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L’uso delle tecniche immaginative nella Terapia Metacognitiva-Interpersonale (TMI)

Le tecniche di immaginazione guidata conducono il paziente verso la costruzione di schemi interpersonali più adattivi. Nella Terapia Metacognitiva-Interpersonale, la potenza di questo strumento deriva dal fatto che può essere applicato a diverse fasi della terapia e all’interno di diverse procedure.

Di Antonella Centonze

Pubblicato il 03 Apr. 2018

Aggiornato il 09 Apr. 2018 11:12

Le tecniche di immaginazione guidata trovano ampio sostegno in letteratura. La ricerca ha mostrato che avere un’immagine nella mente, sia che si tratti di un ricordo o di un’immagine appena costruita, è una esperienza emotivamente più carica rispetto al riferirsi alle stesse esperienze attraverso il canale verbale.

 

Se non ci piace dove stiamo possiamo spostarci, non siamo alberi (Snoopy).

Nell’ambito della terapia cognitiva si assiste in questi anni ad una forte diffusione delle tecniche immaginative usate a vari scopi e in diversi momenti della terapia, dall’assessment alle fasi di promozione del cambiamento. Le immagini mentali sono componenti centrali dell’esperienza psichica e sono dotate di caratteristiche sensoriali, oltre che cognitive ed emotive (Hackmann, Bennett-Levy e Holmes, 2014). Beck fin dagli esordi della terapia cognitiva riteneva centrale il ruolo dell’imagery per comprendere la sofferenza emotiva (Beck, 1970; Beck, 1971).

In letteratura quando si parla di immmaginazione guidata (o imagery) si fa riferimento sommariamente a:

  • immagini mentali e ricordi
  • imagery notturna (sogni e incubi)
  • immagini metaforiche
  • immagini intrusive

Spesso l’ immaginazione guidata è riferita a ricordi di eventi specifici, e ciò è facilmente comprensibile se si considera il Disturbo post traumatico da stress (PTDS), dove spesso il paziente riferisce di subire l’apparizione nella sua mente di immagini intrusive che sono quasi sempre frammenti dell’evento stressante o che in qualche modo ad esso si collegano. L’ imagery inoltre è spesso vivida, caricata emotivamente e corredata di intense componenti sensoriali per lo più visive ma anche uditive, tattili e motorie.
In letteratura la ricerca ha mostrato che avere un’immagine nella mente, sia nel caso di un ricordo, sia di una nuova immagine appena costruita è una esperienza emotivamente più carica rispetto al riferirsi alle stesse esperienze attraverso il canale verbale: immaginare di saltare giù da una scogliera è diverso che averne il solo pensiero (Holmes et al., 2006). Le immagini hanno inoltre un impatto più potente sulle emozioni positive rispetto all’elaborazione verbale e quindi le tecniche utilizzate per promuovere cambiamenti positivi dovrebbero utilizzare anche l’ immaginazione guidata (Holmes et al., 2007).

L’immaginazione guidata nella Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI)

Una delle prime azioni terapeutiche che si effettua in Terapia Metacognitiva Interpersonale (Dimaggio, Montano, Popolo, Salvatore, 2013) riguarda la raccolta di uno o più episodi narrativi attraverso cui il clinico ricostruisce gli schemi disfunzionali alla base della sofferenza.
L’episodio narrativo per sua definizione è un evento preciso, definito concretamente nel tempo e descritto in dettaglio con dovizia di particolari concreti sul piano della scenografia e sceneggiatura (chi c’era?, dove eravate?, chi ha detto cosa? etc.). Lo scopo è quello di raccogliere, al di là di racconti generalizzati, cosa il paziente ha provato in quella situazione specifica e in relazione a quella persona. Lo scopo metodologico è la raccolta di esperienze che ricadano nella memoria episodica meno soggetta a distorsioni e bias quali la generalizzazione e l’intellettualizzazione. Lo scopo ulteriore è quello di cogliere e far cogliere al paziente lo stato mentale entro cui si genera l’emozione che il paziente riporta come sofferenza.

Inoltre ciò che caratterizza l’episodio è la sua componente interpersonale: sulla scena appare il paziente, con un desiderio attivo (es. vorrei sentirmi apprezzato), appare però anche un Altro che nello schema patogeno solitamente risponde al desiderio in maniera disfunzionale (es. fa una critica), creando nella memoria del paziente una procedura “se.. allora”: se desidero essere apprezzato.. c’è un Altro che mi critica. Il paziente a quel punto costruisce una rappresentazione di sé collegata (ad esempio: non valgo niente) ed entra in uno stato mentale di abbattimento caratterizzato ad esempio da un’emozione di tristezza, con sensazioni anche fisiche e posturali collegate (ad esempio: mimica triste, postura accasciata, movimenti lenti, tono della voce basso etc.), con immagini mentali a ciò associate.

