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Smetto quando voglio – Ciottoli di Psicopatologia Generale Nr. 30

Ogni giorno ci troviamo a dover affrontare un cambiamento, non sempre questo processo è facile e a volte un suo blocco può determinare lo sviluppo di una psicopatologia. Ciò che rende così difficile cambiare è il valore che attribuiamo agli scopi connessi al percorso che ci troviamo a dover abbandonare.

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 18 Lug. 2018

Secondo George Kelly il cambiamento è dato e non necessita di essere spiegato, semmai ciò che va spiegato e che è la radice ultima di ogni psicopatologia è il suo blocco.

CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE – Smetto quando voglio (Nr. 30)

 

Da un esame delle lettere dei lettori alle rubriche più o meno psicologiche dei più importanti quotidiani e settimanali (condotta dall’istituto europeo Psychopress nel dicembre 2016) emergono due evidenze: in primo luogo i temi riguardano per l’80% le cosiddette “questioni di cuore” e comunque sempre le relazioni interpersonali affettive; in secondo luogo il soggetto stesso sa perfettamente come sarebbe  giusto comportarsi e cosa vorrebbe ma non riesce a metterlo in atto.

Spesso le persone si criticano aspramente per non riuscire a interrompere comportamenti che non gli piacciono, che si tratti di un rituale ossessivo, di una cattiva abitudine o di un impresa inutilmente dispendiosa. Sanno cosa sarebbe sensato fare, lo vogliono ma non ci riescono.

In questi casi può essere utile un consulto con uno psicoterapeuta che aiuti a uscire dalla trappola in cui ci si è cacciati pur senza essere matti. Spesso sono sufficienti pochi incontri per fare il punto della situazione.

Cambiamento e Psicopatologia

Secondo George Kelly il cambiamento è dato e non necessita di essere spiegato, semmai ciò che va spiegato e che è la radice ultima di ogni psicopatologia è il suo blocco. Prima di lui ad Eraclito con il suo famosissimo “panta rei” era stato attribuito lo stesso concetto.

Il cambiamento è la normale risposta con cui un sistema vivente supera gli ostacoli che un ambiente, a sua volta mutevole, pone al raggiungimento dei propri scopi. Si ha dunque un continuo fluttuare della relazione tra organismo e ambiente in cui il cambiamento di ciascun polo è conseguenza e causa del cambiamento dell’altro. Essendo il nostro interesse centrato sull’organismo, diremo che esso si adatta ai mutamenti dell’ambiente modificando le mappe dell’ambiente e di se stesso e dunque elaborando nuove e più efficaci strategie di perseguimento dei propri scopi o, al limite, cambiando gli scopi che si rivelano irraggiungibili (è il famoso lavoro del lutto).

In estrema sintesi il problema della psicopatologia può essere ridotto alla domanda “perchè non si cambia (strategie e/o gli stessi scopi) quando sembrerebbe possibile e conveniente farlo?”.

Come i nostri scopi influenzano il processo di cambiamento?

In questo breve scritto intendiamo soffermarci soltanto su uno dei fattori che impediscono il cambiamento la cui potenza è sottovalutata e che vediamo costantemente all’opera nelle scelte della vita quotidiana, ben al di là della psicopatologia, al punto da minarne la razionalità pratica (intesa in senso Baroniano del “basta che funzioni”). La sua pervasività è tale che al termine dell’esame dei suoi effetti dannosi sul benessere emotivo e più semplicemente sul buon senso ci correrà l’obbligo di ipotizzare i motivi per cui è stato evolutivamente selezionato entrando a far parte del patrimonio umano.

Il tema è stato studiato magistralmente da Kaneman ed è noto con il nome di bias dei costi sommersi. Con ciò si intende che il valore di uno scopo, direttamente proporzionale alle risorse che si è disposti ad investire per il suo perseguimento determinando così il comportamento, è formato da due componenti.

Un valore strutturale o stabile definito dalla sua collocazione nella gerarchia piramidale degli scopi, ovvero quanto è semplicemente strumentale ad altri scopi o quanto rappresenta esso stesso uno scopo apicale (detto in parole povere quanto è direttamente connesso con la sopravvivenza). È evidente che è più importante avere una casa sicura che un ottimo corredo da golf.

