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I riverberi psicologici della povertà

La povertà a livello psicologico produce delle conseguenze sulla salute mentale e sulle funzioni cognitive degli individui; incide negativamente sull'attenzione, sulla memoria di lavoro e sulla capacità di autoregolazione del soggetto.

Di Vincenzo Amendolagine

Pubblicato il 19 Mar. 2018

La povertà, come condizione che caratterizza alcuni strati della popolazione mondiale, a livello psicologico produce delle conseguenze sulla salute mentale e sulle funzioni cognitive degli individui. Nello specifico, essa incide negativamente sull’attenzione, sulla memoria di lavoro e sulla capacità di autoregolazione del soggetto.

 

Le conseguenze della povertà sulla salute mentale degli individui

La povertà come condizione che caratterizza alcuni strati della popolazione è stata frequentemente analizzata dal punto di vista macroeconomico, ovvero come un fenomeno frutto dello squilibrio nella distribuzione delle risorse fra i diversi contesti antropologici del pianeta terra (Adamkovič e Martončik, 2017).

A livello psicologico, la povertà è stata studiata soprattutto per quello che riguarda le conseguenze che essa produce sulla salute mentale degli individui e nei riverberi che determina sulle funzioni cognitive (Džuka e al., 2017). Più ricerche relative all’indigenza hanno avuto come focus concettuale il capire come i comportamenti individuali possano far perpetuare una condizione di povertà invece che indurre delle pratiche di emancipazione da essa. Tali condotte sono frequentemente ascrivibili a fattori personali. In pratica, queste peculiarità individuali causano dei comportamenti improduttivi dal punto di vista economico, un’inadeguatezza nel prendere delle decisioni e una scarsa considerazione per il proprio benessere sia fisico che mentale (Mani e al., 2013). Il fattore determinante è rappresentato dall’incapacità di decidere saggiamente in ambito economico (Haushofer e Fehr, 2014).

La povertà, secondo la definizione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (1995), può essere considerata una condizione contrassegnata da un insieme di parametri, quali un introito economico non adeguato alle esigenze di vita e, quindi, la mancanza di risorse tali da garantire una qualità della vita dignitosa, la non soddisfazione dei bisogni primari, uno stato di salute non omologabile ad una condizione di benessere, l’esclusione dai processi di scolarizzazione e di acculturazione, il vivere in contesti abitativi non idonei, l’esclusione sociale.

Le ripercussioni della povertà sulle funzioni esecutive

Come si è detto, la povertà ha dei riverberi sulla cognitività del soggetto. In altri termini, l’indigenza comporta un carico cognitivo notevole, derivante dallo stress che le precarie condizioni di vita inducono (Shah e al., 2012; Haushofer e Fehr, 2014). Nello specifico, la povertà protratta genera delle ripercussioni negative sulle funzioni cognitive esecutive. Inoltre, uno stato di povertà è associato ad un incremento di episodi depressivi nell’adulto (Najman e al., 2010). La condizione di povertà cronica accresce la produzione di cortisolo plasmatico, che è considerato l’ormone dello stress, come rivelano diverse ricerche (Blair e al., 2011; Butterworth e al., 2011).

Nell’ambito delle funzioni esecutive cognitive, quelle che risentono maggiormente nell’adulto di una condizione di ristrettezza sono rappresentate dall’attenzione, dalla memoria di lavoro e dalla capacità di autoregolazione (Adamkovič e Martončik, 2017).
Lo stress associato ad uno stato di disagio economico è responsabile di una diminuzione delle capacità attentive, che si ripercuote sulle performance cognitive del soggetto (Mani e al., 2013; Shah e al., 2012).

La memoria di lavoro o memoria a breve termine è quel magazzino di memoria destinato ad accogliere le informazioni per un breve periodo. Diverse ricerche hanno analizzato le interrelazioni fra povertà e memoria di lavoro, soprattutto nell’età evolutiva. Da questi studi si evince che lo stato d’indigenza determina una scarsa capacità ritentiva della memoria a breve termine sia nell’infanzia (Pavlakis e al., 2015; Rowe e al., 2016) che nell’età adulta (Evans e Fuller-Rowell, 2013).

La capacità di autocontrollo può essere definita come l’abilità dell’individuo di controllare la propria attenzione, i pensieri, i comportamenti e le emozioni (Diamond, 2013). Le continue preoccupazioni economiche, che si verificano in una condizione di indigenza cronica, hanno un impatto negativo sulla capacità di autocontrollo (Hofmann e al., 2012; Vohs, 2013). Infatti, il soggetto è incapace di governare i suoi pensieri e i suoi comportamenti, accedendo a delle forme marcate di impulsività (Vohs, 2013).

In conclusione, una condizione di indigenza protratta produce dei riverberi negativi sull’attenzione, sulla memoria di lavoro e sulla capacità di autoregolazione dell’individuo.

Keywords: povertà, effetti negativi, attenzione, memoria di lavoro, capacità di autoregolazione.

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Vincenzo Amendolagine
Vincenzo Amendolagine

Medico, psicoterapeuta psicopedagogista. Insegna come Professore a contratto presso la Facoltà/Scuola di Medicina dell’Università di Bari Aldo Moro.

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