In TMI il lavoro sugli episodi viene fatto fin dalle prime sedute e lungo l’arco della terapia con scopi differenti e spesso l’analisi dell’episodio narrativo si integra con l’ immaginazione guidata con notevoli effetti sul piano della metacognizione del paziente. Se volessimo sommariamente, ma non esaustivamente, delineare alcuni tra i più frequenti utilizzi possiamo così elencarli:

  • incremento della riflessività
  • individuazione di alcune componenti specifiche delle schema interpersonale disfunzionale, quali l’immagine di sé
  • modifica dell’immagine di sé nella fase di costruzione di schemi adattivi
  • identificazione di risorse e parti sane
  • promozione della comprensione della mente altrui e del decentramento

L’immaginazione guidata in terapia: alcuni esempi clinici

Di seguito si riportano alcuni esempi clinici per meglio dettagliare l’uso dell’ imagery e i suoi vantaggi in termini di efficacia terapeutica.

  • Incremento della riflessività: Cristiana

Cristiana 30 anni, disturbo evitante di pesonalità, depressione e disturbo alimentare.

In una fase iniziale della terapia, Cristiana (giovane medico tirocinante) si trova in ospedale e subisce gli urli di una paziente con problemi psichiatrici, a cui sta facendo una medicazione. Durante la medicazione Cristiana sperimenta un profondo senso agitazione. Nel frattempo due infermiere anziane passano davanti alla stanza in cui lei si trova e commentano: “eccole lì, le hanno accoppiate, le due pazze”.
Cristiana riferisce di aver provato tanta paura, tanta tristezza e rabbia. Vuole lasciare il lavoro. La paziente non riesce a riferire altro. Il racconto è freddo, meccanico, l’atteggiamento è distanziante, diffidente anche con il terapeuta.

Il terapeuta decide di utilizzare una tecnica di imagery per esplorare meglio lo stato mentale di Cristiana nella situazione raccontata e aiutarla a comprenderlo e condividerlo. Ad occhi chiusi e dopo aver indotto con la respirazione uno stato di calma per facilitare l’introspezione, Cristiana viene invitata a raccontare la scena con dovizia di dettagli e “usando il tempo presente, come se l’evento stesse succedendo in quel momento”. Il terapeuta chiede di individuare i “punti caldi” (cioè quelli emotivamente più intensi) della scena su cui si soffermerà l’attenzione di entrambi.
Cristiana torna sulla scena, descrive le urla della signora malata (primo punto caldo), si sente inadatta, prova ansia, alza la voce a sua volta. Si percepisce come inadeguata, incapace nelle relazioni con gli altri, si irrigidisce, si chiude anche nella postura, sente vergogna. “Non so fare niente”, piange. Quando le due infermiere fanno quel commento (secondo punto caldo), Cristiana sente vergogna, vuole sprofondare, sparire, si percepisce ridicola, inadeguata, vuole nascondersi, sente che grossa parte della critica sia giusta. Piange ancora.

Il racconto in immaginazione guidata diviene intenso, carico emotivamente, più ricco. E’ possibile ravvisare gli aspetti centrali dello stato mentale temuto e nel commento successivo è possibile iniziare la ricostruzione con la paziente dello schema maladattivo: “quando desidero essere apprezzata e sentirmi capace l’altro mi appare minaccioso e ostile (la signora malata ma anche le due infermiere) quindi sprofondo in uno stato mentale di inadeguatezza e mi sento tremendamente incapace, di non valere e ridicola (immagine di Sé sottostante) e metto in atto perciò comportamenti di evitamento (nascondersi, sparire, lasciare il lavoro) per non sentirmi così”.

  • Individuazione di alcune componenti specifiche delle schema interpersonale disfunzionale, quali l’immagine di sé: Giovanni

Giovanni ha 45 anni, è un imprenditore affermato, titolare di una agenzia immobiliare. La diagnosi è di disturbo passivo aggressivo.

Giovanni riporta difficoltà con la moglie, che descrive come aggressiva ed esageratamente esigente. Le sue reazioni sono varie, la più frequente è la rabbia repressa e con sensazione di costrizione, cui si aggiunge un comportamento di evitamento della sessualità, evento che a sua volta incrementa la rabbiosità della moglie.

