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L’ipotesi del narcisismo maligno alla base dell’acting-out di Matthias Schepp

Quando si passa dalla patologia narcisistica meglio funzionante al disturbo narcisistico di personalità grave, l’intensità dell’aggressività aumenta raggiungendo il picco nella sindrome di narcisismo maligno che è possibile osservare in numerosi fatti di cronaca, come il caso di Matthias Schepp.

Di Guest

Pubblicato il 06 Set. 2018

Attraverso il racconto del caso Matthias Schepp cerchiamo di ripercorrere e comprendere quali sono le caratteristiche del disturbo narcisistico di personalità in una delle sue forme più gravi: il narcisismo maligno.

Carmen Garofalo

 

Nel 2011 la cronaca ci ha reso partecipi della crudeltà di un uomo, marito e padre, che prima porta via le sue bambine di sei anni, Alessia e Livia, facendole scomparire nel nulla e poi si uccide gettandosi sotto i binari di un treno al termine di un lungo e apparentemente incomprensibile viaggio.

Quest’uomo si chiamava Matthias Schepp, all’epoca dei fatti aveva 41 anni, figlio di genitori separati, ingegnere presso una multinazionale del tabacco.

Nel 2015 la giornalista e scrittrice Concita De Gregorio dà voce alla madre di Alessia e Livia, Irina Lucidi, attraverso la pubblicazione del libro “Mi sa che fuori è primavera” (Feltrinelli Editore), in cui la donna fa un ritratto granitico dell’uomo, del marito e del padre, nonché della loro storia.

Sono state dette tante cose su Matthias Schepp: i familiari, dopo l’accaduto, lo hanno definito malato, affetto da schizofrenia, il personale del centro donne maltrattate, a cui si rivolse Irina prima del fatto, lo aveva definito “psico-rigido”, mentre poi, dopo l’accaduto, i termini “folle” e “criminale” hanno riempito le testate giornalistiche e l’opinione pubblica.

Chi era davvero, Matthias Schepp? Cosa c’era sotto l’immagine dell’uomo “gentile, educato, premuroso e allegro” che Irina aveva conosciuto durante il loro primo incontro in un fine settimana organizzato dall’azienda presso la quale lavorava anche lei, e che poi, nella loro relazione, si era rivelato sempre più controllante, intransigente, mostrando allo sguardo della moglie occhi che lei stessa definisce “pozzi ciechi”, occhi chiari che sembravano vuoti nei quali riferisce di aver incontrato la “negazione della compassione”?

Ritratto dell’uomo, del marito, del padre

Alessia e Livia nacquero il 7 ottobre del 2006.

Con le bambine Matthias sembrava un padre attento, Alessia e Livia si divertivano molto con lui, racconta Irina. Vivevano in una casa grande, scelta da Matthias.

Irina parla spesso, nel libro della De Gregorio, della subdola violenza del marito: dice che aveva imparato ad avere paura delle sue manie e dei suoi silenzi, di quella che lei prima chiamava cura e prendersi cura, che con il passare degli anni era diventata un’ossessione.

La loro casa, con il tempo, era diventata un covo di post-it gialli con le sue istruzioni, persino le più elementari; erano attaccati alla lampada sul comodino con direttive su come accendere la luce del bagno “prima chiudere la porta, poi accendere la luce”, in cucina con le dosi di cereali da versare, quale tipo di latte usare e a quale temperatura “il latte deve essere scaldato nel bricco e non nel forno a microonde, deve essere versato dopo che i cereali sono stati messi nella tazza e non prima”, dietro la porta d’ingresso con scritto “rientrando chiudere a una o tre mandate, sempre comunque in numero dispari, e lasciare la chiave nella serratura”, dietro l’anta dell’armadio con la lista degli abiti delle bambine da indossare, in due elenchi verticali con i nomi di Alessia e Livia in alto e in stampatello, persino con l’ordine con cui gli indumenti dovevano essere indossati; non doveva mai capitare che, anche per sbaglio, le bimbe avessero lo stesso paio di calze, perché Matthias non sopportava che fossero vestite allo stesso modo.

Queste istruzioni, con gli anni, sono diventate veri e propri ordini, dal “non chiudere” al “chiudi!”, tanto che Irina si era rivolta a un centro per donne maltrattate dove le avevano consigliato di lasciarlo.

Ma al prendere questa decisione per lei drastica, Irina aveva scelto di proporre a Matthias di andare da una terapeuta di coppia; lui aveva accettato alla condizione che fosse tedesca. Dopo alcuni incontri, Matthias decise di voler andare da una psicologa diversa, da solo.

