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Asfissia perinatale: cause, caratteristiche e fattori di rischio

L’ asfissia perinatale è tra le principali cause di danno cerebrale nei neonati a termine. Il meccanismo per cui si verifica è conosciuto solo in parte, ma in molti casi è presumibilmente legato ad una anomala formazione della placenta.

Di Valeria Mancini, Serena Pattara

Pubblicato il 02 Lug. 2018

Aggiornato il 28 Giu. 2019 12:03

L’incidenza di morte o di limitazioni neurologiche gravi per asfissia perinatale è di 0,5-1,0 per 1000 nati vivi nei paesi industrializzati, mentre nei paesi in via di sviluppo l’ asfissia perinatale risulta avere un’incidenza maggiore. 

Valeria Mancini, Serena Pattara – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi, San Benedetto del Tronto

 

L’uso della terminologia sofferenza fetale, per la diagnosi ante e intrapartum, e di asfissia, per la diagnosi perinatale, è stato recentemente oggetto di molti dibattiti ed argomentazioni.

Cosa s’intende per sofferenza fetale?

La Classificazione Internazionale delle Malattie (IX revisione, Modificazioni Cliniche, 1 Ottobre 1998) identifica come condizione di sofferenza fetale la presenza di acidemia fetale metabolica, escludendo quindi l’equilibrio acido-base anomalo, le anomalie del ritmo o della frequenza cardiaca fetale, la tachicardia fetale ed il liquido tinto di meconio dalla definizione stessa.

Questa patologia alla nascita riguarda circa l’8% del totale delle morti dei bambini fino a cinque anni e rappresenta la quinta causa di morte dopo la polmonite, la diarrea, le infezioni neonatali e la nascita prematura (Borrelli et al., 2007).

Asfissia perinatale

L’ asfissia perinatale costituisce una causa importante di danno cerebrale perinatale acquisito nei neonati a termine. L’incidenza di morte o di limitazioni neurologiche gravi consecutive ad asfissia perinatale è di 0,5-1,0 per 1000 nati vivi nei paesi industrializzati, mentre nei paesi in via di sviluppo l’ asfissia perinatale risulta avere un’incidenza maggiore.

È stato calcolato che, su 130 milioni di nascite annue nel mondo, 4 milioni di neonati soffrono di asfissia perinatale, e di questi circa 1 milione muore mentre un numero equivalente riporta sequele di rilievo, con prevalenza maggiore nei paesi in via di sviluppo, e con un numero approssimativo di neonati colpiti che va da 8000 a 25000 nella sola area europea (Ann. Ist. Super. Sanità, 2001).

Le cause sono eterogenee ma nella gran parte dei casi il momento scatenante è costituito da un’alterazione degli scambi gassosi tra la madre e il feto, con riduzione della pressione parziale di ossigeno (PO2), aumento della pressione parziale di anidride carbonica (PCO2) e diminuzione di pH nel sangue, con prevalente utilizzazione delle vie anaerobiche per la produzione di energia e successiva liberazione di radicali acidi, acido lattico in particolare (Moretti, 2002). L’attivazione delle vie anaerobiche comporta un eccesso di radicali acidi, misurato comunemente mediante il deficit di basi. Un deficit di basi superiore a 12 mmol/L suggerisce una acidemia metabolica, e quindi una ipossia particolarmente prolungata o comunque severa. Rispetto al deficit di basi, il pH ha una correlazione meno stretta con il grado di acidemia metabolica fetale. Infatti esso dipende anche dalla pressione parziale di CO2 (acidosi respiratoria) oltre che dalla produzione di radicali acidi indicativi di acidosi metabolica (Pilu et al., 1992; da ACOG Technical Bulletin n. 163, 1992; da Mac Lennan, 1999).

Il meccanismo con il quale l’ asfissia perinatale si verifica è conosciuto solo in parte; in molti casi il processo è presumibilmente legato ad una anomala formazione della placenta, ha un andamento cronico e si traduce nella nascita di feti di dimensioni inferiori alla norma. Le cause di asfissia perinatale normalmente sviluppata verso il termine di gravidanza, e soprattutto in travaglio di parto, sono eterogenee, e comprendono eventi acuti come distacco intempestivo di placenta, trasfusione feto-materna e compressione del cordone ombelicale (Ghi et al., 2004).

Due tipi di asfissia: fetale e neonatale

Schematicamente vengono distinti due tipi di asfissia: fetale e neonatale.

