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Quando il divorzio psicologico non si raggiunge: la guerra del legame disperante

La coppia non sempre raggiunge il divorzio psicologico: spezzare il rapporto comporterebbe una profonda angoscia, da evitare perché troppo dolorosa

Di Laura Cordaro

Pubblicato il 23 Feb. 2018

Aggiornato il 29 Ago. 2019 12:40

Il divorzio, e la fine di un matrimonio in generale, rappresenta un importante momento di cambiamento che coinvolge l’intero progetto di vita di entrambi i coniugi. Questa fase comporta la riorganizzazione di tanti aspetti della propria esistenza e quotidianità: aspetti economici, abitazione, rete relazionale, immagine sociale.

 

Le sei dimensioni del divorzio di Bohannan

Nel 1973 Paul Bohannan ha elaborato sei dimensioni che coinvolgono la coppia al momento della separazione:

  • Divorzio emozionale: rappresenta lo scioglimento del progetto di vita comune costruito fino ad allora, dei sogni e delle speranze nati durante il tempo trascorso insieme.
  • Divorzio legale: lo scioglimento legale del vincolo.
  • Divorzio economico: cambiamento di status che può creare una condizione di disagio economico per uno o entrambi i coniugi.
  • Divorzio comunitario: abbandono dell’abitazione comune o allontanamento da amici e rispettive famiglie e più in generale della rete sociale costruita insieme.
  • Divorzio genitoriale: quando l’elevata conflittualità non permette di mantenere un accordo educativo nei confronti dei figli o avviene con essi una separazione intenzionale o per motivi di affidamento legale.
  • Divorzio psicologico: “separazione di sé dalla personalità e dall’influenza dell’ex coniuge” (Bohannan, 1973), ovvero imparare a vivere la propria vita senza l’altro.

La separazione della coppia giunge positivamente al termine quando entrambi i coniugi hanno accettato la fine del rapporto e ne hanno compreso le cause e le dinamiche implicite.

Tuttavia quando il matrimonio finisce contro la volontà di uno dei due coniugi, colui che lo subisce vive una condizione emotiva assimilabile al lutto (Gambini, 2010), termine che indica appunto “tutti quei processi psicologici, consci o inconsci, che vengono suscitati dalla perdita di una persona amata” (Bowlby, 1983); si tratta quindi di una esperienza di perdita che provoca un profondo dolore.

Il divorzio come lutto

Nel 2005 David Sbarra e Robert Emery, due psicologi americani, nel tentativo di approfondire tale sovrapposizione, hanno teorizzato il “modello ciclico del lutto”.

Tale modello prevede tre emozioni:

  • Amore, che implica nostalgia per la perdita o la segreta speranza che tutto possa tornare come prima; rimanere fissati su questa emozione determina la negazione psichica della separazione, nella speranza che possa avvenire una riconciliazione;
  • Collera, a causa della frustrazione subita, della sensazione di essere stato ingannato e del dolore percepito; questa emozione se non correttamente elaborata può portare ad attribuire all’altro tutte le colpe della separazione e i torti subiti; l’ex coniuge diventa così la causa della rovina della propria vita.
  • Tristezza, legata al sentimento di solitudine e sconforto che la separazione determina; una fissazione su questa emozione può provocare pensieri suicidari o stati depressivi, nei quali tutte le colpe della separazione vengono attribuiti a se stessi.

Tipicamente al termine di una relazione tali emozioni compaiono una per volta con forte intensità, con il tempo le stesse iniziano a diminuire di profondità tendendo sempre più a manifestarsi simultaneamente (Sbarra & Emery, 2005).

Se controllati, riconosciuti ed elaborati correttamente questi contenuti psichici possono portare ad una nuova rinascita e all’accettazione della separazione e del divorzio, in vista di un nuovo personale progetto di vita.

Solo così è possibile attuare il “divorzio psicologico” di cui parla Bohannan (1973).

Non tutte le coppie però riescono, a seguito della rottura del legame, a giungere ad un divorzio psicologico.

Il legame disperante

Alcune separazioni diventano, di fatto, impossibili: la paura di perdersi si trasforma in una guerra in tribunale e più in generale in una lotta continua che si alimenta di ogni minimo pretesto. Tale scontro nella mente dei coniugi dovrà portare ad un unico vincitore e alla conseguente punizione dell’altro.

Nasce così quello che Cigoli, Galimberti e Mombelli (1988) definiscono “legame disperante”.

Il legame disperante è ciò che non permette alla coppia di raggiungere il divorzio psicologico: il rapporto non può essere mantenuto in vita perché è distruttivo, ma spezzarlo comporterebbe una profonda angoscia, che deve essere evitata perché troppo dolorosa.

L’altro è considerato come il “male”, a cui vanno attribuite tutte le colpe, anche quelle personali. Ed è proprio questa logica che alimenta il desiderio di distruggerlo: dal punto di vista giuridico, economico e psicologico; al fine di vendicarsi del torto subito.

Per tali persone il giudice assume la funzione di dimostrare che «l’altro ha torto e io ho ragione»; mentre interventi di tipo clinico e terapeutico o di mediazione familiare, che sarebbero auspicabili, vengono rifiutati.

All’interno di questa fase non vi è spazio per l’elaborazione del dolore, che potrebbe condurre alla fine dei conflitti e all’inizio di una nuova vita per ciascuno degli ex coniugi.

Il divorzio legale poi comporta profonde trasformazioni materiali: problematiche economiche, il rientro nella propria famiglia di origine, solitudine.

Queste difficoltà oggettive si sommano a quelle psicologiche e si trasformano in ulteriori pretesti per arrivare allo scontro: ricatti per il mancato pagamento dei versamenti, sentimenti di frustrazione per la propria condizione materiale di vita, denunce.