Dopo circa sei anni di vita insieme, dopo un breve percorso di terapia fallito e quando le bambine avevano cinque anni, Irina decise per la separazione.

All’inizio Schepp era contrario, non tanto per la separazione in sé, quanto per il fatto che fosse stata Irina a prendere l’iniziativa senza prendere in considerazione il suo parere. Poi smise di combattere e accettò. Si separarono nell’agosto del 2010: Matthias avrebbe visto le bambine una sera a settimana e un week end ogni due settimane. Nei mesi successivi alla separazione, Matthias aveva cercato più volte un riavvicinamento con Irina, usando anche le bambine per inviarle dei messaggi e supplicarla di tornare insieme.

Avrebbe voluto l’affidamento congiunto delle bambine ma Irina glielo negò.

Nell’ultima mail che Irina scrisse a Matthias, datata 26 gennaio 2011, la donna gli anticipò che nelle settimane successive sarebbero stati pronti i documenti per il divorzio.

Dal 30 gennaio 2011 iniziò, concretamente, il suo viaggio più crudele.

Dinamica dei fatti: cosa accade dal 30 gennaio 2011 al 3 febbraio 2011

L’ultimo week end del gennaio 2011 spetta a Matthias Schepp tenere le bambine, come da accordi.

A questo punto, però, è necessaria una precisazione: nel periodo immediatamente precedente a quel week end, per le vacanze di Natale, Schepp aveva insistito per portare le bambine con sé per tre settimane in barca con alcuni loro amici e, anche se questo non era negli accordi, Irina accettò poiché anche le bambine insistevano per fare quella vacanza. Apparentemente durante quelle tre settimane non successe nulla, anzi, Irina ricevette foto di loro tre insieme e felici.

Dopo quella vacanza Alessia e Livia ritornano a casa da Irina per altre due settimane fino al venerdì 28 gennaio quando Matthias prende con sé le bambine per passare il week end insieme.

La mattina di domenica 30 gennaio, intorno alle undici, lascia le bambine a un vicino di casa perché giochino insieme al figlio di quest’ultimo per poi andarle a riprendere due ore dopo.

Di quelle due ore si sa soltanto che telefona a Irina per dirle di non venire a riprendersi le bambine quel giorno, come da accordi, per riportarle da lei la sera stessa, avvisandola che stavano giocando dai vicini di casa e stavano bene, e di andarle a riprendere a scuola all’uscita il giorno dopo perché le avrebbe accompagnate lui all’indomani.

Come già scritto sopra, Schepp va a riprendere le bambine dai vicini intorno all’una di domenica 30 gennaio 2011. Il vicino di casa racconta che intorno alle 14:30 si reca nuovamente a bussare a casa Schepp perché suo figlio desiderava ancora giocare con le bambine ma nessuno gli risponde.

Non si sa se Matthias Schepp e le bambine, a quell’ora, fossero ancora in casa. Quello che si conosce di questo folle viaggio lo si può riscontrare solo attraverso i frammenti del navigatore recuperati dalla polizia giudiziaria di Foggia scavando tra le pietre dei binari della ferrovia di Cerignola, luogo dove Schepp ha posto fine alla sua vita, le celle agganciate dal suo cellulare fino al momento in cui questo viene spento e la testimonianza resa agli atti di alcune persone (per le fonti riguardanti la seguente ricostruzione del percorso e le informazioni a disposizione si fa riferimento al sito cronaca-nera.it, ai giornalisti Claudio Del Frate del Corriere della Sera, Alessia Ripani de La Repubblica e Manila Mancini di fanpage.it, oltre alla testimonianza della stessa Irina nel libro di Concita De Gregorio).

