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Quali sono le cause della violenza all’interno degli stadi?

Diversi studi mostrano una relazione tra violenza sportiva e una più generale condizione di disadattamento sociale, per cui individui coinvolti in episodi di teppismo sportivo sembrerebbero avere la tendenza a mettere in atto comportamenti simili anche in altri contesti. Una ricerca recente sembra smentirlo.

Di Giovanni Belmonte

Pubblicato il 05 Lug. 2018

Aggiornato il 21 Nov. 2018 12:08

La violenza sportiva, soprattutto all’interno degli stadi di calcio, è un fenomeno sempre più diffuso e che non è possibile trascurare. Ma cosa spinge i tifosi a reagire in questo modo?

 

Nel mondo dello sport, in particolare negli stadi di calcio, si assiste spesso a episodi di violenza tra tifoserie di squadre differenti. Sono state svolte molte ricerche al fine di spiegare tali eventi violenti. In particolare, diversi studi hanno messo in evidenza la relazione tra il teppismo sportivo e il “disadattamento sociale” degli individui coinvolti, sostenendo che questi ultimi mettessero in atto i medesimi comportamenti anche all’interno di altri contesti: casa, lavoro, scuola.

Una recente ricerca, svolta dalla Dott.ssa Martha Newson e collaboratori presso l’Università di Oxford, che ha coinvolto 465 tifosi brasiliani e noti teppisti, ha tuttavia messo in luce come questi individui non presentassero in realtà un funzionamento particolarmente disfunzionale al di fuori dell’ambiente calcistico, ad esempio sul posto di lavoro e a casa.

Ciò sembra dimostrare che, al di là dei fattori che caratterizzano la personalità dei singoli individui, vi siano alcuni elementi in grado di influenzare negativamente il loro comportamento.

Cosa influenza il comportamento degli individui in episodi di violenza sportiva?

Alcuni dei fattori individuati nel corso di questo studio che sembrano essere correlati ad episodi di violenza sportiva sono:

  • Deindividuazione: quando un individuo si trova in una folla o agisce come membro di un vasto gruppo sociale, tende a non considerarsi come un individuo singolo, quanto piuttosto come un membro del gruppo relativamente anonimo. Questo processo di deindividuazione porta a considerarsi meno identificabili e meno responsabili del proprio comportamento. Di conseguenza, le norme sociali che solitamente impediscono di comportarsi in modo aggressivo non risultano più applicabili.
  • Affollamento: un’elevata densità di persone può indurre aggressività. Trovarsi in mezzo ad un folla di persone induce un’attivazione fisiologica associata a sensazioni di stress, irritazione e frustrazione.
  • Diffusione della responsabilità: si riferisce alla sensazione provata da un individuo che, facendo parte di un gruppo, ad esempio una tifoseria, si sente personalmente meno responsabile rispetto alla messa in atto di comportamenti violenti.
  • Categorizzazione ingroup/outgroup: si riferisce alla tendenza di difendere e giudicare positivamente il proprio gruppo e di attaccare e criticare gli altri gruppi. Questo processo può spiegare la tendenza dei tifosi di identificarsi con il proprio gruppo e a comportarsi in maniera aggressiva con i gruppi con cui sono in competizione.

In conclusione

Questo studio sembra dimostrare che i membri delle tifoserie di calcio non sono necessariamente persone che agiscono in maniera disfunzionale al di fuori della comunità calcistica; il comportamento violento è quasi interamente focalizzato su coloro che sono considerati come una minaccia, di solito tifosi rivali o talvolta la polizia.

I ricercatori suggeriscono, inoltre, che combattere un comportamento estremo con attenta sorveglianza, come l’uso di gas lacrimogeni o di forza militare, è probabilmente controproducente e provocherà solo più violenza, spingendo i tifosi a farsi avanti per “difendere” i loro compagni.

Il direttore del progetto, il professor Harvey Whitehouse, ha concluso:

Speriamo che questo studio stimoli l’interesse a ridurre il conflitto tra gruppi attraverso una comprensione più profonda dei fattori psicologici e di quelli situazionali che lo guidano.

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