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La psicologia positiva e i suoi ambiti di applicazione: il ruolo dello psicologo del benessere

Lo psicologo del benessere promuove la condizione soggettiva di benessere attraverso il potenziamento delle risorse già presenti nella persona, anche in una condizione di difficoltà non patologica. In altre parole usa l'approccio della psicologia positiva

Di Sabina Fasoli

Pubblicato il 24 Lug. 2018

Aggiornato il 02 Ott. 2018 12:48

Si è soliti pensare che abbiamo bisogno di rivolgerci allo psicologo solo davanti a una situazione di disagio, patologia o malessere conclamato. Fatichiamo a prendere in considerazione l’idea che si possa potenziare il benessere mentale così come si potenzia il benessere fisico.

 

Ma se “usassimo” lo psicologo per migliorare il nostro benessere? Se lo considerassimo un supporto a situazioni stressanti potenziali e non già in essere?

La psicologia positiva e i suoi ambiti di applicazione

Per rispondere a queste domande dobbiamo interpellare una branca della psicologia che si è focalizzata non sul porre rimedio agli aspetti peggiori della vita bensì alla costruzione di qualità positive (Seligman & Csikszentmihalyi, 2000): la psicologia positiva. I contributi di questa nuova prospettiva che guarda all’individuo non più in termini di carenze, deficit e patologie ma come detentore di risorse e potenzialità, è da considerarsi rivoluzionaria.  Fino a questo momento, infatti, il focus della ricerca psicologica è stato sul “riparare” qualcosa di malfunzionante mentre ora, grazie all’interesse per il benessere soggettivo è possibile focalizzare l’attenzione sull’individuazione di comportamenti che possono migliorare la qualità della vita, costruendo e potenziando skills e risorse già presenti in ognuno di noi per fronteggiare al meglio le situazioni stressanti.

Benessere: una definizione soggettiva

Inizialmente si era soliti pensare che il benessere fosse determinato da elementi di natura oggettiva come ad esempio un’abitazione molto grande, uno stile di vita agiato, lo status sociale, buone condizioni di salute, ecc.. Diversi studi hanno invece dimostrato che il benessere ha un carattere troppo soggettivo per poter essere ridotto ai termini sopra indicati. Ognuno di noi, infatti, elabora a proprio modo la qualità della vita in base alle carattetistiche personali e alle modalità con cui si rapporta con l’ambiente. Ad esempio, una persona con una posizione sociale elevata può sentirsi meno appagata a livello relazionale, rispetto ad una persona di rango inferiore ma con una vita attiva e ricca di interazioni sociali. In un altro caso, due persone affette dalla medesima malattia possono approcciare ad essa in modo arrendevole temendo di non essere in grado di superarla o in modo combattivo sapendo di avere le risorse per farle fronte.

Non siamo di certo i primi ad esserci interrogati su cosa sia il benessere; filosofi e teologi sono già andati in cerca di questa risposta e hanno pensato di correlarlo alla felicità (Oishi & Diener , 2001; Diener, Lucas, & Oishi, 2002). In che modo? Le indagini di cui disponiamo in merito alla rappresentazione della felicità ci forniscono 3 punti specifici. La felicità viene percepita come:

  • soggettiva: quello che rende felice una persona può rattristarne un’altra
  • temporale: non è detto che ciò che ci rende felici adesso lo farà anche in futuro
  • transitoria: quello che ci rende felici non mantiene nel tempo lo stesso effetto

Alla luce di quanto detto, quindi, si può pensare di definire il benessere soggettivo come “una condizione di raggiungiungimento di un equilibro inter e intra individuale” (Amoretti & Ciceri, 2008) racchiudendo così gli aspetti soggettivi e quelli di relazione con l’ambiente.

Psicologia positiva e benessere

Possiamo affermare che la psicologia positiva, per consentirci di definire il benessere così come abbiamo fatto e di associarlo alla felicità, è un movimento partito da due prospettive di base: quella edonica e quella eudaimonica.

Queste due prospettive hanno una diversa visione della felicità: nel primo caso si fa riferimento a un benessere e a una felicità di tipo soggettivo (Subjective well-being) legato alla sfera affettiva individuale che consiste nel raggiungimento di piaceri fisici e mentali. La seconda prospettiva, invece, ci presenta il benessere psicologico (Psychological well-Being) come legato alla sfera dell’auto-realizzazione anche in termini collettivi. C’è una continua interazione tra benessere indivuduale e collettivo per cui la felicità personale si realizza nell’ambito dello spazio sociale (Delle Fave, 2006). Il benessere è quindi un orizzonte raggiungibile solo mediante la messa in campo delle risorse personali e le competenze sociali disponibili (Delle Fave, 2007).