Tappe ed orari:

  • alle 15:50 di domenica 30 gennaio 2011 il cellulare di Matthias Schepp aggancia la cella di Morges, un paese a 5 km da Saint-Sulpice che a sua volta dista 10 km da Saint-Simon, il piccolo paese dove vivevano
  • alle 18:04 passa il confine con la Francia: qui c’è un buco di circa un paio d’ore, in quanto da Saint-Sulpice al confine bastano circa 45 minuti
  • alle 18:21, all’uscita dell’autostrada all’altezza di Annecy, invia l’ultimo sms alla moglie, in risposta al suo inviato alle 17:50 in cui gli chiede di riportarle le bambine. In quest’ultimo sms Schepp rassicura la moglie dicendo che le avrebbe riaccompagnate lui stesso a scuola il giorno dopo
  • alle 19:38 si trova a Lione, impiegando più di un’ora per fare meno di 50 km. Da questo momento Matthias spegne il suo cellulare. Una testimone giudicata attendibile ha detto di aver visto le bambine questo stesso giorno insieme al padre nei pressi dell’aeroporto di Lione (De Gregorio, 2015)

Occorre inserire alcune note riguardo il ruolo di Irina in queste ultime ore. La donna non risponde all’ultimo messaggio del marito e decide di assicurarsi personalmente che le bambine stiano bene; pertanto accorre a casa di Schepp quello stesso giorno senza trovare nessuno, recandosi anche dai suoi vicini di casa che le confermano di aver visto le bambine intorno all’una e di aver sentito il motore della macchina di Schepp intorno alle 16.

A quel punto Irina decide di chiamare la polizia che perquisisce la casa e in un cassetto chiuso a chiave trova il testamento di Matthias Schepp, scritto in tedesco, datato “Saint Sulpice 27 gennaio 2011”, all’interno del quale si ravvisa un campanello d’allarme nelle parole “qualora le mie figlie Alessia e Livia non siano più in vita”. In casa, vicino alla porta d’ingresso, Irina trova anche i peluches dai quali le bambine non si separavano mai per dormire.

Il 31 gennaio Schepp preleva 7.500 € a Marsiglia e qui acquista tre biglietti per la Corsica, direzione Propriano. Schepp, da Marsiglia, spedisce una cartolina raffigurante un coniglio in un prato verde alla moglie, la quale la riceve il giorno 3 febbraio (vedi allegato 2): l’uomo le scrive che “ormai è troppo tardi”.

A questo punto è necessaria un’altra precisazione riguardo al ruolo di Irina: quando la donna riceve questa cartolina (il successivo 3 febbraio) parte verso Marsiglia e lascia la sua deposizione alla polizia insieme all’avviso di furto di macchina in quanto l’Audi sulla quale viaggiava Schepp era di sua proprietà.

Il primo febbraio, alle 6:30 del mattino, Schepp sbarca al porto di Propriano.

Il giornalista Claudio Del Frate sul numero del 12 febbraio 2011 del Corriere della sera, rivela che una donna, Olga Orneck, dice di aver visto Schepp con le gemelline insieme ad una signora bionda intorno alle 9:30 del mattino, ma non si hanno certezze sull’attendibilità di questa testimonianza.

Le tracce dell’uomo si perdono fino a quando alcuni testimoni lo avvistano a Bastia, nel nord della Corsica, nella serata di questo stesso giorno, senza le bambine

Dal porto di Bastia s’imbarca poi sulla tratta Bastia-Tolone a bordo del traghetto Sardinia-Ferries

Arrivato a Tolone spedisce una lettera alla moglie Irina, il cui contenuto non è stato reso pubblico (Ripani, 2011).

Il 2 febbraio, in macchina, si dirige verso l’Italia percorrendo la Costa Azzurra. La sua Audi viene fotografata all’ingresso di Ventimiglia.

Il 3 febbraio si ferma a Vietri sul Mare dove pranza da solo in un ristorante nel quale chiacchiera anche con il padrone del locale – testimonianza resa agli atti – di un quadro di Guido De Franceschi appeso alle pareti del luogo che dice assomigliare a sua moglie, informandosi anche sul prezzo che il ristoratore vorrebbe, qualora lui volesse comprare il quadro. Quello stesso giorno invia alla moglie 4.400 € suddivisi in sette buste ciascuna contenenti 50 euro e una lettera, intercettata dalla polizia cantonale, in cui dichiara di aver ucciso le bambine e di volersi uccidere; di seguito alcuni frammenti della stessa “Sarò l’ultimo a morire e ho già fatto morire le bambine; non le rivedrai più; loro non hanno sofferto e ora riposano in un luogo tranquillo”.

Poi, nei pressi della stazione di Cerignola, parcheggia l’auto e lascia il suo cellulare dentro, sul cruscotto. Nell’auto viene ritrovato anche il supporto per il navigatore, ma non l’apparecchio che porta con sé insieme alle chiavi della macchina. Quella stessa sera, a poca distanza dalla stazione, alle 22.45, si getta sotto l’Eurostar Milano-Bari.

