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Disturbi Specifici dell’Apprendimento, autostima e immagine di sé

Nello studio dei Disturbi Specifici dell'Apprendimento (DSA), numerose evidenze scientifiche hanno dimostrato che le differenze fra i bambini che falliscono o hanno successo a scuola non sono solo di tipo metacognitivo ma anche di tipo emotivo-relazionale, un campo in cui la stima di sé ha un ruolo centrale.

Di Chiara Cucinotta

Pubblicato il 05 Nov. 2018

In una scuola sempre più orientata al voto e alla performance, la prima realtà con la quale i bambini devono misurarsi è quella della valutazione, ma ciò può risultare molto difficile per un bambino con un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA) poiché, nonostante studi come o più dei suoi compagni, fatica ad arrivare ai medesimi risultati.

 

Prima di addentrarsi nei sentimenti e nelle percezioni di sé di un bambino con Disturbi Specifici dell’Apprendimento è utile ricordare che questi ultimi hanno una base neurobiologica, cioè rappresentano una diversa modalità di apprendere che si discosta dal modello dominante scolastico.

Il bambino è intelligente, non ha disfunzioni cognitive, tuttavia alcune alterazioni dei processi di automatizzazione fanno sì che prediligano apprendimenti di tipo spaziale-esperienziale piuttosto che verbale-mnemonico. Anche i tempi di apprendimento sono sensibilmente diversi da quelli standard imposti dal ritmo scolastico. Tutto ciò porta a delle serie difficoltà che il bambino si troverà a dover affrontare a scuola per raggiungere la tanto sognata sufficienza. Numerose evidenze scientifiche, infatti, hanno dimostrato che le differenze fra i bambini che falliscono o hanno successo a scuola non sono solo di tipo metacognitivo, ma anche di tipo emotivo-relazionale, un campo in cui la stima di sé ha un ruolo centrale.

Scuola ed immagine di sé

Il contesto scolastico, nel momento storico in cui viviamo adesso, è estremamente incentrato sulle performances. Ciò implica che la prima realtà con la quale i bambini devono misurarsi è quella della valutazione, ossia del voto. Questo meccanismo è terribile per un bambino che, nonostante studi come o più dei suoi compagni, non riesca ad arrivare ai medesimi risultati. L’ipotesi più plausibile è che il bambino, non avendo comprensione di questo fenomeno, inizi a pensare di non essere all’altezza dei suoi compagni, di essere mancante in qualcosa, mettendo in discussione la propria immagine di sé.

Spesso questa percezione di se stessi diventa talmente pregnante nell’organizzazione identitaria del bambino che può cominciare a generalizzarsi, manifestandosi non solo a scuola, ma anche in contesti extra-scolastici, allargandosi ad i vari contesti sociali. Quando ciò accade comincia a delinearsi un profilo caratterizzato da bassa autostima, in cui “io sono il voto che mi danno” diventa l’imperativo mentale dominante e la percezione di poter rimediare ad un insuccesso diventa sempre più sfocata.

È interessante notare, ad esempio, che i bambini con dislessia stimano talmente negativamente le proprie capacità e le loro possibilità di poter imparare a poter leggere più velocemente da adottare strategie che mirino ad “obiettivi di apprendimento” piuttosto che all’apprendimento in sé. Il più noto fra questi è la tendenza a completare le parole in base alla loro accessibilità dopo aver indentificato le prime sillabe, evitandone così la lettura completa (ad es. alla lettura di “Pan…” si completa automaticamente con “Panettiere”, quando magari la parola in questione era “pantofola”). I bambini dislessici diventano particolarmente abili ad utilizzare questo tipo di strategie compensatorie, aumentando così la loro tendenza ad attribuire all’esterno le cause dei loro successi e sperimentando sentimenti di disperazione e frustrazione ad ogni fallimento.

A completare il quadro di bassa autostima si aggiungono commenti di genitori ed insegnanti che, quando non hanno ben chiaro il quadro clinico del DSA, si lasciano andare a frasi come “Non si impegna”; “potrebbe fare di più”, etc. Queste affermazioni sono molto pesanti da metabolizzare per un bambino che ha imparato che anche il massimo dei suoi sforzi non è nemmeno lontanamente abbastanza per gli standard scolastici. Ciò accade perché anche queste frasi si muovono all’interno della semantica del giudizio, categoria che questi bambini hanno cominciato a temere. I bambini con DSA, infatti, mostrano alti livelli d’ansia per le situazioni che prevedono una valutazione (come un compito o un’interrogazione) tali da comprometterne la prestazione (Lufi, Okasha, Cohen, 2004).

Il vero nemico

Quando il bambino attiva un atteggiamento rinunciatario nei confronti della scuola, non tenta più di riuscire nei compiti giustificandosi con “tanto non sono capace”; è probabile che sia entrato nel circuito dell’impotenza appresa.

Seligman, psicologo statunitense, diede questo nome a quella sensazione di sfiducia che ci assale quando in passato siamo stati messi di fronte a situazioni simili a quella che stiamo affrontando al momento attuale, fallendo. L’equazione che scatta all’interno è qualcosa simile a “non dipende da me, non ci posso far nulla, non ci provo nemmeno”. Questa sensazione è il vero nemico dei DSA. Non le difficoltà di lettura, scrittura o calcolo (che ricordiamo, possono essere affrontante efficacemente con un buon potenziamento e con l’utilizzo degli strumenti compensativi–dispensativi), ma proprio la convinzione radicata che nulla potrà essere fatto per cambiare la situazione in cui ci si trova.

Inoltre quando questo tipo di atteggiamento porrà il bambino di fronte all’ennesimo insuccesso, questo verrà interpretato come prova della propria inadeguatezza e della propria incapacità, alimentando un circolo vizioso da cui è difficile per un bambino uscire da solo.

Cosa possiamo fare quindi?

Innanzitutto ricordiamoci che il voto ha un valore relativo. Un 7 ha un peso diverso se preso da un bambino che in matematica ha sempre avuto 10 rispetto ad un bambino che ha sempre preso 4. La prima cosa da fare, quindi, è uscire dalla gabbia dei voti, noi adulti per primi.

È importante che i bambini con DSA sentano che le loro difficoltà non minano il loro valore.

Insegniamo ai nostri bambini a riconoscere le loro abilità e ad individuare i loro limiti, riconosciamo i loro sforzi e la loro fatica anche quando i risultati non sono quelli che vorremmo e rinforziamo positivamente i loro successi.

Piano piano, riacquisita la fiducia in loro stessi, avranno risultati inediti, tali da mettere d’accordo le logiche del sistema scolastico e quelle del cuore.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Cornoldi, C. (2007). Difficoltà e disturbi di apprendimento. Il Mulino, Bologna.
  • Plummer, D. (2002). La mia autostima. Attività di sviluppo personale per una buona immagine di sé. Ed. Erickson, Trento.
  • Pope, A., McHale, S., Craighead, E. (1992). Migliorare l’autostima. Un approccio psicopedagogico per bambini e adolescenti. Ed. Erickson, Trento.
  • Sideridis, G.D. (2003). On the origin of helpless behavior of students with learning disabilities: avoidance motivation? International Journal of Educational Researsch, 39, 497-517.
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