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La stimolazione cognitiva per soggetti con Mild Cognitive Impairment (MCI)

La prevalenza di Mild Cognitive Impairment (MCI) nella popolazione anziana varia dal 3% al 6% e costituisce un importante fattore di rischio verso lo sviluppo di diverse forme di demenza. Nel contrastare questa forma di deterioramento cognitivo precoce sono stati sviluppati oggi diversi approcci di training cognitivo.

Di Ilaria Biasion

Pubblicato il 20 Lug. 2018

Aggiornato il 28 Giu. 2019 11:52

Lo stadio di deterioramento cognitivo lieve viene definito con il termine di Mild Cognitive Impairment (MCI). Rappresenta una sindrome neurologica che fa riferimento ad un declino cognitivo superiore a quanto previsto per età e livello di istruzione di un individuo ma che lascia preservate le principali attività della vita quotidiana, di conseguenza può essere inteso come una fase intermedia tra il normale invecchiamento e la demenza vera e propria.

Ilaria Biasion – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi, Bolzano

 

Si deve incominciare a perdere la memoria, anche solo brandelli di ricordi,
per capire che in essa consiste la nostra vita…
La nostra memoria è la nostra coerenza,
la nostra ragione, il nostro sentimento, persino il nostro agire.
Senza di essa non siamo nulla.

Luis Bunuel

 

La Mild Cognitive Impairment (MCI) è una condizione clinica che è stata inquadrata negli anni dai vari studiosi in modi diversi e con classificazioni diverse al fine di giungere in modo sempre più dettagliato e preciso alla definizione di una condizione pre-demenza sulla quale poter intervenire.

Secondo alcuni studi, non tutti i pazienti affetti da Mild Cognitive Impairment convertono verso la demenza, il 60% di loro rimane infatti cognitivamente stabile in un arco temporale di 2-3 anni (De Jager, 2005; Johnson, 1998) e pare addirittura, secondo altri studi, che il 44% dei soggetti definiti MCI torni ad una condizione di normalità dopo un anno (Ganguli, 2004; Ritchie, 2004).

Il fatto che esistano in letteratura numerosi studi relativi alla stabilità cognitiva e alla reversibilità dei soggetti affetti da Mild Cognitive Impairment potrebbe essere dovuto al fatto che molti sono i fattori, oltre alla malattia neurodegenerativa, che possono influenzare le prestazioni cognitive nella popolazione anziana, come ad esempio la scolarità, i fattori di rischio vascolare, lo stato psichiatrico, l’assunzione di farmaci anticolinergici, il background genetico, i cambiamenti ormonali (Belleville, 2008).

Nonostante questi dati, il decadimento cognitivo lieve può essere considerato comunque un fattore di rischio per la demenza. Secondo alcuni studi infatti, circa la metà dei soggetti in questa condizione sviluppa diagnosi di demenza conclamata, con un tasso di passaggio del 10-15% per anno, per salire a percentuali variabili dal 20 al 50% in 2-3 anni (Jellinger, 2003), a differenza dei soggetti anziani normali che sviluppano la malattia dementigena con un tasso molto inferiore (1-2%) (Petersen, 2000).

È proprio in quest’ottica che si inquadra il grande interesse nei confronti del Mild Cognitive Impairment, inteso come entità clinica ad alto rischio per lo sviluppo di demenza.

Criteri diagnostici

La prevalenza del MCI nella popolazione anziana varia dal 3% al 6% a seconda dei criteri e dei metodi usati per la diagnosi (Kivipelto, 2001), arrivando fino al 15% nel Mayo Clinic Study of Aging (Petersen, 2009).

Come definito da Petersen e coll. (1996), esistono una serie di criteri operativi per definire il Mild Cognitive Impairment, in particolare:

  • presenza di un disturbo soggettivo di memoria, preferibilmente confermato da un familiare
  • deficit di memoria maggiore di quello che ci si aspetterebbe nei soggetti di pari età e scolarità, definito in termini di prestazioni inferiori al gruppo di controllo
  • normale funzionamento cognitivo generale
  • normali capacità di eseguire attività nella vita quotidiana
  • assenza di demenza
  • assenza di altre condizioni morbose che possano spiegare il disturbo di memoria (ad es. depressione, malattie endocrine ecc.)

