mantenimento delle abilità cognitive e relazionali e, al contempo, fornisce uno spazio di accoglienza, aiuto ed ascolto per l’ anziano. Indirettamente il lavoro dello psicologo presso una struttura per anziani coinvolge sia i familiari sia gli operatori della struttura stessa agevolando, così, il lavoro interprofessionale.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Baroni, M.R. (2010). I processi psicologici dell'invecchiamento. Carocci.
  • Censi, A., Faltoni, G., Oliva, F., Peruzzi, P., Scortegagna, R. (2013). Imprese sociali per nuovi modelli di residenzialità. Animazione sociale, 269, 39-81.
  • Nenci, A.M. (2003). Profili di ricerca e intervento psicologico-sociale nella gestione ambientale. FrancoAngeli.
  • Pedrinelli Carrara, L. (2016). Attività di animazione con gli anziani. Stimolare le abilità cognitive e socio-relazionali nella terza età. Edizioni Erickson.
  • Presenti, L. (2013). L’attività di animazione nei centri residenziali per anziani. Studium Educationis, (2), 71-80. DOWNLOAD
  • Pugliese, E. (2011). La terza età: anziani e società in Italia. Il Mulino.
  • Taddia, F. (2012). Laboratori di animazione per la terza età. Percorsi socio-educativi. Edizioni Erickson.
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