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Social network e salute: la qualità dell’uso conta di più della frequenza d’uso

L'uso problematico dei Social Network non è ancora stato riconosciuto come una dipendenza, ma molti studiosi stanno cercando di capire i contorni del fenomeno, l'identikit dello user problematico, se c'è predisposizione e le possibili conseguenze sullo stato di benessere psico-fisico.

Di Guest

Pubblicato il 13 Lug. 2018

L’uso dei social network, e Facebook ne è l’esempio principale, ha un ruolo significativo nella vita soprattutto degli adolescenti e dei giovani adulti (Kuss & Griffiths, 2011). 

Claudia Marino – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Mestre

 

Mediante i social network gli utenti soddisfano bisogni importanti, tra i quali la costruzione della propria identità sociale e il bisogno di appartenenza a una comunità (Marino, Vieno, Pastore et al., 2016). Tuttavia, in alcuni casi l’uso di Facebook può diventare problematico.

Anche se nella letteratura scientifica non è ancora riconosciuto come vera “dipendenza” comportamentale alla stregua del gioco d’azzardo (Marino, Vieno, Altoè & Spada, 2017; Ryan, Reece, Chester, & Xenos, 2014), l’uso dei social network può pervadere la vita quotidiana dell’utente e portare a conseguenze negative per il benessere psicosociale degli utenti (per esempio determinando scarsa concentrazione e più elevati conflitti interpersonali). Negli ultimi anni, dunque, è cresciuto esponenzialmente l’interesse dei ricercatori per le cosiddette “dipendenze online” a livello internazionale (Billieux et al., 2017). In particolare, molti articoli giornalistici e scientifici si sono interrogati sulle ragioni e sugli effetti per la salute dell’uso delle nuove tecnologie e dei social network, soprattutto tra i giovani. Ma cos’è che rende realmente problematico l’uso dei social?

L’obiettivo del presente articolo è di proporre una visione aggiornata e d’insieme sull’uso problematico di Facebook e dei social media in generale, con particolare riferimento alle caratteristiche distintive del fenomeno, ad alcuni dei correlati psicologici più frequentemente studiati e alle implicazioni pratiche per l’intervento clinico e preventivo.

Social network: chi li usa in modo problematico?

In linea con il modello cognitivo-comportamentale dell’uso problematico di internet proposto da Caplan (2010), l’uso problematico dei social network e di Facebook in particolare, è caratterizzato dalla preferenza per le interazioni sociali online rispetto a quelle faccia-a-faccia, da un’eccessiva preoccupazione per quanto succede online e da un uso “compulsivo” del social network che creano difficoltà nelle relazioni sociali quotidiane ma anche nella vita scolastica e lavorativa (Marino et al., 2017). Gli utenti problematici, infatti, sembrano avere bassi livelli di benessere psicologico e fare un uso in generale più problematico di internet.

Su questo argomento, sono state recentemente pubblicate le prime due meta-analisi, in cui sono stati analizzati i risultati di numerosi studi che hanno coinvolto oltre 27.000 utenti di Facebook residenti in Europa, Nord America e Asia (Marino, Gini, Vieno, & Spada, 2018a; Marino, Gini, Vieno, & Spada, 2018b). Tali studi evidenziano che gli utenti che utilizzano Facebook in maniera più problematica sono più a rischio di riportare segnali di distress psicologico, quali maggiori livelli di ansia e depressione (r = .35). Inoltre, gli stessi mostrano livelli più bassi di felicità e soddisfazione per la propria vita (r = –.19; Marino et al., 2018a) e autostima (r = -.23; Marino et al., 2018b). Sorprendentemente, i risultati indicano anche che i tanto studiati tratti di personalità hanno un ruolo del tutto marginale nel determinare la problematicità dell’uso: infatti, solo gli utenti con bassi livelli di stabilità emotiva (r = .22) e alti livelli di coscienziosità (r = -.16) sembrano essere più problematici. Inoltre, l’uso problematico di Facebook sembra essere soltanto leggermente più frequente tra le ragazze ed è risultato associato e ad una maggiore quantità di tempo spesa online. Quest’ultimo risultato, che evidenzia un’associazione media tra tempo speso online e problematicità (r = .32), indica che la quantità del tempo speso su internet e sui social è, come prevedibile, un aspetto importante, sebbene non esaustivo, dell’uso problematico dei social (Marino et al., 2018b).

Uso problematico dei social network: una questione di quantità?