Analisi dell’acting-out di Matthias Schepp alla luce dell’ipotesi del narcisismo maligno

I criteri diagnostici per l’inquadramento del disturbo narcisistico di personalità secondo il DSM-5 (American Psychiatric Association, 2015) descrivono un pattern pervasivo di grandiosità (nella fantasia o nel comportamento), necessità di ammirazione e mancanza di empatia, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:

  • Ha un senso grandioso di importanza (per esempio, esagera risultati e talenti, si aspetta di essere considerato/a superiore senza un’adeguata motivazione)
  • È assorbito/a da fantasie di successo, potere, fascino, bellezza illimitati, o di amore ideale.
  • Crede di essere “speciale” e unico/a e di poter essere capito/a solo da, o di dover frequentare, altre persone (o istituzioni) speciali o di classe sociale elevata
  • Richiede eccessiva ammirazione
  • Ha un senso di diritto (cioè l’irragionevole aspettativa di speciali trattamenti di favore o di soddisfazione immediata delle proprie aspettative)
  • Sfrutta i rapporti interpersonali (cioè approfitta delle altre persone per i propri scopi)
  • Manca di empatia: è incapace di riconoscere o di identificarsi con i sentimenti e le necessità degli altri
  • È spesso invidioso/a degli altri o crede che gli altri lo/a invidino
  • Mostra comportamenti o atteggiamenti arroganti, presuntuosi

Quando si passa dalla patologia narcisistica meglio funzionante al disturbo narcisistico di personalità grave, l’intensità dell’aggressività aumenta raggiungendo il picco nella sindrome di narcisismo maligno (Kernberg, 1984) collocata in un’area al limite tra il disturbo narcisistico di personalità e il disturbo antisociale di personalità e caratterizzata da: disturbo narcisistico di personalità, comportamento antisociale, aggressività egosintonica, sadismo rivolto verso gli altri o verso se stessi e un forte orientamento paranoide.

Kernberg descrive, in tal modo, una dimensione di comportamento antisociale che collega il disturbo narcisistico di personalità con il disturbo antisociale ma, a differenza dei soggetti con disturbo della personalità antisociale, questi possono avere un atteggiamento realistico verso il proprio passato e una pianificazione del proprio futuro (Kernberg, 1993 in Fornari, 2012).

Questi soggetti sono dominati da precursori sadici del Super-Io a tal punto che i precursori successivamente idealizzati del Super-Io non possono neutralizzarli, per cui l’integrazione del Super-Io viene bloccata: aspettative realistiche o proibizioni provenienti da oggetti parentali sono state o svalutate o trasformate in minacce persecutorie (Kernberg, 1993).

Questa particolare forma di disturbo narcisistico di personalità porta il soggetto ad aggiungere al suo sé grandioso anche un aspetto di onnipotenza, come se il proprio mondo di relazioni oggettuali abbia esperito una trasformazione maligna (Kernberg, 1993 in Fornari, 2012) che ha portato alla svalutazione di relazioni oggettuali interiorizzate potenzialmente buone da parte di un sé patologico, sadico e grandioso (Rosenfeld, 1971) che ha preso il posto dei precursori sadici del Super-Io assorbendo tutta l’aggressività e trasformando quelle che, altrimenti, sarebbero le componenti sadiche del Super-Io in una struttura anormale del sé, che poi combatte contro l’interiorizzazione di successive, più realistiche componenti superegoiche (Kernberg, 1993 in Fornari, 2012).

Disturbo narcisistico di personalità e Relazioni oggettuali

Per questi soggetti, le relazioni oggettuali amorevoli non solo possono essere facilmente distrutte ma “contengono il seme di un attacco da parte dell’oggetto onnipotente e crudele” (Kernberg, 1993 in Fornari, 2012): il primo passo è la sottomissione totale, il secondo è l’identificazione con l’oggetto stesso che dà un senso di potere, liberazione dalla paura e la sensazione che l’unico modo di comunicare con gli altri sia la gratificazione della propria aggressività (Kernberg, 1993 in Fornari, 2012).

Il sadismo di questi soggetti si esprime nella loro volontà di “autoaffermazione assertiva” e spesso con tendenze suicidarie (Kernberg, 2004), che riflettono la fantasia di esercitare un controllo sadico sugli altri: togliersi la vita, per questi soggetti, significa affermare la propria superiorità o uscire da un mondo che sentono di non riuscire a controllare (Kernberg, 2004).

