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La dipendenza affettiva: tra letteratura e neurobiologia

La ricerca neuroscientifica e la letteratura sulla dipendenza affettiva, aiutano lo sviluppo e il rinforzo di psicoterapie utili per coloro che ne soffrono

Di Federica Fiorilli

Pubblicato il 02 Mar. 2018

Aggiornato il 28 Mar. 2018 11:06

Oggi, con i mezzi tecnologici che abbiamo a disposizione che non solo facilitano le comunicazioni tra individui, ma permettono di tracciare anche i minimi dettagli di una persona, stiamo vivendo una trasformazione delle modalità con cui si manifesta la dipendenza affettiva (o love addiction), che tuttavia rimane un problema psicosociale da arginare.

 

Donne che amano troppo – Riflessioni sul libro

Nonostante la prima edizione di Donne che amano troppo della psicoterapeuta americana Robin Norwood risalga alla metà degli anni Ottanta, questo libro rappresenta un capolavoro di attualità. Come specificato nell’introduzione alla nuova edizione, cambiano i tempi, cambiano le modalità comunicative, cambia il grado di consapevolezza di avere un problema con l’amare troppo qualcuno, ma il “mal d’amore” descritto nelle pagine del libro è assolutamente moderno e debilitante così come in passato.

Se qualche decade fa una donna trascorreva giornate intere sdraiata nel letto, accanto al telefono fisso del suo appartamento nell’attesa di una chiamata da parte di un uomo di cui era ossessionata, o tentava di contattare amici o parenti nella speranza di avere notizie del suo amore, oggi, con i mezzi tecnologici che abbiamo a disposizione che non solo facilitano le comunicazioni tra individui, ma permettono di tracciare anche i minimi dettagli di una persona, stiamo vivendo una trasformazione delle modalità con cui si manifesta la dipendenza affettiva (o love addiction), che tuttavia rimane un problema psicosociale da arginare.

Per proporre qualche esempio, la stessa donna sdraiata nel letto con la cornetta del telefono vicino all’orecchio, ai tempi d’oggi controllerebbe spasmodicamente il cellulare, contemplando sul display il nome e numero dell’uomo che ama con il pensiero desiderante di chiamarlo (una sorta di craving, come un alcolista davanti alla porta di un’enoteca con il desiderio impulsivo di varcare la soglia del locale e cadere nuovamente nella sua dipendenza), oppure accederebbe a Whatsapp per verificare l’ora esatta del suo ultimo accesso (attivando meccanismi di ruminazione e rimuginio tali da mantenere attivo lo stato di allarme e angoscia), o ancora analizzerebbe accuratamente il suo profilo Facebook o Instagram alla ricerca di qualche indizio o prova della sua disonestà (foto ambigue, commenti fatti e/o ricevuti da altre possibili pretendenti e così via), il tutto in uno stato di attivazione fisiologica di ansia, paura, rabbia o tristezza che non fa altro che fomentare il disagio esperito. Per riassumere: mutano i tempi e i contesti ma non muta la dipendenza.

Nel libro, che è una raccolta di storie di donne (la maggior parte pazienti in cura dall’autrice) in balia di relazioni turbolente con uomini inaffidabili, egoisti e spesso con storie passate o attuali di abuso di alcol, la Norwood descrive egregiamente i vissuti emotivi di ciascuna delle protagoniste, focalizzando l’attenzione sulla loro infanzia spesso traumatica a causa da abusi fisici, sessuali o psicologici, questi ultimi comprendenti sia abusi verbali che trascuratezza nelle cure ricevute dalle figure di riferimento (neglect) che secondo alcuni importanti autori possono provocare veri e propri traumi nello sviluppo cognitivo-affettivo (Liotti G., Farina B., 2011).

Caratteristiche peculiari di molte donne descritte nelle pagine del libro riguardano un forte bisogno di controllo relazionale, l’autocolpevolizzarsi ed incrementare così il senso di sfiducia verso se stessa e la propria autostima (“è colpa mia se si è arrabbiato”, “non sono abbastanza attraente”) e l’illusione del “lui cambierà” e del “se gli sono necessaria o gli risolvo i problemi lui mi amerà”. A proposito della speranza (troppo spesso utopica) di veder cambiare il partner con la forza del proprio amore, diligenza, devozione e presa in carico delle sue problematiche (emotive, finanziarie ecc.), non è un caso che molte delle donne descritte nelle pagine del libro intrattengano o abbiano intrattenuto relazioni burrascose con alcolisti, molti dei quali, a causa della loro dipendenza patologica, non sono in grado di badare a se stessi e sono quindi ben disposti a delegare la propria vita a qualcuno di così efficiente e responsabile. La Norwood chiama queste donne coAlcoliste, in quanto parte del problema e fattori di mantenimento. È come se una dipendenza chiamasse un’altra dipendenza, alimentandosi l’un l’altra in un intreccio esplosivo che conduce a gravi conseguenze sul piano emotivo. L’autrice dedica un intero capitolo al racconto delle storie di alcuni di questi uomini, dei loro vissuti legati alla dipendenza da alcol e dalla necessità di trovare partner responsabili e capaci di cura e attenzione. Ma se il primo idillio d’amore offusca i sensi e la razionalità, ben presto le cose si complicano e gli aspetti personologici e comportamentali di entrambi giungono in superficie dando origine alle prime incomprensioni e rotture relazionali.