Tali criteri selezionano un gruppo di pazienti le cui difficoltà di memoria sono molto simili a quelle dei pazienti affetti da Demenza di Alzheimer (AD), mentre il funzionamento cognitivo generale appare molto più simile a quello dei soggetti sani (Petersen, 1999; 2000).

Nel 2001 Peteresen e collaboratori hanno proposto un’estensione del concetto a causa dell’eterogeneità dei sintomi d’esordio nei pazienti con MCI, mentre nel 2004 hanno proposto una suddivisione dei pazienti MCI in singolo dominio o multi dominio a seconda della compromissione di una o più funzioni cognitive, e amnestico o non-amnestico, a seconda che la memoria fosse interessata o meno.

Poiché le varie forme di Mild Cognitive Impairment possono essere indicative di differenti tipi di demenza come la demenza di Alzheimer, la demenza vascolare, la demenza fronto-temporale, l’afasia progressiva primaria, la demenza a corpi di Lewy, è molto importante caratterizzarle accuratamente. La variante a-MCI sembra infatti evolvere più frequentemente verso una demenza di Alzheimer mentre gli altri tipi di MCI possono evolvere anche verso le altre forme di demenza (Perry, 2007).

Compromissione cognitiva e funzionale

Per quanto riguarda il deficit cognitivo dei pazienti affetti da Mild Cognitive Impairment, come detto in precedenza, possono essere coinvolti diversi domini cognitivi.

Le difficoltà mnestiche spesso rappresentano il sintomo principale. Il deficit di memoria descritto negli MCI è primariamente a carico della cosiddetta memoria a lungo termine dichiarativa, ovvero di quella memoria accessibile alla consapevolezza, riguardante fatti o eventi della propria vita e memorie relative al proprio bagaglio di informazioni generali. Il deficit di memoria a lungo termine può essere dovuto a difficoltà nella fase di codifica delle nuove informazioni, a un rapido oblio a carico delle nuove informazioni, oppure a una maggior sensibilità alle interferenze esterne.

I pazienti MCI con maggior probabilità di progredire verso la demenza di Alzheimer, tendono ad avere prestazioni peggiori ai test neuropsicologici di memoria in cui è richiesta la rievocazione libera del materiale, e pare traggono anche minor beneficio dalla disponibilità di indizi (Ivanoiu, 2005).

I soggetti affetti da Mild Cognitive Impairment, quindi, dimenticano più spesso informazioni acquisite, faticano a ricordare eventi socialmente importanti, perdono facilmente il filo dei propri pensieri o di una conversazione in corso e hanno, inoltre, difficoltà nel prendere decisioni, pianificare o compiere un dato compito e portare a termine istruzioni impartitegli.

Come già specificato, le persone affette da MCI, oltre a presentare difficoltà cognitive legate alla memoria o ad altre funzioni, possono presentare un grado di difficoltà funzionale che però non interferisce con le loro normali attività della vita quotidiana. Stimare il grado di compromissione funzionale del paziente appare difficile. Alcuni studi epidemiologici mostrano che negli individui con MCI è frequente una lieve difficoltà nello svolgere le attività quotidiane, ad esempio attività sociali o gestione delle proprie finanze, già due anni prima della diagnosi. La difficoltà in altre attività come ad esempio usare il telefono, assumere correttamente i farmaci prescritti e guidare l’automobile è più facile che si manifesti in una fase avanzata della malattia segnando il passaggio a una demenza (Barberger-Gateau & Fabrigoule, 1999).