In questi soggetti “la critica costituisce una minaccia dissolutiva per l’identità e la risposta distruttiva sembra riaffermare in modo speculare una posizione di diritto e di potenza” (Cairo et al. 2008).

L’aspetto dell’orientamento paranoide nel narcisismo maligno, riflette la proiezione di precursori superegoici non integrati (Kernberg, 2004): ne consegue che gli altri vengono visti o come idoli o come persone stupide.

All’interno di questa cornice, dunque, gli oggetti buoni sono percepiti come deboli ed inaffidabili e quindi disprezzati, quelli cattivi sono invece potenti e necessari alla sopravvivenza ma sadici ed ugualmente inaffidabili. L’unica speranza di sopravvivenza e di evitamento del dolore e della sofferenza resta, quindi, il proprio potere e il sadismo che permettono di controllare gli oggetti, sia quelli buoni e sia quelli cattivi (Kernberg, 2004).

Alcune ricerche suggeriscono che “il narcisismo maligno può esprimersi in violenza apparentemente auto-giustificabile, crudeltà sadica o auto-distruttività laddove aggressività e sadismo si combinano con eccitazione e autostima accresciuta” (Ronningstam, 2005).

In casi estremi chi soffre di narcisismo maligno può diventare un omicida, in quanto considera “l’uccisione come un’azione giustificata di ritorsione, un tentativo disperato di prendere il controllo e di proteggere la propria autostima” (Ronningstam, 2005).

L’amore di sé patologico che si esprime in un’autoreferenzialità e in un’autocentratura eccessiva, si manifesta con una certa grandiosità che spesso si esprime in valori infantili come la capacità di attrarre con il proprio corpo, potere, ricchezza, modo di vestirsi, modi di fare (Kernberg, 2004); in ciò sembra riflettersi proprio quello che Irina racconta a proposito del suo primo incontro con Schepp e delle modalità da lui messe in atto per attirare la sua attenzione: Irina lo descrive come “bello, alto, sportivo e biondo” (De Gregorio, 2015); parlando del loro primo incontro, Schepp appare come un uomo all’antica che le apriva anche le porte delle stanze per farla entrare, serio e solare, “un uomo capace di farla ridere tutta la sera” (De Gregorio, 2015).

Lo stesso uomo, però, che col tempo rivela la sua estraneità e un senso di vuoto per tutto ciò che lo circonda; come quando Irina racconta dell’episodio sotto i portici di Bologna incontrando un bambino mendicante e descrivendo gli occhi di Schepp come “pozzi ciechi”: in quella che la donna chiama la “negazione della compassione” (De Gregorio, 2015) sembra riflettersi sia l’amore patologico di sé stessi in quanto i soggetti con disturbo narcisistico di personalità sono persone emotivamente superficiali soprattutto in relazione ad altre persone, e sia l’amore oggettuale patologico proprio della personalità narcisistica che consciamente si manifesta anche per una mancanza di interesse negli altri, un’incapacità di provare empatia (American Psychiatric Association, 2015) o attaccarsi realmente ad altre persone (Kernberg, 2004).

Altra manifestazione dell’amore patologico è la svalutazione degli altri (Kernberg, 2004). Le persone con disturbo narcisistico di personalità svalutano gli oggetti reali poiché hanno incorporato quegli aspetti degli oggetti reali che desiderano per sé stessi: dissociano da sé e rimuovono o proiettano sugli altri tutti gli aspetti negativi di se stessi e degli altri (Kernberg, 2004). La svalutazione altrui viene messa in atto nel tentativo di difendersi da potenziali sentimenti di invidia (Kernberg, 2004); come indicato anche dal criterio 8 del DSM-5 (American Psychiatric Association, 2015), i soggetti con disturbo narcisistico di personalità sono spesso invidiosi degli altri: a questo proposito è utile sottolineare che Irina ricopriva un ruolo di maggior prestigio nella multinazionale dove lavorava anche Schepp, era richiesta più di lui, viaggiava più di lui, guadagnava anche più di lui; la donna rivela che Schepp si sentiva spesso sottovalutato per questo, e anche se non ne avevano mai parlato apertamente, lei sentiva come una specie di risentimento nei suoi confronti (De Gregorio, 2015).