Un valore aggiuntivo o “plus valore variabile” determinato dalle risorse che si sono fino ad allora già investite per il suo perseguimento. È l’altra faccia della medaglia della bellissima affermazione del Piccolo Principe quando spiega che il valore della sua rosa è molto superiore a quello delle altre rose a motivo delle cure e del tempo che vi ha dedicato. È il motivo per cui molti continuano a leggere un brutto libro o a vedere un pessimo film fino in fondo solo perché hanno iniziato. Probabilmente smettere di farlo comporterebbe dover ammettere di aver fatto una scelta sbagliata e di aver perso tempo (insomma di aver sprecato risorse) e per questo motivo si sprecano ulteriori risorse per perseguire un progetto perdente. Purtroppo non si tratta solo di libri o film, per lo stesso motivo non si abbandonano investimenti economici in perdita, non si lascia il tavolo da gioco tanto più si sta perdendo, si continuano terapie mostratesi inefficaci e soprattutto si persevera in relazioni interpersonali insoddisfacenti, mortificanti e talvolta mortali (“dopo tutti questi anni!!!”). In taluni casi si conserva la speranza in un cambiamento, in un esito inaspettatamente diverso, ma in genere è sufficiente la constatazione di quanto un’impresa sia costata fino a quel momento per renderla irrinunciabile secondo il ben noto adagio “abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno” che sarebbe da sostituire piuttosto con il più saggio “ho già dato!” .

L’aspetto inquietante e pericoloso è che si attiva un circolo di rinforzo a feedback positivo inarrestabile in quanto ovviamente questo plus valore non può che accrescersi aumentando dunque le risorse che si investiranno nello scopo che di conseguenza continuerà ad accrescere il suo valore complessivo. Come un buco nero interstellare assorbe tutto aumentando continuamente il suo potere attrattivo. Un osservatore esterno la descriverebbe come “una impuntatura” testarda e immotivata notando la discrepanza tra l’apparente scarsa importanza del risultato che si persegue nell’ambito dell’economia esistenziale del soggetto e l’enormità degli sforzi inutili che vengono messi in atto per perseguirlo, nonché la sofferenza emotiva che li accompagna. A ben guardare nella vita di ognuno si possono trovare  aree di tale accanimento inutile e dannoso di cui in genere l’interessato non si avvede neppure.

Qual è il motivo di questo comportamento?

Ma se ci  comportiamo così da stupidi un motivo dovrà pur esserci. Proviamo a ragionarci.

È evidente che tale meccanismo spinge alla fedeltà indipendentemente se ciò a cui si è fedeli sia positivo o negativo. Il che farebbe supporre sia stato predisposto da un creatore a sua volta fissato con l’istituzione matrimoniale ma questo è poco credibile al di fuori di una certa ortodossia cattolica e comunque data l’inefficienza del meccanismo stesso proprio nella preservazione dei matrimoni ne invaliderebbe la presunta onnipotenza e dunque Lui stesso sembra non rivendicarne la paternità.

C’è tuttavia un altro campo in cui è importante fare grossi investimenti a fondo perduto, senza badare a spese e senza la certezza di riceverne i frutti, dunque un’impresa ragionevolmente folle per un individuo ma vantaggiosissima per la specie, ed è l’allevamento dei figli.

La specie, per utilizzarci al suo servizio, ha predisposto due trappole. La prima connotando di piacere le procedure propedeutiche alla fecondazione; la seconda, più importante e duratura, è appunto il bias dei costi sommersi per cui più un figlio è bisognoso di cure perché piccolo o malato più aumenta il suo valore e l’impegno del genitore. Le notti passate in bianco, i chilogrammi di cacca tolta con i pannolini, gli enormi costi per il loro mantenimento rendono i figli importanti per i genitori non meno delle soddisfazioni che gli danno e i sorrisi che gli fanno. E non sono forse le relazioni affettive più sofferte e strazianti ad essere le più difficili da interrompere?

Succede spesso che meccanismi selezionatisi in certi contesti generali dove sono utilissimi finiscano per essere dannosi in ambiti diversi ed individuali. Insomma se è un bene perseverare “costi quel che costi” nell’allevamento di un figlio, sia per la specie che per lo stesso individuo, è stupido e dannoso farlo rispetto ad un lavoro, un’impresa e soprattutto una relazione. Lo psicoterapeuta ci può aiutare a distinguere tra un figlio e un brutto libro per tenere il primo e gettare il secondo e a non crepare in giardino perché va bene che è la nostra, ma è pur sempre solo una rosa.

 

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