Questi dati, tuttavia, rimangono variabili poiché, come già ricordato, non esistono criteri che definiscano in modo chiaro quale debba essere il grado di compromissione funzionale. Il consenso comune e prevalente in letteratura è che il soggetto con Mild Cognitive Impairment sia in grado di svolgere autonomamente le attività strumentali più complesse della vita quotidiana anche se eventualmente con qualche difficoltà. È possibile usare scale quali Instrumental Activities of Daily Living (IADL) e Activities of Daily Living (ADL) (Katz, 1970) per la determinazione dello stato funzionale nelle attività di base e strumentali della vita quotidiana. Rimane utile raccogliere informazioni relativamente alla quotidianità del soggetto tramite il colloquio con un famigliare il quale possa dare utili ragguagli sul livello di rendimento nella vita di tutti i giorni dal paziente.

Secondo alcuni studi longitudinali (Perry, Carlesimo, Serra et al., 2005), comunque il miglior fattore di predizione verso la AD può essere individuato grazie ai test neuropsicologici, nella presenza di prestazioni patologiche alle prove di memoria (esplicita verbale, esplicita visiva, semantica).

Il trattamento: stimolazione e training cognitivo

La possibilità di identificare precocemente i pazienti affetti da MCI risulta oggi particolarmente importante poiché l’intervento in questa fase permetterebbe di rallentare la progressione della malattia e mantenere una buona qualità della vita, prolungandone la durata.

La maggior parte degli sforzi in questo senso è stata rivolta all’a-MCI e alla sua evoluzione verso la demenza (AD).

Fattori di rischio modificabili quali istruzione, fumo, obesità, ipertensione, diabete, depressione e inattività fisica, contribuiscono in modo significativo al rischio di AD e solo una riduzione del 10-25% di questi fattori potrebbero evitare ben 3 milioni di casi di AD in tutto il mondo (Barnes & Yaffe, 2011).

A causa della difficoltà dei rimedi farmacologici nel prevenire o trattare la demenza, oggi molte ricerche si occupano di verificare l’efficacia di interventi come l’esercizio fisico e il trattamento cognitivo. Quest’ultimo, in particolare, pare essere un campo all’interno del quale negli ultimi anni la ricerca si sta muovendo al fine di trovare alternative valide e maggiormente efficaci alla cura farmacologica nella prevenzione della demenza. Tra le tecniche riabilitative per pazienti affetti da deterioramento cognitivo di vario grado si distinguono 3 categorie:

  • Training cognitivo: compiti specifici e guidati che riflettono determinate funzioni cognitive (memoria, attenzione, problem solving, funzioni esecutive) con lo scopo di migliorare o almeno mantenere la specifica funzione e con la possibilità di generalizzare i risultati alla vita quotidiana (Clare & Woods, 2003). Il training cognitivo può essere svolto sia singolarmente che in gruppo, a mano (con carta e matita) o al computer e può comprendere lo svolgimento di attività che ricordano quelle della vita quotidiana del soggetto
  • Stimolazione cognitiva: coinvolgimento dei pazienti in attività create per incrementare le funzioni cognitive e sociali senza utilizzare tecniche specifiche. Essa si basa su un’autovalutazione, in cui i soggetti indicano il loro grado di partecipazione ad una serie di attività voluttuarie o sociali
  • Riabilitazione cognitiva: programmi di esercizi individualizzati con lo scopo di insegnare al soggetto come superare le disabilità conseguenti al deficit cognitivo (Clare & Woods, 2003)

Sia il training cognitivo che la stimolazione cognitiva sono potenzialmente applicabili a soggetti normali o con deterioramento cognitivo lieve a scopo di aumentare le loro prestazioni e prevenire l’eventuale insorgenza o progressione verso il deterioramento cognitivo.

Il concetto di training cognitivo si basa sul presupposto che attraverso una serie di esercizi ripetuti gli individui possano migliorare le prestazioni mentali, così come avviene per il sistema motorio grazie all’esercizio sportivo (Sherry & Willis, 2006). Considerando il training cognitivo da un punto di vista riabilitativo, uno degli aspetti più interessanti è la possibilità non solo di migliorare abilità apprese ma anche di apprenderne di nuove, grazie alle quali la persona possa adattarsi meglio all’ambiente. Il training cognitivo determina anche un aumento della plasticità cerebrale, che è il principale presupposto di una più ampia possibilità di riabilitazione delle funzioni intellettive.