Per ciò che riguarda la svalutazione e le continue vessazioni, in tanti episodi raccontati da Irina riscontriamo la denigrazione che Schepp metteva in atto nei suoi confronti e nei confronti degli altri. L’episodio dell’imbianchino italiano, per esempio, in cui possiamo rilevare una doppia svalutazione: per Irina in quanto italiana e per Irina in quanto persona. Schepp non si fidava di questo imbianchino perché era “italiano”, perché gli “italiani non lavorano bene” (De Gregorio, 2015) e girava con uno specchietto per la casa per controllare bene tutto, anche gli angoli ciechi; in più, era stata proprio Irina a chiamarlo, a prendere questa decisione in prima persona, senza consultarlo: nella manifestazione del disprezzo verso l’imbianchino italiano, o anche nella scelta della psicologa di coppia che doveva essere obbligatoriamente tedesca altrimenti lui non ci sarebbe andato, sembra riflettersi il 3 criterio del DSM-5 (American Psychiatric Association, 2015) secondo il quale i soggetti con disturbo narcisistico di personalità “credono di essere speciali e di dover frequentare persone o istituzioni speciali o di classe sociale elevata”; in questo caso l’essere speciale era riferito alla nazionalità tedesca. La svalutazione di Irina come persona, invece, che aveva osato prendere una decisione da sola, sembra rimandare a quel tentativo di difendersi da potenziali sentimenti di invidia che, come descritto nel capitolo precedente, si presenta come una forma speciale di odio, una delle manifestazioni affettive principali dell’aggressività (Kernberg, 2004), che può divenire così intenso da sfociare nella distruzione primitiva di ogni consapevolezza degli affetti, in un obnubilamento del normale funzionamento cognitivo e in una trasformazione degli affetti aggressivi in acting-out (Kernberg, 2004). In questo episodio si riscontra anche un atteggiamento di arroganza nei confronti della moglie, come indicato nel criterio 9 del DSM-5 (American Psychiatric Association, 2015) e di prepotenza: davanti alle bambine che erano in macchina con loro fece scendere la moglie in strada costringendola a tornare a casa da sola e non dando sue notizie per le successive quattro ore (De Gregorio, 2015).

In questo contesto l’invidia è una forma di odio per un altro che è percepito come qualcuno che rifiuta di concedere qualcosa di molto desiderabile (Kernberg, 2004). Cosa c’era di desiderabile per Schepp in quell’episodio? Il controllo, il bisogno di potere, il prevalere sulla moglie, un disconoscere i diritti dell’altro poiché per conquistare il potere tali soggetti hanno necessariamente bisogno di sminuire gli altri (Filippini, 2016); senza il potere e il controllo sugli altri questi soggetti non potrebbero evitare l’invidia che altrimenti proverebbero per la capacità altrui di funzionare in maniera autonoma (Kernberg, 2004). Schepp ha spesso manifestato questa suo potere su Irina, questa “cosificazione” (Fornari, 2012) dell’altro che si rispecchia, ad esempio, nel non chiamarla mai per nome, ma di presentarla agli altri come “mia moglie”, nel parlare di Irina con Dolores, la baby-sitter delle bambine, riferendosi con un “lei deve partire” (De Gregorio, 2015) invece di Irina deve partire; o ancora, anche la madre di Schepp metteva in atto le stesse dinamiche del figlio, e tutti i suoi parenti, “un ruolo accanto ad un attributo di possesso” scrive la stessa Irina (De Gregorio, 2015): “mia nuora”, “mia cognata”. Mai, racconta Irina, ricorda di averli sentiti chiamarla per nome.

Il senso del controllo lo si può rilevare anche nel comportamento di Schepp di apporre post-it in ogni dove nella casa; suggerimenti che poi diventano indicazioni, indicazioni che poi diventano ordini: “prima chiudere la porta, poi accendere la luce”, “rientrando chiudere a una o tre mandate, sempre comunque in numero dispari, e lasciare la chiave nella serratura”, per poi passare dal “non chiudere” al “chiudi!” (De Gregorio, 2015).

Disturbo narcisistico di personalità e Tratti ossessivi

La presenza di tratti ossessivi nei soggetti con disturbo narcisistico di personalità viene vista non solo come fattore di controllo del disagio ma segnala anche l’incremento dell’angoscia che, essendo riferita alla dissoluzione del Sé, non sono in grado di arginare (Cairo et al., 2008). Il controllo riscontrabile è solo apparente e la tendenza a mettere in atto comportamenti perfezionistici è collegata all’idea che nessun altro sia in grado di risolvere l’angoscia emergente (Cairo et al., 2008).