Giovanni racconta un episodio di una discussione avuta con la moglie che rivediamo in immaginazione guidata. Ci soffermiamo sul “punto caldo” della scena: la moglie urla contro di lui che non ce la fa più di andare avanti così, che è stanca e stufa. Ci soffermiamo sul volto della moglie: Giovanni lo descrive come una “Furia”. Il volto gli appare trasfigurato, terrificante. Giovanni descrive di provare un senso di paralisi, di congelamento davanti a quel volto, una profonda paura.

Il terapeuta invita Giovanni a soffermarsi su come vede sé stesso in questa scena, lì davanti alla “Furia”: Giovanni, fatica ma riesce a intercettare un’immagine di sé in precedenza inaccessibile. Dice di vedersi goffo, imbranato, rigido nella muscolatura, con il volto ripiegato in basso, come di chi è umiliato ed è d’accordo con chi lo umilia. Si sente colpevole, le accuse sono giuste, la moglie ha ragione. Questa immagine di sé così negativa sostiene lo schema maladattivo di Giovanni e nel corso della terapia sappiamo essersi formata anni addietro quando la madre lo rimproverava duramente e ingiustamente, dopo che tornava a casa stanca e stressata e Giovanni, in quelle occasioni, si sentiva goffo, imbranato e colpevole di aver fatto dispiacere la madre.

  • Modifica dell’immagine di sé nella fase di costruzione di schemi adattivi: Daniela

Daniela, 40 anni, libera professionista.

Daniela racconta in terapia di sperimentare colpa ogni qualvolta prova a fare qualcosa che va contro il volere dell’altro. La storia di vita annovera diversi maltrattamenti subiti.

Lo schema disfunzionale primario che si ricostruisce durante la terapia è il seguente: “se desidero essere vista e ricevere cure, l’altro mi trascurerà e mi maltratterà e in questo caso sperimento un profondo senso di tristezza e solitudine”. L’immagine di sé che sottostà è quella di essere sola, non meritevole di cure e attenzioni, insignificante. Il coping conseguente è di autosacrificio: “nella vita per non sentirmi più così mi occupo degli altri così forse potrò ricevere amore e cure”, il tipico accudimento invertito.

Durante il racconto di un episodio del passato, Daniela riferisce di essere stata percossa sulla schiena dalla madre. Con l’uso dell’ imagery accediamo all’immagine di sé: “sono una bambina sola, nessuno mi può proteggere e difendere, nessuno si occupa di me”. Si immagina rannicchiata per terra a piangere. Daniela sperimenta un profondo dolore durante l’ immaginazione guidata. Il terapeuta la invita a immaginare di far entrare nella scena qualcuno che sia protettivo ed accudente verso la piccola. Daniela fa entrare se stessa da adulta. La Daniela grande si avvicina alla bambina, la stringe a sé, la calma e poi le chiede cosa le piacerebbe fare per stare un po’ meglio. La bambina dice di voler andare al mare. La Daniela adulta la porta via.
Nelle sedute successive dice di aver provato un profondo senso di tenerezza per sé stessa che le rimarrà costante nel tempo a seguire. Uno schema più adattivo inizia a farsi strada nella mente: “se desidero essere vista e amata, posso ottenere cure e posso sperimentare un senso di appagamento e sentirmi accudita e vista”.

  • Identificazione di risorse e parti sane: Antonio

Antonio, 35 anni, impiegato, ha un buon successo lavorativo ed è considerato in gamba dai colleghi e gradevole di aspetto. La diagnosi è di disturbo dipendente di personalità.

Durante l’adolescenza Antonio ha subito diversi fenomeni di bullismo, viveva in una periferia romana, era bravo a scuola ma per i suoi compagni era un po’ un “soggetto” perché studioso e molto religioso. Si vedeva brutto, mal vestito, debole e “sfigato”. In terapia racconta che durante una partita di calcio commette un errore e un gruppetto di compagni comincia a insultarlo, ridicolizzandolo e umiliandolo. Si sente molto addolorato ma anche arrabbiato.

