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Le conseguenze della separazione dalla famiglia in bambini istituzionalizzati e migranti

L’ultimo studio condotto dal BEIP ha dimostrato che esistono traiettorie divergenti nello sviluppo dei bambini rimasti in istituto e quelli inseriti in famiglie affidatarie. È difficile il paragone con le case di accoglienza per migranti, ma questi dati fanno riflettere sulle condizioni di affido dei minori migranti.

Di Martina Bandera

Pubblicato il 23 Ott. 2018

Molti bambini migranti sperimentano esperienze di abbandono, stress e una bassa stimolazione sociale e cognitiva. Le evidenze dimostrano un reale rischio in termini sociali e psicologici legato alla separazione a lungo termine dai caregivers in questi bambini.

 

Un recente studio, pubblicato su Jama Psychiatry, pone l’attenzione sulla possibilità di sviluppare disturbi psicopatologici associati alla separazione dai familiari, in particolar modo nel periodo di vita adolescenziale.

I risultati dello studio sono rilevanti anche per un aspetto sempre più importante nello scenario sociale contemporaneo: i flussi migratori. Molti bambini migranti sperimentano esperienze di abbandono, stress e una bassa stimolazione sociale e cognitiva. Le evidenze dimostrano un reale rischio in termini sociali e psicologici legato alla separazione a lungo termine dai caregivers in questi bambini.

I dati disponibili derivano dal Progetto di Intervento Precoce di Bucarest che coinvolge i bambini istituzionalizzati negli orfanotrofi rumeni. Il progetto, in inglese Bucharest Early Intervention Project (BEIP) è una collaborazione congiunta tra diverse Università e il Boston Children’s Hospital e si pone come obiettivo principale quello di esaminare gli effetti dell’istituzionalizzazione precoce sullo sviluppo infantile, con particolare attenzione alla crescita fisica, allo sviluppo cognitivo, socio-emotivo e ai legami di attaccamento.

Le prime evidenze mostrano che bambini cresciuti in ambienti istituzionali molto severi, con gravi privazioni sociali e condizioni di abbandono, risultano essere a rischio di problemi cognitivi, depressione, ansia e altri disturbi quali il disturbo della condotta e il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). Tuttavia i dati del progetto hanno anche dimostrato che la situazione può migliorare qualora venga effettuato precocemente un intervento di adozione del bambino.

Gli ultimi dati raccolti

L’ultimo studio condotto dal BEIP ha indagato gli effetti dell’istituzionalizzazione sulla salute mentale dei bambini durante il periodo transizionale dall’infanzia all’adolescenza. I ricercatori hanno esaminato lo sviluppo di 220 bambini: 119 avevano una storia pregressa di istituzionalizzazione, di questi circa la metà è stata collocata poi in famiglie affidatarie.

Agli insegnanti e ai genitori affidatari è stato chiesto di completare un questionario riguardante la salute e il comportamento del bambino all’età di 8, 12 e 16 anni. In particolar modo le varie sottoscale indagavano aspetti quali la depressione, l’ansia, comportamenti oppositivi-provocatori, problemi di condotta, aggressività manifesta e relazionale e sintomi dell’ADHD.

I risultati trovati hanno rivelato che i bambini affidati alle famiglie, rispetto a quelli rimasti in istituto, presentavano meno sintomi psicopatologici e in particolar modo, un minor numero di comportamenti esternalizzanti quali violazioni delle regole, discussione con figure adulte, furto o aggressione tra pari. Queste differenze si riscontravano inizialmente all’età di 12 anni e diventavano maggiormente significative a 16 anni, in piena adolescenza.

Per concludere

Lo studio quindi suggerisce che esistono traiettorie divergenti nello sviluppo dei bambini rimasti in istituto rispetto a quelli collocati presso le famiglie affidatarie: queste differenze si traducono in un minor rischio d’insorgenza di psicopatologia e comportamenti problema durante l’adolescenza nei bambini cresciuti in famiglia.

Anche se le condizioni degli orfanatrofi non possono essere paragonate a quelle delle case di accoglienza per i migranti, i ricercatori ritengono che le evidenze trovate suggeriscano l’importanza dell’unione familiare durante i viaggi di migrazione. Durante i flussi migratori infatti molti bambini, giunti nel nuovo paese vengono separati dalla famiglia d’origine e collocati in comunità, sperimentando una condizione di abbandono.

Mark Wade autore dello studio ha affermato:

La nostra ricerca si aggiunge ad una letteratura, ormai lunga, che elenca i rischi correlati alla separazione a lungo termine, dalle figure di attaccamento. Anche se l’argomento è complesso, ciò che possiamo affermare con sicurezza è che un’esperienza precoce di abbandono comporta seri problemi psicopatologici che perdurano, come dimostra il nostro studio, anche in adolescenza.

e ha concluso:

La buona notizia è che se questi bambini vengono collocati in famiglie o comunità con un buon grado di assistenza, questo rischio si riduce. Ciò che appare necessario è che le politiche e i programmi sociali dei governi, in queste situazioni, impediscano la separazione dei bambini dalle figure di riferimento.

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