Benessere come risultato del pensare positivo

“Io penso positivo” non sono solo le prime parole di una nota canzone, sono anche il risultato di numerose ricerche condotte nelle aree della psicologia positiva che vedono il pensiero positivo come protagonista della percezione del benessere. È stato dimostrato che sapersi concentrare su emozioni positive rivela una disposizione a reagire positivamente agli eventi della vita, disposizione che ha influenze sulla salute delle persone arrivando anche ad allungarne la vita (Danner, Snowdon, & Friesen, 2001). Queste hanno, infatti, effetti sia terapeutici sia preventivi supportando il sistema immunitario e motivando all’attuazione di comportamenti sani (Salovey, Rothman, Detweiler, & Steward, 2000). Non trascurabile è l’utilità delle emozioni positive di fronte a eventi di elevata gravità: ad esempio, nei giorni successivi all’attacco al World Trade Center più le persone erano in grado si sperimentare emozioni positive (gratitudine per i cari al sicuro) più erano capaci di riprendersi dall’attacco (Fredrickson, Tugade, & Waugh, 2003).

Così come le emozioni negative hanno un ruolo adattivo che muove all’azione (ad. es.: fuggire in caso di pericolo), le emozioni positive sono adattive nei termini in cui favoriscono il repertorio cognitivo e comportamentale grazie all’avvicinamento al prossimo, all’esplorazione dell’ambiente, all’applicazione di modalità di pensiero più efficaci e creative (Isen, 1990). Emozioni positive e negative sono dunque complementari: le prime sono necessarie all’aumento a lungo termine delle risorse della persona, le seconde sono indispensabili per la sopravvivenza dell’organismo nell’immediato. Inoltre, le emozioni positive sono essenziali per la regolazione di quelle negative: mentre queste ultime se provate per lungo tempo possono costituire un fattore di rischio per la salute, le prime possono funzionare da “antidoto” per le situazioni stressanti. Diversi studi hanno dimostrato come l’attivazione cardiovascolare prodotta da esperienze negative possa essere ridotta rapidamente da stati emotivi positivi (Fredrickson & Levenson, 1998; Fredrickson B. L., 2000). Questa ipotesi degli autori, denominata undoing hypothesis, suggerise quindi che le persone sono in grado di aumentare il loro benessere psicofisico coltivando esperienze di emozioni positive in momenti opportuni per affrontare situazioni negative future (Fredrickson B. L., 2000).

A favore di queste ipotesi quindi, la psicologia positiva ha condotto ricerche che possono essere considerate opposte rispetto ai tradizionali approcci psicopatologici di studio della mente. Anziché partire dall’indagare, ad esempio, gli effetti prodotti da un trauma per scoprirne le cause e proporne il trattamento, grazie a questa prospettiva si parte dallo studio della predisposizione personale in soggetti dall’approccio ottimistico e positivo alla vita che li porta ad avere un maggior livello di resilienza e quindi a  resistere maggiormente a esperienze traumatiche o negative.

Psicologo del benessere e psicologia positiva

Il ruolo dello psicologo del benessere è quindi quello di supportare le persone al miglioramento della qualità della vita in diversi ambiti (lavoro, scuola, fasi di vita come gravidanza o invecchiamento, ecc…) favorendo il potenziamento positivo delle proprie caratteristiche personali che portano all’attuazione di strategie comportamentali che nutrono il benessere. Certo, questa figura non si distoglie completamente dalla diagnosi di disturbi già esistenti, anzi, interviene affinchè non diventino più gravi, ma di base non si limita alla solo supporto per la risoluzione di un problema specifico. In tal senso lo psicologo che fa riferimento alla prospettiva della psicologia positiva ci aiuta, quindi, ad uscire da atteggiamenti che interferiscono con il nostro “sentirci bene” e ci porta a far emergere tutte le risorse già presenti in noi in cui è necessario credere.

Siamo tutti “programmati” al benessere, dobbiamo solo prenderci cura di lui.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Amoretti, G., & Ciceri, M. R. (2008). Psicologia Generale. Città di Castello: Mc Graw-Hill.
  • Danner, D., Snowdon , D., & Friesen, W. (2001). Positive emotions in early life and longevity: findings from the nun study. Journal of Personality and Social Psychology , 80, 804-813.
  • Delle Fave, A. (2006). Dimensions of well-being. Research and intervention. Milano: Franco Angeli.
  • Delle Fave, A. (2007). Introduzione. Le dimensioni soggettive del benessere e la psicologia positiva. In A. Delle Fave, La condivisione del benessere. Il contributo della psicologia positiva. (p. 9-19). Milano: Franco Angeli.
  • Diener, E., Lucas, R. E., & Oishi, S. (2002). Subjective well-being: The scienceof happiness and life satisfaction. In C. R. Snyder, & S. J. Lopez, Handbook of Positive Psuchology (p. 463-73). London : Oxfor University Press.
  • Fredrickson, B. L. (2000). The undoing effect of positive emotions. Motivation and Emotion (24), 237-258.
  • Fredrickson, B. L., & Levenson, R. W. (1998). Positive emotions speed recovery from the cardio-vascular sequelae of negative emotions. Cognition and Emotion (12), 191-220.
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