Non era forse anche un segnale di imprevedibilità, per lui, la notizia della gravidanza? Irina racconta che Schepp non aveva reagito bene, parla proprio di un uomo che aveva perso il controllo, che balbettava, che “raschiava la gola come se dovesse tossire senza riuscirci” (De Gregorio, 2015): come se fosse impossibile da sopportare, e forse imperdonabile per lui non essere riuscito a controllare e a pianificare tutto.

Disturbo narcisistico di personalità e Deficit di mentalizzazione

Nei soggetti narcisisti gravi, inoltre, la carenza delle capacità di mentalizzazione, un sentimento sociale collassato e l’intolleranza alla sofferenza tendono ad innescare meccanismi compulsivi che spingono all’agito autodistruttivo (Cairo et al., 2008).

Il comportamento di Matthias Schepp

Kernberg (1984) afferma che lo sviluppo più drammatico del disturbo narcisistico di personalità si ha quando ad un sé grandioso si combina una forte dose di aggressività, che fa sì che a questo sé patologico si aggiunga un aspetto di onnipotenza in cui la grandiosità viene rafforzata dal senso di trionfo provato infliggendo dolore e paura agli altri (Kernberg, 1984). L’agito di Schepp nell’intraprendere quel lungo viaggio crudele, nel prendere le bambine e portarle via alla madre, nel farle sparire nel nulla senza che nessuno, tantomeno Irina, riuscisse a scoprire il “dove” e il “se” fossero morte, e poi nel togliersi la vita buttandosi sotto un treno, riflette appunto la combinazione esplosiva di un sé patologico e di una forte dose di aggressività auto ed eterodiretta e di sadismo, che fanno ipotizzare in lui la condizione più grave della patologia narcisistica, la sindrome di narcisismo maligno.

A seguito della decisione di Irina di separarsi da lui e della negazione dell’affidamento delle bambine, il sé grandioso patologico ed onnipotente di Schepp che “cosifica” gli altri (Fornari, 2012) ed è quindi incapace di sopportare che questi altri oggettivati e in suo potere possano prendere decisioni al posto suo, decidere per lui, togliere a lui qualcosa che lui stesso non vede come persone ma come sua proprietà, cioè le bambine, che Schepp non ha mai visto come esseri altri da sé ma come un suo possesso, bambine strumentalizzate per sopperire al suo bisogno di onnipotenza che Irina aveva osato scalfire, sfocia nell’acting-out distruttivo.

Si può ipotizzare che Schepp abbia usato i sentimenti di madre di Irina per sublimare il suo bisogno di potere: il settimo criterio del DSM 5 per la diagnosi di disturbo narcisistico di personalità indica come sintomo la mancanza di empatia (American Psychiatric Association, 2015); in questo caso, però, si può ipotizzare in Schepp un’empatia strumentale, propria dei soggetti con grave patologia narcisistica il cui sadismo permette di controllare l’altro (Kernberg, 2004) e quindi di capire l’altrui punto debole e riconoscere dove poter infliggere più dolore. Schepp ha riconosciuto il sentimento di madre in Irina, sapeva dove colpire per fare più male e ha usato questo riconoscimento per mettere in atto il suo piano distruttivo che si rivela nel suo “non le rivedrai mai più” nella lettera alla moglie. Si tratta di una pianificazione lucida: a rafforzare tale ipotesi c’è il ritrovamento del suo testamento datato 27 gennaio 2011, il giorno dopo l’ultima mail inviatagli da Irina nella quale lei gli scrive della sua convinzione per il divorzio e di tutti i documenti ormai pronti, nel quale Schepp scrive: “qualora le mie figlie Alessia e Livia non siano più in vita”; fermo restando che l’imprevedibilità della vita può sorprenderci sempre, pensare che le bambine potessero non essere più in vita all’età di sei anni se non per mano sua, appare inverosimile.

Dunque, la pianificazione lucida e maligna di questo soggetto non si è esplicitata nel togliere la vita alle sue figlie e poi nel suicidio, ma si è espressa in un atto di persecuzione post-mortem nei confronti della moglie, ottenendo, con la sparizione delle bambine e con la sua morte, il mantenimento di quella “relazione di potere che consiste nell’usare l’altro a proprio piacere, nel corrompere tale relazione mantenendone il controllo” (Filippini, 2016) in questo caso fino alla fine: Irina non avrà mai pace perché mai saprà dove sono finite le sue bambine e Schepp, con il suo pianificato suicidio da protagonista nel lanciarsi sotto i binari di un treno, ha definitivamente posto fine a qualsiasi speranza di ricevere da lui anche la più minima informazione.