In questa battaglia, incentrata sul desiderio di rivalsa, i figli rimangono sullo sfondo, non visti. Ed è in questo tipo di coppie ad alta conflittualità che “il disordine relazionale pervade l’area della genitorialità, chiamando un figlio, attraverso i suoi sintomi, a giocare la sua parte nel sistema” (Bogliolo & Bacherini, 2005)

Il divorzio genitoriale si trasforma nell’impossibilità di mantenere un accordo educativo nei confronti dei figli: il genitore perde la consapevolezza delle proprie responsabilità e dei propri compiti in relazione al ruolo di madre e padre.

Inoltre le difficoltà a scambiarsi informazioni relativamente ai figli, senza creare un’ulteriore occasione di scontro, si trasformano in vera e propria condizione di incomunicabilità i cui mediatori diventano spesso gli stessi figli: oltre alla breve telefonata, ai messaggi tramite segreterie telefoniche ed SMS, alla email e ai fax inviati tramite legali di parte, la coppia ricorre spesso ai figli, che devono portare con sé, quando si spostano dalla casa della mamma a quella del papà e viceversa, anche il carico dell’assenza di comunicazione genitoriale.

Tuttavia in questa condizione ciascuno dei due ritiene di essere il genitore più idoneo e pretende che ciò gli venga riconosciuto dal sistema giudiziario attraverso l’esercizio dell’affidamento.

Questa logica diventa ancora una volta pretesto per alimentare ulteriori conflitti che in questo caso si spostano all’interno dell’aula di tribunale che mettono in gioco ulteriori meccanismi, come quello ad esempio delle false denunce (“l’altro presenta stili di vita non idonei per un minore”, “l’altro è negligente nei confronti dei bisogni del figlio”, ecc…), nel tentativo di screditare l’altro coniuge e vincere la battaglia dell’affidamento.

L’impossibilità quindi di attuare un divorzio psicologico (Bohannan, 1973) e superare “la fase della collera”(Sbarra & Emery, 2005) impedisce una ridefinizione efficace dei propri ruoli genitoriali e il loro esercizio.

Anche i figli vivono la separazione dei genitori come un lutto: provano paura, si sentono disorientati per la perdita della loro quotidianità e delle loro certezze, vivono la tristezza di qualcosa che c’era prima e adesso non c’è più; provano rabbia per via dell’impotenza che sperimentano in tale situazione; attribuiscono spesso a sé la colpa dell’accaduto; vivono la vergogna, percepiscono la separazione dei propri genitori come qualcosa per cui essere imbarazzati agli occhi degli altri (Emery, 2008).

Infine il bambino sperimenta il senso di impotenza: spera inizialmente di riuscire a riunificare i genitori, ma il suo desiderio di onnipotenza si scontra ben presto con una realtà diversa.

Il persistere di una intensa conflittualità tra i genitori può provocare nel tempo disturbi profondi nei figli dal punto di vista psicofisico, relazionale e comportamentale e questo è il motivo per cui l’ intensa e prolungata conflittualità genitoriale è considerata una violenza psicologica che può sfociare in una vera e propria azione di mobbing genitoriale (Najman, Behrens, Andersen, Bor, O’Challagan & Williams, 1997)

Tale violenza si concretizza in azioni quali: indurre il figlio a scegliere un genitore a discapito dell’altro, con l’instaurarsi così di conflitti di lealtà, sentimenti di colpa, di inadeguatezza e di abbandono; utilizzare il figlio per ottenere informazioni sull’ex coniuge, il decidere se parlare o meno, se mentire o dire la verità, fa vivere loro un profondo conflitto di lealtà (Baker, 2010).

Superare una situazione di alta conflittualità come il divorzio richiede sicuramente un notevole lavoro su se stessi e sul proprio ruolo di genitore, è necessario attraversare la fase del dolore, accettarla, elaborarla e lasciare andare la propria sofferenza, iniziando a investire su di sé e sulle proprie risorse. Questo cammino è molto faticoso e talvolta è opportuno affidarsi ad un esperto che possa fare da supporto e facilitatore nelle dinamiche di coppia e personali.

Solo così è possibile sganciarsi dal proprio passato ed essere finalmente liberi di essere felici.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Baker, A. J. L. (2010).  Figli divisi. Storie di manipolazione emotiva dei genitori nei confronti dei figli. Firenze: Giunti Editore.
  • Bogliolo, C. & Bacherini, A. M. (2005). Bambini divorziati. Separazione, figli, controversie tra genitori. Elementi di mediazione familiare. Tirrenia: Edizioni Del Cerro.
  • Bohannan, P. (1973). The Six Station of Divorce in Love Marriage e Family: a developmental approach. Illinois: Scott e C.
  • Bowlby, J. (1983). Attaccamento e perdita. Torino: Boringhieri.
  • Cigoli, V., Galimberti, C. & Mombelli, M. (1988). Il divorzio come dramma di genitori e figli. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Emery, R. (2008). La verità sui figli e il divorzio. Gestire le emozioni per crescere insieme. Milano: Franco Angeli.
  • Gambini, P. (2010). Psicologia della famiglia. La prospettiva sistemico-familiare. Milano: Franco Angeli.
  • Najman, J. M., Behrens, B. C., Andersen, M., Bor, W., O'Challagan, M. & Williams, G. M. (1997). Impact of family type and family quality on child behavior problems: a longitudinal study. Journal of the American Accademy of child and adolescent psychiatry, 36, 1357-1365.
  • Sbarra, D. A. & Emery, R. E. (2005). The emotional sequelae of nonmarital relationship dissolution: analysis of change and intraindividual variability over time. Personal Relationships, 12, 213-232.
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