L’ asfissia fetale può aversi per interruzione del flusso ematico ombelicale in caso di compressione del funicolo durante il travaglio o per distacco di placenta o per una cattiva perfusione del lato materno della placenta (es. ipotensione materna). Un feto in condizioni gravi per anemia (malattia emolitica) o con un ritardo di accrescimento sopporta meno bene l’ipossia e quell’acidosi fisiologica che si sviluppa durante il travaglio.

L’ asfissia neonatale si verifica in caso di mancato inizio della normale attività respiratoria per depressione dei centri respiratori (asfissia fetale, farmaci materni, prematurità) ma anche per una grave malattia del parenchima polmonare (malattia delle membrane ialine polmonari, ipoplasia polmonare) o per ostruzione delle vie aeree o per debolezza dei muscoli respiratori.
Spesso un processo asfittico, iniziato prima della nascita, può continuare anche dopo per il mancato inizio di una valida attività respiratoria, aggravandosi ulteriormente.

A questi due tipi, si aggiunge l’asfissia prenatale, la prematurità, la presenza di malformazioni, l’azione di farmaci materni e le infezioni possono interferire con i normali processi di adattamento alla nascita, e, causare, l’insorgenza di una insufficienza cardiorespiratoria (mancato inizio dell’attività respiratoria, bradicardia). Se un neonato apnoico e bradicardico al momento della nascita non viene rianimato in modo efficace e tempestivo, va incontro ad una grave asfissia postnatale (Castello, 2007).

Asfissia e livelli di gravità

Negli anni 1960-70 la sofferenza fetale veniva distinta in acuta, subacuta e cronica.

La sofferenza fetale acuta insorge in travaglio di parto ed evolve rapidamente, è dovuta ad una drastica riduzione degli scambi respiratori materno-fetali (generalmente compressioni funicolari, nodi veri, ecc…) dura pochi minuti, provoca asfissia e può causare morte fetale. Nel neonato a termine, di solito provoca dei danni neurologici che si manifestano nel periodo compreso tra la 12a settimana prima del parto e non oltre la prima settimana di vita.

La sofferenza fetale subacuta insorge in travaglio di parto o pre travaglio, è legata ad una riduzione degli scambi gassosi materno-fetali (ipertono uterino, discinesie, ipercinesie) che, se limitata nel tempo, è compatibile con la sopravvivenza del feto; ha una durata misurabile in ore e può indurre asfissia fetale.

La sofferenza fetale cronica si verifica, invece, nel corso della gravidanza per alterazione degli scambi materno-fetali (insufficienza placentare) con diminuito apporto di sostanze nutritive al feto, indotti dalla rallentata perfusione tissutale; gli scambi respiratori, seppur ridotti, non sono generalmente molto compromessi. Dura giorni o settimane e determina iposviluppo fetale che, nei casi più gravi, può esitare nella morte endouterina del feto. Questa forma è la più frequente, rappresentando l’ 80-90 % dei casi (Borrelli et al., 2007). Studi sperimentali hanno evidenziato che, nella forma cronica, la ridotta perfusione favorisce il metabolismo prevalentemente anaerobico determinando un’aumentata produzione di metaboliti acidi i quali portano ad un abbassamento del pH, che dà luogo a disfunzioni nell’azione degli enzimi e in definitiva ad un rallentamento della crescita fetale (Lilford et al., 1990).

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce, nella Decima Revisione della Classificazione delle Malattie (ICD-10), “Asfissia da parto” due diverse condizioni: severa e lieve o moderata (ACOG Practice Bulletin No. 70, 2005).

  • L’asfissia severa da parto è definita come “un polso inferiore a cento battiti per minuto alla nascita e in diminuzione o persistente, respirazione assente o gasping, colorito scarso, tono assente”. La ICD-10 dà due definizioni parallele per la asfissia grave da parto “Punteggio Apgar ad un minuto uguale a 0-3” o “Asfissia pallida“.
  • L’asfissia da parto lieve o moderata è definita come “respirazione normale non istituita entro un minuto ma con frequenza cardiaca di 100 battiti per minuto o superiore, presente lieve tono muscolare, lieve risposta alla stimolazione”. La ICD-10 dà “Punteggio Apgar ad un minuto uguale a 4-7” o “Asfissia blu” come definizioni parallele di asfissia da parto lieve o moderata.

Tutte le condizioni che interferiscono con il trasporto dell’ossigeno dall’atmosfera ai tessuti fetali possono essere causa di sofferenza fetale (Bucci et al., 2000).