Durante l’esercizio di immaginazione guidata ci soffermiamo sulla scena in cui, coperto dagli sfottò dei compagni, si sente sprofondare. L’immagine di sé presente nello schema disfunzionale è di inettitudine, scarso valore, diversità. L’emozione è la vergogna, la postura è ripiegata su di sé e l’emozione viene localizzata nello stomaco e nel petto, insieme ad un formicolio sul volto.
Lo schema interpersonale disadattivo vede attivo il bisogno di inclusione, a cui si associa la rappresentazione di un altro/altri escludenti, ridicolizzante, con conseguente emozione di vergona.
La sessione immaginativa si conclude e, dopo un breve commento, si decide di effettuare un’altra sessione, questa volta focalizzata su una esperienza in cui Antonio si è sentito parte di un gruppo, in cui ha sperimentato una sensazione positiva diversa dalla vergogna. Il ricordo è relativo ad una cena tra amici, caratterizzata da sfottò e battute dove Antonio ha ricevuto vari commenti scherzosi ma ne ha fatti altrettanti, divertendosi e risultando simpatico a tutti. Nella seconda sessione di imagery facciamo soffermare Antonio su uno dei momenti più positivi della scena e cerchiamo di fare uno zoom sull’immagine di sé. La descrizione è ben differente: l’emozione è di allegria, la postura è rilassata, le spalle sono aperte e il volto sorride. L’immagine di sé è di essere adeguato, in gamba. Oltre a percezioni negative di sé e degli altri Antonio ha dentro di sé risorse e parti sane che ha avuto modo di sperimentare e incamerare.

Il commento finale del terapeuta è volto a far comprendere quanto la percezione della realtà e delle esperienze interpersonali è schema–guidata e che il benessere deriva dal padroneggiare metacognitivamente questi differenti stati mentali.

  • Promozione della comprensione della mente altrui e del decentramento: Ludovica

Ludovica ha 46 anni, disturbo evitante di personalità.

In una fase avanzata della terapia la paziente racconta di una lezione che ha dovuto tenere ad un gruppo di adolescenti in una scuola. C’è stata un’attivazione emozionale molto forte ma per fortuna non c’è stato evitamento: la lezione si è svolta e piuttosto bene. Il racconto si sofferma su un momento intenso: un ragazzo, piuttosto bello, la guarda. Lei prova ansia, si riattivano vecchi ricordi di quando da ragazzina era derisa ed esclusa dai compagni. Rivede sul volto di quell’adolescente la stessa derisione. Con una tecnica di esposizione immaginativa Ludovica viene condotta a soffermarsi su quel volto. Le si chiede di osservarlo e di descrivere che cosa esprime e cosa pensa: “sembra che rida di me e del mio grosso naso. Mi guarda e mi giudica”.
Il terapeuta chiede a Ludovica di osservare più attentamente il volto di quel ragazzo, di guardarlo come se lei non fosse più lì davanti a lui. A quel punto Ludovica lo descrive diversamente: “sembra che sorrida, è un po’ imbarazzato, sembra essere timido”. Nel commento il terapeuta può far notare a Ludovica la potenza di questo meccanismo che condiziona quello che “mettiamo” nella mente altrui.

Conclusioni

L’uso e il grande apprezzamento delle tecniche di immaginazione guidata nella Terapia Metacognitiva Interpersonale è relativo al loro contributo nel cambiamento dello schema interpersonale del paziente, verso la costruzione di schemi più adattivi. La potenza di questo strumento deriva principalmente dal fatto che si può applicare a diverse fasi della terapia e all’interno delle diverse procedure che la TMI adotta. Certamente limitativo sarebbe pensare che il solo cambiamento dell’ imagery produca un cambiamento terapeutico, al di fuori della modifica dello schema disfunzionale.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Beck, A.T. (1970). Role of fantasies in psychoterapy and psychopathology. Journal of Nervous and Mental Desease, 150, 3-17.
  • Beck, A.T. (1971). Cognitive patterns in dreams and day dreams. In J.H. Masserman (ed.): Dream Dynamicis: Sciences and Psychoanalisis, vol. 19, pp. 2-7. New York: Penguin
  • Dimaggio G., Montano A., Popolo R., Salvatore G., (2013). Terapia metacognitiva interpersonale dei disturbi di personalità. Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • Hackmann A., Bennett-Levy J.e Holmes E. A., (2014). Le tecniche immaginative in psicoterapia cognitiva. Firenze: Eclipsi.
  • Holmes, E.A., & Mathews, A. (2005). Mental imagery and emotion: A special relationship? Emotion, 5(4), 489–497
  • Holmes, E.A., Mathews, A., Dalgleish, T., & Mackintosh, B. (2006). Positive interpretation training: Effects of mental imagery versus verbal training on positive mood. Behaviour Therapy, 37(3), 237–247.
  • Holmes E.A., Arntz A., Mervin R. Smuckerc M.R., (2007). Imagery rescripting in cognitive behaviour therapy: Images, treatment techniques and outcomes. Journal of Behavior Therapy
and Experimental Psychiatry 38, 297–305.
  • Wild J., and David M. Clark D. M., (2011). Imagery Rescripting of Early Traumatic Memories in Social Phobia. Cognitive and Behavioral Practice 18, 433-443.
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