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Patologie neurologiche: nuove cure in arrivo senza farmaci?

Nel 2015 una scoperta ha aperto nuovi scenari, oggi al vaglio dei neuroscienziati: il monitoraggio e la manipolazione delle onde cerabrali potrebbe diventare un trattamento per patologie neurologiche come Alzheimer e Parkinson

Di Enrica Gaetano

Pubblicato il 06 Apr. 2018

È possibile trattare le patologie neurologiche con la neuromodulazione delle onde elettriche cerebrali anziché con i farmaci? Una neuroscienziata ha casualmente aperto le porte a interessanti scoperte.

Nel Marzo 2015, Li-Huei Tsai, neuroscienziata presso il Massachussets Institute of Technology a Cambridge, fece involontariamente un’interessante scoperta, lasciando una piccola luce accesa in una gabbietta con alcuni topi da laboratorio.

Ogni giorno, per alcune ore, riponeva in un box illuminato solo da una luce stroboscopica, alcuni topolini modificati in maniera optogenetica per produrre placche β-amiloidi, caratteristica distintiva della malattia dell’Alzheimer.

Una volta dissezionati, Tsai si accorse che quei topolini che erano stati riposti nel box con la luce stroboscopica avevano un livello di placche β-amiloidi significativamente più basso rispetto a quelli che erano nei box ma completamente al buio (Iaccarino, Singer, Martorell et al., 2016).

Per tentare di spiegare tali risultati inaspettati, la ricercatrice e il suo team si concentrarono sulla luce, scoprendo che la luce stroboscopica era di circa 40 Hz e aveva avuto un effetto di modulazione delle onde cerebrali dei topolini innescando in particolare degli effetti biologici che avevano determinato l’eliminazione della produzione delle placche β-amiloidi.

Nonostante questi promettenti risultati siano stati ricavati da modelli animali e siano, per il momento, di difficile replicazione negli esseri umani affetti da patologie neurologiche come l’Alzheimer, essi hanno stuzzicato l’interesse di molti studiosi che da anni stanno cercando di definire il campo delle onde cerebrali e di collegarle in modo robusto alle funzioni cerebrali e ai comportamenti umani disfunzionali o caratterizzanti le patologie neurodegenerative con il fine di trattarli senza l’uso di farmaci (Thompson, 2018).

Come variano le nostre onde cerebrali?

Le oscillazioni delle onde cerebrali sono caratterizzate da una frequenza, ampiezza e origine specifiche. Nonostante molti tipi di onde si osservino in qualsiasi momento dell’attività cerebrale, alcune sembrano dominare durante alcuni comportamenti rispetto ad altre, suggerendo un collegamento:

  • le onde Delta, tra 0.5 e 4 Hz, sono le più lente e sono associate al sonno profondo, senza sogni, le onde Theta, tra 4 e 8 Hz, si osservano a livello della corteccia negli stati meditativi, di sonnolenza o patologici;
  • le onde Alpha, tra 8 e 13 Hz, hanno origine dal lobo occipitale e sono associate agli stati vigili ma con gli occhi chiusi
  • le onde Beta, tra 13 e 32 Hz sono associate invece ai normali stati di consapevolezza vigile e concentrazione
  • le onde Gamma, tra 25 e 140 Hz sono associate alla normale consapevolezza visiva e ai movimenti oculari rapidi durante il sonno (Thompson, 2018)

Come arriviamo ad avere un’esperienza coerente? Cosa accade a livello neuronale?

Molti ricercatori hanno tentato di studiare e utilizzare l’oscillazione di queste onde per influenzare alcune funzioni come ad esempio la percezione consapevole. Randolph Helfrich e colleghi, dell’Università di Berkley, sono riusciti a modulare le onde Gamma con l’aumento o la riduzione, usando una tecnica non invasiva, la stimolazione transcranica a corrente alternata (tACS) e così sono riusciti a influenzare la modalità di una persona di percepire un video con dei punti in movimento (Helfrich, Knepper, Nolte, 2014).