Fattori di rischio e cause dell’asfissia perinatale

I fattori di rischio e le cause di asfissia perinatale possono essere ricondotti a: origine materna, diabete, gestosi, ipertensione gestazionale, crisi emolitica (anemia falciforme), cardiopatie, malattie polmonari (broncospasmo, ansia), ipotensione (sindrome da compressione cavale), anestetici, analgesici, ipossia o ipercapnia materna, shock emorragico, cardiogeno e settico; origine uterina, ipertono, eccessiva somministrazione di ossitocina (contrazioni eccessive delle pareti uterine), rottura d’utero; origine placentare, infarti, senescenza, idrope, distacco intempestivo di placenta normalmente inserta, placenta previa; origine cordonale, nodo vero, prolasso di funicolo, brevità assoluta, emorragia da vasi previ; origine fetale, anemia, miocardite, idrope, tachiaritmia, anomalie congenite, isoimmunizzazione, ipotensione, infezione perinatale, traumi sistema nervoso centrale, gemellarità, nascita pre o post termine, ridotta o eccessiva crescita.

Infine ci sono le cause di origine neonatale divisibili in due gruppi (Kattwinkel et al., 2002):

1) con comparsa della sintomatologia al momento della nascita: a) lesioni traumatiche del SNC, del midollo spinale, dei nervi periferici; b) depressione bulbare per impiego di dosi eccessive di anestetici nella madre; c) aspirazione di muco o di liquido amniotico nelle vie aeree del feto durante il parto; d) grave ipovolemia (da emorragie del cordone ombelicale, trasfusione feto-materna, feto-fetale).

2) con comparsa dei sintomi più tardiva: a) da fattori cardiocircolatori: insufficienza acuta di circolo nei vizi congeniti di cuore (trasposizione dei grossi vasi, atresia tricuspidale, Fallot di grado estremo, ecc.), collasso cardiocircolatorio da anemie acute (melena dei neonati, ittero grave neonatale, ematoma sottocapsulare del fegato); b) da fattori centrali: emorragie intracraniche, edema cerebrale, alterazioni anossiche cerebrali; c) da fattori respiratori: gravi affezioni respiratorie neonatali (enfisema lobare, pneumotorace spontaneo, broncopolmoniti ad ingestis, sindrome da aspirazione massiva, ateletassia, malattie delle membrane ialine polmonari).

Esperimenti compiuti sugli animali da laboratorio suggeriscono che la completa occlusione del cordone ombelicale di un feto di scimmia di durata inferiore a 10 minuti comporta un alto tasso di mortalità, legato soprattutto a deficit miocardico da ischemia, ma raramente lesioni organiche residue nei sopravvissuti. Una compressione parziale ma protratta del cordone ombelicale determina morte in molti casi ma anche, nei sopravvissuti, depressione dell’attività motoria e cardiaca, edema cerebrale, convulsioni, emorragia surrenalica e necrosi renale (Pilu et al., 1972; da Myers, 1972). Nei neonati sopravvissuti può essere presente una vasta gamma di manifestazioni cliniche. Oltre a lesioni organiche di varia natura, legate alla ipossia e alle alterazioni emodinamiche prodotte da questa (edema cerebrale, emorragie cerebrali, emorragie surrenaliche, enterocolite necrotizzante) può essere presente depressione della attività motoria e cardiaca, associata a volte a segni di ipereccitabilità e convulsioni (Pilu et al., 1988; da Ellenberg, Nelson, 1988).

Queste manifestazioni neurologiche vengono comunemente definite encefalopatia ipossico-ischemica, sono uno dei principali marcatori della paralisi cerebrale e vengono seguite da riperfusione e riossigenazione (Pilu et al., 1998; da Badawi, 1988).

Durante l’insulto ipossico-ischemico viene causato un danno neuronale primario con necrosi cellulare (Hossinan, 1983). La rianimazione neonatale e la rinnovata disponibilità di ossigeno e di flusso ematico, sebbene necessaria per limitare il danno cellulare ischemico, determina una fase di ossigenazione e riperfusione che produce un danno ritardato, secondario, neuronale. Il meccanismo ritenuto responsabile di questa fase secondaria della lesione neuronale è la produzione di radicali liberi dell’ossigeno (Mc Cord, 1985), l’ingresso del calcio intracellulare (Siesjo, 1992) e la successiva morte cellulare per apoptosi (Buttke, Sandstrom, 1994). Inoltre la presenza di convulsioni è un dato comune della encefalopatia ipossico-ischemica (Sarnat, Sarnat, 1976), e rappresenta una causa aggiuntiva di danno, producendo aumento della richiesta metabolica del sistema nervoso centrale (SNC) (Youkin et al., 1986), rilascio di neurotrasmettitori eccitatori (Mc Donald, Johnston, 1990), fluttuazioni nella pressione arteriosa sistemica (Clozel et al., 1985), ipossia ed ipercapnia.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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