Assomensana: un nuovo programma di training cognitivo

Partendo proprio da questo presupposto e dall’importanza che riveste l’esercizio cognitivo sia nella prevenzione dell’invecchiamento mentale, sia come protezione durante le fasi di esordio della malattia degenerativa, negli ultimi anni una nuova realtà si è fatta strada in questo campo, una realtà ormai presente sul territorio nazionale da più di 10 anni che si occupa di ricerca anti-aging cerebrale e delle sue applicazioni, offrendo la possibilità a tutti di conoscere e mettere in pratica le tecniche per migliorare le capacità cognitive e per prevenire l’invecchiamento mentale.

Assomensana, Associazione per lo sviluppo e il potenziamento delle abilità mentali, propone dei veri e propri training cognitivi, una Ginnastica Mentale®, il cui scopo è quello di mantenere ad un livello costante e ottimale l’agilità, la flessibilità e le prestazioni del cervello. Il metodo Mensana propone una stimolazione efficace e strutturata, sottoposta continuamente a verifica di efficacia. Gli esercizi di training presentati sono utili e servono per attivare tutte le aree del cervello e le diverse funzioni mentali attraverso una serie di esercizi carta e matita da svolgersi in gruppo somministrati da un esperto neuropsicologo, utili proprio a creare un’attivazione cognitiva a 360 gradi. La Ginnastica Mentale Assomensana mira a sensibilizzare le persone sull’importanza della prevenzione e del mantenimento dell’efficacia delle funzioni cognitive a tutte le età e non di meno nelle fasi di Mild Cognitive Impairment.

L’intervento cognitivo con i pazienti affetti da MCI può essere quindi molto utile a queste persone, le quali presentano un notevole bisogno di cure, pur mantenendo le capacità di apprendere e applicare nuove strategie. Gli interventi devono quindi mirare a migliorare il funzionamento dei pazienti nella loro quotidianità e preservare la loro qualità di vita (Clare & Woods, 2003).

Gli esercizi utilizzati per la riabilitazione cognitiva comprendono numerose tecniche, in particolare troviamo quelle focalizzate sull’ottimizzare le capacità mnemoniche residue come ad esempio:

  • Spaced Retrieval, dove viene chiesto di ripetere continuamente un’informazione rinforzando così il suo immagazzinamento. Il beneficio dell’apprendimento si ha quando il ripasso è ripetuto aumentando la distanza temporale. Si sono riscontrati benefici nell’associazione viso-nome, nella denominazione di oggetti e nella programmazione di attività quotidiane
  • Vanishing Cue, dove tramite la riduzione graduale degli indizi forniti, l’apprendimento viene consolidato
  • Errorless Learning Tecnique, prevede che durante la fase di codifica il paziente memorizzi il materiale commettendo il minor numero di errori
  • Subject Performed Task, dove l’apprendimento viene consolidato attraverso azioni corrispondenti a quanto deve essere appreso
  • Memory Training, ovvero specifici interventi riabilitativi di addestramento della memoria, finalizzati a stimolare l’apprendimento procedurale motorio, sensoriale e cognitivo. Questo training di memoria stimola varie aree cognitive in quanto agisce sui meccanismi alla base dei processi di memorizzazione, fluenza verbale, orientamento spazio-temporale, coinvolgendo anche affettività ed emotività. Nella pratica le sessioni di training di memoria si articolano in gruppi di 10-12 persone in modo da favorire il confronto tra i pazienti sulle loro difficoltà quotidiane e sulle strategie che adottano per superarle. Inoltre durante le sessioni viene sempre favorita la presa di coscienza delle proprie specificità piuttosto che l’esatta risoluzione degli esercizi proposti

Altre tecniche diverse da quelle descritte fino ad ora, invece prendono in considerazione anche le implicazioni affettive dei deficit cognitivi del paziente, avendo esse un impatto notevole sulla memoria, su tutte le funzioni cognitive in generale e sulla qualità della vita. Tali tecniche sono ad esempio la 3R, che integra ROT, Reminescenza e Rimotivazione, e la Validation Therapy.