Tornando alle donne che amano troppo, la Norwood apre le prime pagine del suo libro con una frase rappresentativa di ciò che significa l’avere una dipendenza affettiva, dove la parola “dipendenza” può essere senza dubbio considerata analoga a tutte le tipologie di addiction con e senza sostanza: “Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo, e forse anche la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo”.

Il libro viene proposto come manuale di auto-aiuto, nonostante sia la stessa autrice a consigliare vivamente un percorso psicoterapeutico volto all’accettazione del proprio passato e delle proprie fragilità, al fine di (ri)conquistare individualità e amore verso se stessi e riuscire così a darsi una direzione nella vita e renderla piena e soddisfacente a prescindere da ogni tipo di relazione sentimentale passata, presente o futura.

Nel libro la Norwood parla di donne ma è opportuno precisare che l’argomento trattato si può riferire anche agli uomini i quali possono sviluppare dipendenza affettiva che si origina da dinamiche relazionali disfunzionali. L’”amare troppo” è una condizione che può manifestarsi all’interno di qualsiasi genere sessuale di appartenenza e vittima e carnefice non si basano dunque su superficiali ruoli di genere, dal momento che ridurre il fenomeno esclusivamente alle donne sarebbe un atto alquanto semplicistico e sessista. Il libro quindi si può benissimo adattare a qualsiasi individuo in quanto la dipendenza affettiva può interessare qualsiasi persona a prescindere da età, sesso, religione, cultura e orientamento sessuale. É tuttavia probabile che per motivi psicologici e sociali la dipendenza affettiva si manifesti più di frequente nelle donne, ciò potrebbe essere dovuto a fattori predisponenti nelle donne e a fattori protettivi nei maschi e tali considerazioni necessitano di adeguate indagini clinico-scientifiche.

Aspetti neurobiologici della dipendenza

Negli organismi altamente evoluti di cui l’essere umano è l’esemplare maggiormente avanzato, il piacere rappresenta la spinta motivazionale all’azione (Caretti, La Barbera, 2010), per cui un comportamento che porta ad esperire una sensazione di piacere avrà più possibilità di essere reiterato.

Tale assunto è il punto di partenza da cui si origina una dipendenza patologica, dal momento che una sostanza di abuso o un comportamento compulsivo con iniziali conseguenze piacevoli attivano cascate di reazioni chimiche che coinvolgono circuiti cerebrali legati alla gratificazione e alla soddisfazione dei bisogni. I numerosi studi di neurobiologia sono tutti concordi nel ritenere il circuito meso-cortico-limbico il principale substrato neurale implicato nell’ addiction, e la dopamina come principale neuromodulatore. Infatti le aree di questo circuito costituito dall’area tegmentale ventrale e dal nucleo accumbens (striato ventrale) e parte della corteccia pre-frontale, giocano un ruolo cruciale nel sistema di rinforzo e ricompensa ed è stato osservato che una sostanza psicostimolante è in grado di iperattivare i neuroni dopaminergici presenti in questa porzione cerebrale provocando sensazioni di benessere e dando così alla sostanza di abuso una valenza edonica positiva (alto valore di salienza). Ciononostante, le ripetute scariche di dopamina (e la sua sovrapproduzione) all’interno di queste aree conducono in seguito ad un incremento della soglia di attivazione in grado di suscitare sensazioni positive associate alla sostanza, creando di conseguenza tolleranza e bisogno maggiore di dopamina all’interno del sistema della gratificazione. Inoltre studi di neuroimaging hanno osservato una sostanziale riduzione dei recettori D2 della dopamina nello striato in soggetti con addiction, in associazione ad una ipoattivazione della corteccia orbitofrontale (regione implicata nell’attribuzione della salienza degli stimoli e nei comportamenti compulsivi) e del giro cingolato (regione coinvolta nel controllo inibitorio, attenzione ed impulsività) (Volkow, 2007).