Il suicidio di Schepp riflette la sua volontà di esercitare un controllo sadico su sua moglie: togliersi la vita, per i soggetti con patologia narcisistica grave, significa affermare la propria superiorità o uscire da un mondo che sentono di non riuscire a controllare (Kernberg, 2004): Schepp non riusciva più a controllare Irina che aveva deciso per la separazione, contro il suo volere, che aveva osato prendere una decisione da sola riguardo il loro rapporto nel quale doveva essere lui, invece, ad averne il controllo.

Si può ipotizzare che abbia manifestato lo stesso controllo sulla vita delle sue figlie, portandole via alla madre, facendole sparire, negando loro il diritto ad avere una madre e, probabilmente, una vita, e usandole come strumento, prima di ritorsione, e poi di persecuzione, nei confronti di Irina.

È stato proprio questo l’intento riuscito di Schepp: avere per tutta la vita il controllo di sua moglie anche dopo la sua morte, tenendola in scacco attraverso il dubbio più crudele per una madre.

Lei stessa scrive:

Io devo avere la certezza di aver fatto tutto il possibile […], non posso lasciare aperta la porta a nessun dubbio […], temo che siano morte ma non ho i loro corpi. Il lutto in assenza del corpo è un’emorragia misteriosa e inarrestabile: hai sempre nuova linfa da perdere, si rigenera, non arriva mai il giorno in cui si estingue (De Gregorio, 2015).

Ed è proprio in questo che si rivela il suo narcisismo maligno, in questo giorno che non arriverà mai per Irina, paralizzata dalla ritorsione di Schepp e dal suo tentativo diabolico e riuscito di “prendere il controllo” della sua vita (Ronningstam, 2005) fino alla fine.

Conclusioni

Questa è un’analisi ipotetica e personale su quello che può aver spinto Schepp ad intraprendere il suo viaggio e a compiere l’agito.

La lucidità e la pianificazione con la quale Schepp ha architettato tutto, anche giorni prima del suo viaggio (si ricordano le ricerche fatte su internet circa i veleni e i modi più o meno dolorosi per uccidersi, la scrittura del testamento datato 27 gennaio 2011 e quelle riga in riferimento all’eventuale scomparsa delle bambine), lascia intendere che Schepp comprendesse ciò che stava facendo e fosse consapevole delle conseguenze del suo gesto: laddove c’è strategia e pianificazione c’è capacità di intendere e di volere, al di là della struttura di personalità e dei disturbi riscontrabili in essa; non sempre un disturbo della personalità, come ipotizzato in questo caso, compromette la capacità di intendere e di volere.

Sono passati cinque anni da quel gennaio del 2011. Non si hanno ancora notizie delle due bambine e rimangono ancora molti i punti da chiarire, come espresso da Irina nel libro (De Gregorio, 2015) ed elencati qui di seguito: ad esempio, primo fra tutti, l’allarme rapimento, poiché la polizia svizzera non ha mai allertato i colleghi francesi e italiani nei giorni intercorsi tra il 30 gennaio e il 3 febbraio; la casa di Saint-Sulpice mai messa sotto sequestro, dove avrebbero potuto esserci degli oggetti o delle impronte che avrebbero potuto aiutare a fare luce sui fatti; le psicologhe che avevano seguito Schepp, prima in coppia con Irina e poi singolarmente, che non sono state mai ascoltate; le scarpe da trekking sporche di fango che i vicini di casa avevano visto addosso a Schepp la mattina del 30 gennaio e che Irina ha ritrovato in casa con ancora la terra infiltrata nelle suole e che nessuno ha mai analizzato; non sono state neanche esaminate tutte le chiamate in entrata e in uscita nella scheda telefonica di Schepp per sapere se, con chi e per quanto tempo ha parlato quel giorno della scomparsa delle bambine; infine, i borsoni da vela di cui Irina ha denunciato la scomparsa alla polizia: in quei borsoni Schepp conservava i suoi strumenti da vela poiché era un velista, ma a casa Irina trovò tutte le sue cose nell’armadio senza alcuna traccia dei due borsoni grandi.

Irina non si darà pace fino a quando non troverà la verità, forse per sempre o forse mai.

Schepp, nella sua lucida distruttività, è riuscito nel suo intento di controllarla per tutta la vita, come un persecutore post-mortem.

L’unica certezza è che Schepp si è ucciso, portando con sé tutti i suoi segreti: dove sono le bambine e chi era lui davvero.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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