Anche strategie di compensazione come agende, diari, calendari, lavagne, registrazioni possono essere usati per sostenere le capacità di richiamare le informazioni.

Non solo è importante stimolare la funzione mnesica, ma a seconda della compromissione cognitiva iniziale, valutata attraverso una batteria di test neuropsicologici adeguati, saranno stimolate anche funzioni come il linguaggio, il riconoscimento, il ragionamento, l’orientamento e l’attenzione, ovvero quelle funzioni che tendono a decadere con il tempo.

La maggior parte delle ricerche sugli effetti del training cognitivo in MCI ha rilevato un aumento delle prestazioni dei pazienti dopo l’allenamento della memoria.

Altre tipoligie di intervento in pazienti affetti da Mild Cognitive Impairment

Alcuni studi di meta-analisi (Valenzuela, 2006) hanno dimostrato che mantenere un’attività mentale articolata nelle fasi medie e tardive della vita si associa ad una significativa riduzione dell’incidenza di demenza.

Negli ultimi anni inoltre studi sugli animali hanno mostrato come l’esercizio fisico associato ad un ambiente cognitivamente e socialmente stimolante, in grado di favorire l’interazione sociale, ovvero quello che viene definito “ambiente arricchito”, migliori le prestazioni cognitive, rallenti il declino cognitivo dell’anziano (Fratiglioni, Paillard-Borg & Winblad, 2004; Kramer & Erickson, 2007; Laurin, Verreault & Lindsay, 2001) eserciti azioni neuroprotettive e aumenti la plasticità sinaptica corticale (Knopma & Boland, 2001; Marx, 2005).

Secondo una revisione effettuata da Belleville e coll. (2007), il training cognitivo si è rivelato utile per ottimizzare le funzioni cognitive in pazienti anziani affetti da Mild Cognitive Impairment. Inoltre i risultati della sua revisione hanno dimostrato che il training negli anziani con MCI ha avuto un effetto migliore nei soggetti di mezz’età e cognitivamente più conservati.

In una ricerca condotta da Rozzini e coll. nel 2007, sono stati riportati gli effetti di tre diverse tipologie di trattamento sui pazienti MCI. In particolare in questo studio randomizzato 59 soggetti con diagnosi di Mild Cognitive Impairment venivano trattati in modi diversi, 15 ricevevano terapia farmacologica (ChEIs) e venivano sottoposti a un training cognitivo, 22 venivano trattati solo con la terapia farmacologica (ChEIs), mentre gli altri 22 non venivano sottoposti a nessun trattamento. La valutazione neuropsicologica prima e a 3 mesi dalla fine dell’intervento, ha evidenziato come i pazienti senza nessun trattamento abbiano mantenuto il loro stato cognitivo, funzionale e comportamentale a un anno, i pazienti trattati solo con il farmaco hanno migliorato solo i sintomi depressivi, mentre i pazienti trattati con farmaco e training cognitivo hanno evidenziato miglioramenti in aree cognitive come la memoria, nei compiti di problem solving, nei disturbi comportamentali e nei sintomi depressivi.

Infine Kurz e coll. nel 2009 hanno messo appunto un trattamento cognitivo multi-componente per i pazienti affetti da MCI. Il trattamento prevedeva attività di pianificazione, tecniche di rilassamento, gestione dello stress, training di memoria ed esercizi motori. I soggetti sottoposti a tale intervento mostravano un significativo miglioramento in tutte e 4 le variabili, la performance ADL aumentava, il punteggio sulla depressione era abbassato del 50% e si evidenziavano miglioramenti sulla performance di memoria episodica verbale e non. Il gruppo di controllo, non sottoposto al trattamento, mostrava un peggioramento riguardo i sintomi depressivi e i risultati cognitivi, e una stabilità delle ADL.

Per concludere tutti gli studi scientifici citati mostrano l’efficacia e l’importanza di un intervento di stimolazione e training cognitivo per pazienti a rischio di sviluppo demenza.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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