La riduzione dei recettori D2 e della normale attività dopaminergica causa quindi un deficit nei circuiti che regolano la gratificazione attraverso rinforzi naturali quali cibo, sesso e sonno, portando il soggetto con addiction a ricercare stimoli maggiormente capaci di attivare i circuiti della gratificazione; questo potrebbe spiegare il perché si assista, in coloro che abusano di sostanze, ad un progressivo disinteresse per le usuali attività naturali che fino a poco prima provocavano piacere. Senza piacere dunque non può esserci motivazione e se l’unico piacere diventa la sensazione esperita a seguito di somministrazione di stupefacenti o di un comportamento compulsivo, non rimane tanto difficile comprendere le basi all’origine del craving. Il ricordo dell’esperienza piacevole associato a stimoli in grado di rievocare tale esperienza mette in moto una serie di comportamenti volti al raggiungimento di quello che, a seguito di ripetute esposizioni, è diventato il bisogno primario, a discapito di tutte quelle attività piacevoli (e sane) dapprima praticate.

Oltre alla iperattivazione dopaminergica e al successivo decremento dei recettori D2, un’altra conseguenza  provocata dall’ addiction riguarda la disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (asse HPA), ovvero l’insieme delle strutture che modulano le nostre risposte allo stress. É stato osservato che la somministrazione cronica di sostanze d’abuso conduce alla disregolazione di HPA e che ciò provoca, durante un periodo di astinenza prolungata, un incremento del fattore di rilascio della corticotropina (CFR), dell’ormone adrenocorticotropo (ACHT) e del corticosterone nell’amigdala estesa (Koob, Le Moal, 2005). Questo potrebbe in parte spiegare le sensazioni di ansia e paura sperimentate dai soggetti in astinenza (l’amigdala è la principale struttura coinvolta nel circuito della paura) e l’incapacità di tali soggetti di far fronte in modo costruttivo a situazioni stressanti (la disregolazione di HPA manterrebbe attivo lo stato di stress rendendo difficile un adeguato problem-solving). Inoltre, in uno studio che investigava il legame intercorrente tra cure parentali durante l’infanzia e abuso di cocaina in età adulta è stato riscontrato che esperienze infantili negative (maltrattamenti/abusi, neglect) erano associate all’ addiction e a più alti livelli di cortisolo e ACTH, dimostrando una possibile associazione tra attaccamento e dipendenza patologica (Gerra G., 2009).

La dipendenza affettiva negli studi di neuroimaging

Descrivere la neurobiologia dei comportamenti di addiction, partendo dagli studi che hanno indagato le basi neuroanatomiche/neurochimiche alla base della patologia, è di estrema importanza dal momento che diverse ricerche hanno dimostrato similarità tra le varie dipendenze. Per tornare all’argomento principale dell’articolo, in studi di neuroimaging che hanno indagato le possibili aree cerebrali implicate nella dipendenza affettiva è stato osservato quanto tale fenomeno abbia alcune somiglianze con la dipendenza da sostanze. Infatti, Reynaud e collaboratori (2010) hanno comparato osservazioni cliniche e dati provenienti da studi di neuroimaging in soggetti con diverse tipologie di dipendenza che comprendevano abuso di sostanze, gambling patologico e dipendenza affettiva, osservando reazioni psicosomatiche analoghe e un simile pattern di attivazione cerebrale. Nel dettaglio, i soggetti con love addiction mostravano euforia e desiderio irresistibile in presenza dell’oggetto d’amore (o da stimoli associati), mentre in sua assenza era frequente notare umore negativo (fino all’anedonia) e disturbi del sonno. Per quanto riguarda le aree implicate, alcuni studi suggeriscono che la corteccia orbitofrontale e il giro cingolato anteriore siano regioni cerebrali coinvolte nella dipendenza affettiva, le stesse che mediano la dipendenza da sostanza, insieme a specifici neurotrasmettitori tra cui la dopamina (si ricorda che le cellule dopaminergiche si attivano in risposta a stimoli salienti e facilitano l’apprendimento condizionato tipico dei comportamenti di addiction con le motivazioni e compulsioni correlate). In aggiunta, attraverso la risonanza magnetica funzionale (fMRI), Fisher e colleghi (2010) hanno osservato significativa attivazione nell’area tegmentale ventrale bilateralmente, nello striato ventrale e nelle cortecce orbitofrontale e prefrontale in soggetti che avevano subito un recente rifiuto da parte di un partner, i quali partecipavano ad un esperimento in cui venivano fatte vedere loro fotografie dei loro amati in vari contesti.

I dati provenienti dagli studi di neurobiologia forniscono importanti informazioni circa la natura delle dipendenze e del successivo craving, dimostrando che non vi sono sostanziali differenze per quanto riguarda le aree associate al comportamento di addiction, di qualsiasi forma si tratti.

Conclusioni: la neurobiologia delle donne che amano troppo

Partendo dall’analisi di un bestseller di fama mondiale e descrivendo in seguito gli effetti neurobiologici delle dipendenze patologiche, potrebbe ora essere possibile delineare le associazioni che intercorrono tra le donne descritte nel libro della Norwood e gli aspetti più prettamente scientifici che riguardano la dipendenza affettiva.