Lo studio delle oscillazioni delle onde fornisce un potenziale meccanismo per comprendere come il cervello crei un’esperienza coerente dalla caotica percezione di innumerevoli stimoli che attivano il sistema sensorimotorio allo stesso momento.

Sembra infatti che la produzione di un’esperienza coerente sia possibile a seguito della sincronizzazione dei neuroni che rispondono tutti allo stesso evento: in particolare le onde cerebrali potrebbero far si che tutte le informazioni rilevanti, collegate all’oggetto percepito, arrivino nelle aree cerebrali preposte al momento giusto (Thompson, 2018).

A parere di Robert Knight, neuroscienziato dell’università di Barkley, la coordinazione di tutti i segnali neurali sarebbe la chiave della percezione.

Come agiscono le onde in alcune patologie neurologiche?

In alcune patologie tuttavia è stata riscontrata una desincronizzazione delle oscillazioni: per esempio nel Parkinson, si osserva un aumento delle onde Beta nelle regioni motorie che determinerebbe l’impoverimento dei movimenti del corpo, aumento che invece non si riscontra nei soggetti non affetti da questa patologia.

Nella malattia dell’Alzheimer si osserva invece una riduzione delle oscillazioni gamma (König, Prichep, Dierks, et al., 2005).

A partire da questi presupposti, una crescente mole di ricerche si sta occupando della modulazione dell’attività cerebrale come possibile trattamento veloce, non invasivo e innovativo per alcune patologie neurologiche, senza l’apporto di farmaci.

Le sfide future: monitorare e manipolare le oscillazioni delle onde nelle patologie neurologiche

La sfida è quella di manipolare in modo efficace le oscillazioni nelle differenti aree cerebrali, utilizzando la luce o i suoni.

Una delle modalità che i ricercatori hanno trovato per monitorare le oscillazioni è il neurofeedback che consente di controllare le proprie onde cerebrali misurate tramite EEG utilizzando cue visivi e uditivi (Marzbani, Marateb & Mansourian, 2016).

In aggiunta al neurofeedback, Phyllis Zee, neurologo alla Northwestern University, e colleghi hanno sviluppato un suono definito “rumore rosa” composto da frequenze che messe insieme richiamano il suono di una cascata, per aiutare gli anziani durante il sonno (Papalambros, Santostasi, Malkani, Zee et al., 2017).

Questo “rumore rosa” eliciterebbe le oscillazioni Delta che caratterizzano il sonno profondo migliorando allo stesso tempo il consolidamento mnestico che si affievolisce con l’avanzare dell’età e che si verifica per l’appunto durante il sonno.

I ricercatori hanno mostrato come questa neurostimolazione aumentasse l’ampiezza delle onde Delta e come quest’aumento fosse associato con un miglioramento del 25-30% delle capacità di recupero delle parole apprese la notte precedente (Papalambros, Santostasi, Malkani, Zee et al., 2017).

Tuttavia queste modalità di neuromodulazione presentano delle limitazioni: sono infatti molto facili da apprendere ma necessitano di un tempo piuttosto lungo affinchè sia possibile intravedere i loro effetti sulle persone, effetti che però solitamente risultano di breve durata. Infine attraverso gli esperimenti che utilizzano stimolazioni acustiche o magnetiche è difficile conoscere con precisione quale area cerebrale è stata influenzata nello specifico (Thompson, 2018)

[blockquote style=”1″]Gli studi sulle oscillazioni delle onde cerebrali e la loro neuromodulazione potrebbero aiutare a collegarle con i comportamenti umani e a come il cervello funziona nel suo insieme. Potrebbero in futuro costituire un trattamento efficace non invasivo sostitutivo ai farmaci[/blockquote] (Robert Knight, neuroscienziato cognitivo alla Berkeley University)

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