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Il Sé autentico – Ciottoli di Psicopatologia Generale Nr. 44

Finché si cerca di conoscere un qualche dominio dell'esistente è facile, c'è un osservato e un osservatore, un oggetto e un soggetto. Ciò vale anche se l'oggetto dell'osservazione è una parte del proprio corpo o un comportamento. Ma cosa succede se la mente vuole guardare se stessa?

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 17 Ott. 2018

Come è possibile scoprire qual è il “vero, autentico me stesso”? E, soprattutto, è davvero utile farlo?

CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE – Il Sé autentico (Nr. 44)

 

In una trasmissione radio colta durante la presentazione di un libro si parlava di quanto fosse stato importante per la protagonista, una giovane donna 39enne, guardarsi sinceramente ora “allo specchio”, ora ancora più profondamente “dentro”, per capire chi fosse prima di compiere le scelte della sua vita.

Ascoltavo e annuivo compiaciuto, guidando, quasi leccandomi i baffi come quando si ascolta un’ovvietà confirmatoria che ci ribadisce la correttezza del nostro punto di vista. Ma ormai ho imparato a non fidarmi e quando provo quella sensazione di AJR (all just right “proprio tutto a posto”) è probabile che stia su una trappola o, come direbbe Montalbano “uno sfunnapedi”. Allora appizzo le orecchie e cerco di capire.

Il primo passo è sempre autoreferenziale e mi sono chiesto se io sappia chi sono, anche senza tutti quei rafforzativi tipo “veramente”, “profondamente”, “sinceramente”. La risposta forte e chiara è: assolutamente “no”! a cui seguono altre considerazioni circa il fatto che proprio per gli aspetti che mi riconosco cominciano i guai, e non solo per la bruttezza di ciò che scopro, ma per il processo in sé. Voglio sostenere che il tanto sbandierato “conosci te stesso” socratico sia contemporaneamente impossibile, inutile e spesso dannoso.

Naturalmente tutto ciò deve rimanere assolutamente segreto (e ad esso vincolo i lettori della presente) perché su questa palese cazzata la psicoterapia ha fatto la sua fortuna e la fine della crisi economica mondiale tarda ad arrivare e dunque per ora “la guerra è guerra!”

Ma andiamo per gradi dimostrandone intanto l’impossibilità, il che taglierebbe la testa al toro come nella storiella del tenente che ribatte al generale infuriato, che vuole spedirlo in corte marziale perché la sua postazione non risponde al cannonggiamento nemico, dicendo che ci sono almeno tre buone ragioni: “la prima è che non abbiamo i cannoni”.

Finchè io cerco di conoscere una mela o un altro dominio dell’esistente è tutto chiaro, c’è un osservato e un osservatore, un oggetto e un soggetto. Ciò vale ancora se l’oggetto dell’osservazione è una parte del mio corpo (esclusi gli occhi stessi) o un mio comportamento, si tratta di una mente che osserva degli oggetti e dei fatti. Ma che succede se la mente vuole guardare se stessa?

Qual è il famosissimo “vero, autentico me stesso” senza la cui conoscenza pare non si possa campare? Si finisce in un regresso all’infinito come quando due specchi ripetono all’infinito la stessa figura. L’“io” che osserva e giudica non è meno vero dell’“io” che agisce ed è giudicato e potrebbe essere a sua volta oggetto di osservazione di un terzo “io” e così via. Per fare un esempio concreto, quando mi disprezzo per dei miei comportamenti immorali, qual è il vero me stesso? Il ragazzino trasgressivo che fa ciò che non s’ha da fare o il moralista bacchettone che lo giudica tale, e chi è che giudica moralista quest’ultimo? Credo di aver dato un’idea dei problemi in cui si incorre.

Il secondo ragionamento riguarda l’utilità o la dannosità di tutto ciò. Perchè un metalivello di osservazione sul proprio funzionamento dovrebbe essere utile, se non indispensabile invece di essere magari semplicemente un intralcio? Non sarebbe meglio se la regola cui attenersi invece di essere “capisci chi sei” fosse più semplicemente “sii!” Dove sta scritto che la consapevolezza migliori l’efficacia del perseguimento dei propri scopi. Soprattutto in periodi in cui gli assetti interni ed il contesto ambientale sono sostanzialmente stabili non ce ne è alcun bisogno, come ci dimostrano gli animali con i loro istinti e le macchine con i loro programmi.

Per non parlare del fatto che il processo in sé probabilmente è peccato e certamente diminuisce la vista e rovina la pelle ma, soprattutto come diceva Quelo: “la risposta è dentro di te ed è SBAGLIATA”.

Sulla dannosità e la pesantezza che crea questo omunculo valutativo con sulle spalle un altro omunculo, fino ad averne una piramide degna degli equilibristi di un circo, non credo debba argomentare molto. La psicopatologia sta quasi tutta nelle liti condominiali tra loro. E non pensiate di cavarvela con la nomina di un amministratore: per carità, peggio!

 

RUBRICA CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE

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