Infatti, molte delle protagoniste raccontano di come le relazioni con uomini “sbagliati” fossero per loro costanti stimoli e di come andassero in continua ricerca di quell’eccitazione sessuale ed emotiva che riuscivano a trovare esclusivamente in partner tendenzialmente inadatti. Alcune affermano come l’amore ed il rispetto ricevuto da un uomo buono, attento, responsabile e realmente interessato a loro fosse un’esperienza noiosa o comunque non abbastanza stimolante da farle rimanere in relazioni “sane” di quel tipo. É possibile che le scariche d’eccitazione sperimentate con gli uomini sbagliati descritti nel libro sia la ricerca di quelle cascate di dopamina osservate nei comportamenti di addiction con e senza sostanza, e che quelle sensazioni di malessere, anedonia, ansia e angoscia esperite a seguito di una separazione temporanea o di un vero e proprio abbandono (e che si accompagnano spesso a processi di ruminazione e rimuginio che mantengono attiva l’attenzione selettiva sull’oggetto-stimolo dell’addiction) siano analoghe all’esperienza di craving che si riscontra nelle dipendenze patologiche. Inoltre, dal momento che molte donne del libro provengono da contesti familiari altamente disfunzionali (genitori assenti, alcolisti, violenti, abusanti, trascuranti ecc.) e riscontrata una correlazione tra disregolazione dell’asse HPA e addiction, potrebbe essere possibile che anche nelle protagoniste delle storie raccontate dalla Norwood le esperienze infantili negative/traumatiche siano fattori predisponenti lo sviluppo di dipendenza affettiva, a causa dell’enorme carico di stress a cui sono state e continuano ad essere sottoposte.

Considerando i dati provenienti dalla ricerca neuroscientifica e le esperienze raccolte in “Donne che amano troppo”, sarebbe opportuno impegnarsi nello sviluppo e rinforzo di psicoterapie in grado di far fronte ai vissuti emotivi negativi di coloro che soffrono di dipendenza affettiva al fine di garantire a queste persone una qualità di vita migliore e una capacità di relazionarsi agli altri in modo più funzionale e adattivo.

La Terapia Cognitivo-Comportamentale potrebbe fornire soluzioni efficaci, attraverso moduli di intervento che producano risultati soddisfacenti, quali gestione di processi metacognitivi disfunzionali (Caselli, 2017), individuazione e superamento dei cicli interpersonali problematici (La Mela, 2014), potenziamento delle funzioni metacognitive e senso di agency (Di Maggio, 2013), riduzione dello stress attraverso programmi di mindfulness (Kabat-Zinn, 1990).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Caretti V., La Barbera D. (2010). Addiction. Aspetti biologici e di ricerca. Raffaello Cortina Editore.
  • Caselli G., Ruggero G.M., Sassaroli S. (2017). Rimuginio. Teoria e terapia del pensiero ripetitivo. Raffaello Cortina Editore.
  • Dimaggio G., Montano A., Popolo R., Salvatore G. (2013). Terapia metacognitiva interpersonale dei disturbi di personalità. Raffaello Cortina Editore.
  • Fisher H.E., Brown L.L., Aron A., Strong G., Mashek D. (2010). Reward, Addiction, and Emotion Regulation Systems Associated With Rejection in Love. Journal of Neurophysiology 104: 51–60.
  • Gerra G., Leonardi C., Cortese E., Zaimovic A., Dell'Agnello G., Manfredini M., Somaini L., Petracca F., Caretti V., Raggi M.A., Donnini C. (2009). Childhood neglect and parental care perception in cocaine addicts: Relation with psychiatric symptoms and biological correlates. Neuroscience and Biobehavioral Reviews 33 601–610.
  • Kabat-Zinn J. (1990). Vivere momento per momento. Tea Edizioni.
  • Koob G.F., Le Moal M. (2005). Plasticity of reward neurocircuitry and the 'dark side' of drug addiction. Nature Neuroscience.
  • La Mela C. (2014). Fondamenti di Terapia Cognitiva. Maddali e Bruni.
  • Liotti G., Farina B. (2011). Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi clinica e terapia della dimensione dissociativa. Raffaello Cortina Editore.
  • Norwood R. (2016). Donne che amano troppo. Feltrinelli, sassantaseiesima edizione.
  • Reynaud M., Karila L., Blecha L., Benyamina A. (2010). Is Love Passion an Addictive Disorder? The American Journal of Drug and Alcohol Abuse, 36:261–267.
  • Volkow N.D., Fowler J.S., Wang G.J., Swanson J.M., Telang F. (2007). Dopamine in drug abuse and addiction: results of imaging studies and treatment implications. Archives of Neurology 64(11):1575-1579
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