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La responsabilità di crescere un figlio maschio nell’era del #MeToo

Crescere un figlio nell’era del #MeToo è una grande responsabilità. Secondo Peter Glick per cambiare le cose si dovrebbe partire proprio dall'educazione dei figli maschi, spronandoli sin da piccoli a mettersi nei panni degli altri per imparare a non considerare l’altro, in particolare la donna, come un oggetto.

Di Valentina Davi

Pubblicato il 23 Lug. 2018

Cosa dovremmo insegnare ai nostri figli? Innanzitutto che la donna non deve essere messa su di un piedistallo, trattata come fragile o bisognosa di cure in quanto donna. Piuttosto, insegnamo loro che deve essere protetto chiunque sia vulnerabile, indipendentemente dal sesso.

 

In Italia il 21% (4 milioni 520 mila) delle donne ha subito violenza sessuale e il 5,4% (1 milione 157 mila) ne ha subito le forme più gravi come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila). Questi dati sono riportati nell’ultimo rapporto pubblicato dall’ISTAT e non considerano le violenze non denunciate.

Se a ciò aggiungiamo anche tutti quegli episodi di molestie non fisiche, bensì verbali, subite per esempio a scuola, sul lavoro, per strada o sui social, abbiamo un’idea della portata del fenomeno e forse non ci stupiscono più così tanto la risonanza e la diffusione che ha avuto il movimento #MeToo a livello internazionale.

Molestie e violenza: come arginare i fenomeni

Alla luce di ciò, c’è qualcosa che possiamo fare per arginare questo preoccupante fenomeno che affonda plausibilmente le proprie radici in una cultura prevalentemente maschilista?

Risponde in merito lo psicologo Peter Glick, interpellato da David McGlynn in un articolo apparso sul NY Times il 01 giugno 2018: bisogna ripartire dall’ educazione dei figli maschi.

Cosa dovremmo insegnare, quindi, ai nostri figli?

Innanzitutto, che la donna non deve essere messa su di un piedistallo, trattata come fragile o bisognosa di cure in quanto donna; non deve essere protetta a prescindere. Piuttosto, insegnamo ai nostri figli che deve essere protetto chiunque sia vulnerabile, indipendentemente dal sesso.

Sproniamo i maschi sin da piccoli a mettersi nei panni degli altri, soprattutto delle femmine; promuoviamo in loro l’empatia, primo passo per imparare a non considerare l’altro, in particolare la donna, come un oggetto.

Mostriamo loro la parità di genere, che passa anche dal mettergli in mano uno straccio della polvere o un ferro da stiro.

Scardiniamo gli stereotipi di genere, incoraggiando attività e lavori che culturalmente sono assegnati all’altro sesso.

Accogliamo e incentiviamo tutte le manifestazioni emotive, non solo quelle considerate più maschili (come la rabbia o il mostrarsi forti); permettiamo loro di esprimere sentimenti di tristezza e vulnerabilità.

Tutti questi insegnamenti non devono essere trasmessi solo a parole, bensì, e soprattutto, tramite l’esempio, una delle armi educative più potenti che abbiamo a nostra disposizione assieme al dialogo. I papà, per esempio, con il loro comportamento nei confronti della propria partner, della propria madre, delle proprie figlie, giocano agli occhi dei propri figli un ruolo importantissimo nel veicolare l’immagine e l’opinione riguardo al genere femminile.

Crescere un figlio maschio nell’era del #MeToo è quindi una grande responsabilità; bisogna tenerlo bene in mente e rimboccarsi le maniche per far sì che i nostri bambini diventino in futuro dei bravi ragazzi e di conseguenza sempre meno ragazze debbano confessare “#MeToo”.

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Valentina Davi
Valentina Davi

Coordinatrice di redazione di State of Mind

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