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Le nuove frontiere della ricerca sulla Malattia di Huntington

E' stato dimostrato che la malattia di Huntington potrebbe avere delle origini precoci e questo porterebbe a modifiche nei trattamenti proposti.

Di Martina Bandera

Pubblicato il 16 Feb. 2018

Una nuova ricerca della Rockefeller University, mostra che le anomalie neurali della Malattia di Huntington, diagnosticata tipicamente verso i 40 anni, sono evidenti già in fase embrionale. La scoperta appare di estrema importanza in quanto potrebbe fornire nuove evidenze riguardo questa malattia fatale che interferisce con la normale funzionalità neurale.

 

La malattia di Huntington potrebbe avere origine nelle prime fasi dello sviluppo

La maggior parte delle persone affette dalla Malattia di Huntington mostrano i primi sintomi in età adulta: il campanello d’allarme è rappresentato da movimenti a scatti seguito, con l’avanzare della malattia, dalla comparsa della demenza sintomo tipico presente in questi pazienti.

La nuova ricerca suggerisce che questi sintomi potrebbero essere una manifestazione tardiva della malattia, che avrebbe origine precocemente addirittura nelle prime fasi dello sviluppo embrionale. Il team di ricercatori, ricreando cellule staminali embrionali umane, ha potuto osservare anomalie precoci a livello dei neuroni coinvolti nella malattia di Huntington; nell’articolo pubblicato su Development è stato descritto il modo in cui queste cellule formano grandi strutture anomale che non erano mai state osservate né associate precedentemente alla malattia.

La nostra ricerca suggerisce che l’incipit della malattia di Huntington si verifichi subito dopo la fecondazione. Questo comporta, ovviamente, delle conseguenze durante l’arco di vita in quanto la malattia si verifica decenni dopo la nascita, quando i sintomi si manifestano” ha detto Brivanlou, uno degli autori dello studio. La Còrea di Huntington è una delle poche malattie che presenta una causa genetica ben precisa: il 100% delle persone che presentano la mutazione del gene Huntington (HTT) svilupperà poi la malattia. La mutazione, che avviene a livello del DNA, fa sì che il gene responsabile produca una proteina più lunga del normale con sequenze ripetitive anomale. La ricerca sulla Malattia di Huntington ha finora utilizzato la sperimentazione animale, tuttavia gli scienziati non sono in grado di spiegare la funzione che il gene HTT svolge normalmente né tanto meno come la sua mutazione infici il funzionamento cerebrale.

Sospettando che la malattia si presenti in modo diverso negli esseri umani, i cui cervelli sono molto più complessi degli animali, i ricercatori hanno posto l’attenzione sulle cellule. Utilizzando la CRISP (una tecnica di modificazione del DNA cellulare) gli scienziati sono stati in grado di creare una serie di cellule staminali embrionali identiche a quelle originali tranne che per il numero di ripetizioni presenti alle estremità dei geni HTT, responsabili della malattia. Il team ha scoperto che, mentre nel processo di divisione cellulare in genere ciascuna cellula conserva un solo nucleo, in alcune delle cellule mutate erano presenti fino a 12 nuclei. Questo ingigantimento influenzava la neurogenesi, ovvero la generazione di nuovi neuroni: più la mutazione cellulare presentava ripetizioni, più si osservavano neuroni multinucleati.

La necessità di trattamenti differenti nella malattia di Huntington

I trattamenti oggi impiegati per la cura della malattia di Huntington si focalizzano principalmente sul blocco dell’attività della proteina mutata HTT supponendo che la iper-attivazione di tale proteina provochi la morte cellulare; il lavoro del team newyorkese però volge verso una via opposta avanzando l’idea secondo la quale la causa sarebbe la mancanza di attività della proteina in questione. Per testare questa ipotesi, i ricercatori hanno creato linee cellulari in cui la HTT era completamente assente: queste cellule sono risultate essere molto simili a quelle coinvolte nella Còrea di Huntington confermando l’idea che sia la mancanza della proteina e non un eccesso di essa, a causare la malattia.

Alla luce di ciò, i risultati appaiono alquanto significativi in quanto evidenziano l’inefficienza e la dannosità dei trattamenti esistenti e la possibilità di svilupparne di nuovi. Le evidenze trovate possono essere un’utile risorsa per studiare ulteriormente le dinamiche cellulari e molecolari coinvolte non solo nella Malattia di Huntington ma anche nelle altre malattie neurodegenerative umane. Brivanlou ha concluso “Il nostro lavoro ipotizza un aspetto evolutivo della patologia mai considerato prima d’ora: la Còrea di Huntington potrebbe essere non solo una malattia neurodegenerativa ma anche una malattia del neurosviluppo”.

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