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In morte della curiosità – Ciottoli di Psicopatologia Generale Nr. 45

L'impossibilità di capire i meccanismi che regolano il funzionamento di gran parte degli oggetti e dei sistemi che ci circonda genera alla maggior parte delle persone una continua frustrazione della curiosità, per non provare la quale il rischio è quello di smettere di essere curiosi

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 24 Ott. 2018

Oggi l’avere a che fare con meccanismi spesso complessi e difficilmente comprensibili porta spesso a non incuriosirsi più, “è troppo complicato, l’importante è che funzioni!”. Il rischio ahimè è quello di restare fermi, stanziati in uno status quo che non sempre è sinonimo di benessere e che, sicuramente, non facilita il cambiamento e la nostra evoluzione.

CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE – In morte della curiosità (Nr. 45)

 

Il ‘900 non è stato soltanto il secolo delle due guerre mondiali ma anche, forse proprio a motivo di esse, il secolo della straordinaria avanzata della scienza e della sua immediata trasformazione tecnologica sia per scopi bellici che civili che hanno cambiato radicalmente la nostra vita. Non solo la medicina e la chirurgia hanno allungato enormemente la vita media, ma elettrodomestici, radio televisione, automobili, aerei ed infine computer ne hanno modificato la qualità ed i ritmi.

In particolare l’elettronica e l’informatica hanno reso di facile utilizzo e accessibili a tutti strumenti complicatissimi di cui l’utente ignora assolutamente il funzionamento che sarebbe alla portata di una scimmia. Un esempio classico. Per lavorare alla cassa di un supermercato è sufficiente riuscire a distinguere la valuta nazionale e conoscere i numeri cardinali senza saper compiere alcuna operazione: infatti il lettore ottico legge i prezzi dal codice a barra e li somma direttamente. L’operatore deve solo digitare quanti soldi gli dà il cliente e la macchina gli dice il resto da restituirgli.

Come avvengano tutte queste cose sfugge alla conoscenza degli utilizzatori e lo stesso vale per tutti gli oggetti che ci circondano. Se un tempo, quando si lavavano i panni al pozzo, il meccanismo di come lo sfregamento con acqua e sapone rimuovesse lo sporco era piuttosto chiaro, oggi non lo è per la maggior parte delle cose. A parte ripetere qualche formuletta scolastica, chi tra la gente comune sa come funziona la televisione, la radio o più semplicemente un disco che sia di vinile o un compat a lettura laser (ma che è il laser?).

Se ci trovassimo a sbarcare in un pianeta uguale alla terra temo che dovremmo ripercorrere tutta l’evoluzione della conoscenza da capo. Chi sarebbe in grado di produrre energia elettrica e costruire una lampadina? Al massimo memori di qualche film sui pellerossa potremmo tentare di accendere un fuoco, senza peraltro riuscirci. Insomma siamo circondati da oggetti sconosciuti, portentosi, dal magico funzionamento, dai quali dipende la nostra esistenza e con i quali interagiamo, se e solo se il loro pannello di controllo è amichevole e docile.

Persino ai tecnici sfugge il reale funzionamento e i meccanismi interni sono inaccessibili al punto che le cose non si aggiustano più ma si sostituiscono, i circuiti stampati non si riparano. Un tempo i bambini giocavano a smontare le cose per vedere cosa ci fosse dentro e capirne il funzionamento, oggi non lo si fa più, dentro non c’è niente.

Persino il tempo dei grandi esploratori è finito. Nonostante i laboratori di tutto il mondo pullilino di ottimi scienziati e le scoperte innovative si susseguano a ritmo incalzante l’impressione della gente comune è che quello che si doveva sapere ormai si sappia, siamo nel mondo migliore possibile che resterà più o meno stabile solo con qualche prodotto in più: scenari totalmente diversi non sono neppure immaginati.

Questa sistematica impossibilità a capire meccanismi troppo complicati per la maggior parte delle persone genera una continua frustrazione della curiosità, per non provare la quale si smette di essere curiosi.

Un’interessante ricerca della Burt Ellison University del Sud Dakota (**La Burt Ellis University non esiste ma potrebbe) ha evidenziato come la durata della cosidetta età dei perché si sia ridotta di oltre il 50% e le domande quotidiane addirittura del 74,5%. I ricercatori ne concludono che i bambini comprendono rapidamente che nessuno sa come stiano effettivamente le cose e che dunque, come cantava De Gregori “non c’è niente da capire”.

Se ciò che accade è incomprensibile, è di conseguenza anche immodificabile e ciò comporta passività ed acquiescenza allo status quo. I bambini che aprivano i giocattoli per guardarci dentro, una volta ragazzi hanno pensato di cambiare il mondo. I bambini di oggi se vedono che il mondo non funziona si aspettano che gliene venga regalato uno nuovo. Alla resa della curiosità verso il mondo esterno si associa una perigliosa smania di capire effettivamente se stessi, di comprendere il proprio vero “IO”, ma questa è un altra storia.

 

RUBRICA CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE

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