A questa domanda, la ricerca scientifica sembra rispondere “no”. Infatti, se verosimilmente chi fa un uso problematico dei social passa anche molto tempo online, l’associazione tra quantità e qualità dell’uso di Facebook trovata nella meta-analisi non è grande abbastanza da sostenere l’idea che la frequenza d’uso e l’uso problematico siano comportamenti completamente sovrapponibili. È infatti verosimile che la maggior parte delle persone che usano molto spesso internet e i social ne facciano un uso positivo e funzionale (ad esempio, per ragioni accademiche e lavorative) e non soffrano dei sintomi tipici delle dipendenze (Pontes, Kuss, & Griffiths, 2015).

Inoltre, se da un lato spendere molto tempo sui social può essere considerato un comportamento normale e adattivo nell’attuale panorama della comunicazione 2.0, soprattutto per i più giovani (Griffiths & Kuss, 2017), dall’altro lato quando il coinvolgimento nei social diventa incontrollabile può avere un impatto negativo per una minoranza di utenti, per esempio, su qualità del sonno, obesità o rendimento scolastico (Carbonell & Panova, 2017; Griffiths, Fernadez, Pontes, & Kuss, 2018). Per questa ragione sembra particolarmente importante distinguere la quantità dell’uso dei social dagli effetti della qualità dell’uso problematico degli stessi.

In un recente studio, Twenge e colleghi (2018a) sostengono che l’aumento di sintomi depressivi tra le ragazze americane dal 2010 ad oggi possa essere imputabile, insieme ad altri fattori, a un uso sempre più massiccio dei nuovi media e in particolare dei social media. In particolare, però, gli autori riportano correlazioni basse tra l’uso di dispositivi elettronici e ideazioni suicidarie (r = .12) e associazioni ancora più basse tra uso dei social media e depressione (r =. 05).

In un altro articolo, Twenge e colleghi (2018b) riportano, inoltre, un’associazione molto piccola tra la diminuzione dei livelli di felicità dei giovani e l’aumento del tempo passato sui social media (r = -.01). Questi risultati sostengono l’idea sempre più condivisa nel panorama scientifico internazionale che usare frequentemente i social sia ormai lo status quo ma che non sia necessariamente un problema per la maggior parte degli utenti (Griffiths et al., 2018). Infatti, in un momento storico in cui essere sempre connessi è la normalità, è sempre meno utile per i ricercatori conoscere l’entità della quantità del tempo speso online. Sembra, invece, che sia la qualità dell’uso dei social a rendere l’uso problematico e ad essere associato con sintomi depressivi e ansiosi (Griffiths & Kuss, 2017; Marino et al., 2018a). Per questa ragione, comprendere l’impatto dell’uso problematico dei social sul benessere psico-sociale sembra essere attualmente la via più utile per intervenire e prevenire questo fenomeno.

Su questi aspetti molti ricercatori a livello nazionale e internazionale si stanno attualmente interrogando, con l’obiettivo di fornire una più chiara definizione teorica del fenomeno dell’uso problematico dei social network e di proporre modelli di intervento coerenti e utili per la pratica clinica e la prevenzione (Kuss & Billieux, 2017).

Uso dei social network: prospettive di studio

Oltre a comprendere meglio i meccanismi sottostanti l’uso problematico di Facebook e gli altri fattori psicologici e sociali che possono influenzare un uso non positivo dei social network, le prospettive per la ricerca futura sono quelle di analizzare quali siano le specifiche attività svolte sui social network che possono indicare un uso più problematico e di verificare la possibile coesistenza di diversi problemi legati all’uso non positivo delle nuove tecnologie, come ad esempio l’uso problematico dello smartphone, la dipendenza da videogiochi o il cyberbullismo. La conoscenza di tali aspetti può, dunque, essere utilizzata concretamente in contesti clinici che mirino a ridurre gli effetti negativi dell’uso problematico delle tecnologie sul benessere degli utenti più o meno giovani (Spada, 2014).

Inoltre, poiché l’uso di Facebook e di altri social network occupa la vita quotidiana della quasi totalità delle persone, fin dalla prima adolescenza, i risultati degli studi analizzati suggeriscono la necessità, da un lato, di porre maggiore attenzione al riconoscimento dei primi segnali di un uso potenzialmente problematico e, dall’altro, di educare i ragazzi in modo tempestivo ed efficace ad un uso positivo e responsabile di internet. In quest’ottica, in linea con quanto sostenuto dai risultati qui presentati (Marino et al., 2018b), sarebbe importante proporre degli interventi nelle scuole che mirino a migliorare la qualità dell’uso dei social dei (pre)adolescenti, piuttosto che tentare di diminuire la quantità dell’uso.

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