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Da Catania il Progetto “Mediterraneo: Aids e mediatori tra le terre”

“Mediterraneo: Aids e mediatori tra le terre” ha l'obiettivo di migliorare la prevenzione e la diagnosi precoce di malattie infettive tra gli immigrati

Di Sonia Sofia, Guest

Pubblicato il 24 Gen. 2018

La significativa presenza di stranieri in Italia e i continui flussi migratori mettono in primo piano l’esistenza di nuovi cittadini portatori di diritti, fra i più importanti quello alla salute; dal punto di vista sanitario, infatti, il profilo di salute degli immigrati si caratterizza per condizioni di disagio dovuto a fragilità sociale e persistenti problemi legati all’integrazione.

C. Desiderio, P. Uccellatore, S. Sapienza, M. Raspagliesi, S. Sofia 

 

 

Stranieri in Italia: il profilo di salute degli immigrati

Dal punto di vista sanitario, il profilo di salute degli immigrati si caratterizza per condizioni di disagio dovuto a fragilità sociale e persistenti problemi legati all’integrazione. Le condizioni di vita nei centri di accoglienza, dove si registra spesso sovraffollamento, rendono maggiormente vulnerabili questi gruppi di individui, spesso a rischio di malattie infettive.

Fattori aggravanti che rendono più esposte le popolazioni migranti sono il difficile accesso ai servizi sanitari e la non sempre adeguata accoglienza e fruibilità alle prestazioni, causate da barriere linguistiche e culturali e da una diversa rappresentazione del concetto stesso di malattia, salute e prevenzione. Gli stranieri in Italia, ma in generale tutti immigrati, pertanto, rappresentano una importante categoria di soggetti ai margini della prevenzione. Secondo gli ultimi studi condotti dalla SIMIT, un migrante su cinque si ammala di HIV solo dopo essere giunto in Italia. Per tale motivo è prioritario che il controllo e la prevenzione delle patologie infettive siano parte degli obiettivi fondamentali nella programmazione dei moderni sistemi sanitari, che devono avvalersi della cooperazione di gruppi di operatori in grado di mediare tra il sistema sanitario e lo straniero.

A tal proposito, il mediatore culturale con le sue competenze può fornire risposte efficaci ai bisogni dei soggetti stranieri in Italia promuovendo i servizi offerti dai diversi enti pubblici, e facilitando gli interventi messi in atto dalle istituzioni al fine di promuovere la presa in carico e la realizzazione di misure preventive destinate a tali gruppi. Fondamentale, quindi, formare nella popolazione immigrata una consapevolezza delle patologie infettive, in grado di tradursi in metodi più efficaci, che richiedono un’elevata adesione agli schemi terapeutici e un comportamento aderente per contenerne la diffusione.

Il progetto: Mediterraneo: Aids e mediatori tra le terre

Il Progetto “Mediterraneo: Aids e mediatori tra le terre” rientra nell’area dell’educazione dei mediatori culturali in sanità, con specifico riferimento alla relazione tra malattie infettive e immigrazione. Il progetto interprovinciale è stato realizzato a Catania, seguendo la metodologia tipica della ricerca-azione, caratterizzato da un iter formativo con l’intento di sviluppare una cultura di empowerment promossa da mediatori culturali e immigrati.

Il corso, rivolto a n. 20 mediatori culturali, ha avuto una durata complessiva di 60 ore, suddivise in attività didattica teorica e sessioni pomeridiane di tipo esperienziale dedicate alle dinamiche di gruppo. La formazione ha permesso di migliorare le conoscenze cliniche e psicologiche relative alle malattie infettive, con particolare interesse alla patologia dell’HIV/AIDS, e ha ottimizzato le competenze comunicative e relazionali dei mediatori culturali riguardo prevenzione, comportamenti a rischio, diagnosi precoce e cura di tale patologia nella popolazione migrante.

Obiettivo prioritario è stato quello di formare figure capaci di elaborare le discrasie connesse alla multiculturalità. È stata così delineate una figura di mediatore specializzato nell’ambito della sanità, capace di fornire aiuto qualificato nella lotta alle patologie infettive: il Cultural Assistant Counselor (CAC). Tale figura ha acquisito conoscenze e capacità specifiche, per consentire la sensibilizzazione degli immigrati, così da poter ottenere una maggiore diffusione delle conoscenze sull’HIV/AIDS sulle modalità di accesso ai servizi sociali e sanitari.

La comprensione della patologia dell’ HIV associata alle conoscenze e competenze del mediatore, può aiutare ad affrontare le problematiche sociali e sanitarie che derivano dal rapporto prevenzione HIV/immigrazione e dal rapporto HIV+/emarginazione, e contribuire alla loro risoluzione. I soggetti immigrati con diagnosi di HIV, infatti, devono far fronte non solo al problema della discriminazione sociale in quanto immigrati ma anche all’esclusione a causa della sieropositività.

La valutazione dell’impatto della formazione ha avuto luogo attraverso la sperimentazione di un modello, nel quale la liaison tra mediatori culturali e immigrati è stata di grande rilevanza e significatività. Questa fase del progetto è stata caratterizzata da incontri di gruppo, focus group tematici e momenti di discussione e confronto, gestiti dai CAC nel ruolo di testimone e moderatore tra le parti. Si è provveduto a formare dei gruppi composti da una massimo di dieci partecipanti, condotti dal CAC e supervisionati da uno psicologo, così da poter ottimizzare le possibili difficoltà individuate nella comunicazione intersoggettiva.

Riguardo la fase della sensibilizzazione, i CAC hanno somministrato un questionario (P.P.A) appositamente strutturato, corredato da colloquio, per indurre i migranti alla prevenzione e alla diagnosi precoce. Il questionario è costituito da items capaci di testare le conoscenze generiche che la popolazione migrante possiede al riguardo: le differenze tra Aids e HIV, le vie di trasmissione, le informazioni sulle precauzioni adeguate da attuare nei rapporti sessuali, i metodi di esecuzione del test ,la terapia antiretrovirale e l’importanza dell’aderenza terapeutica. il P.P.A. è una modalità semplice, capace di creare una significativa mappatura della problematica.

In 90 giorni, i C.A.C. hanno sensibilizzato oltre 350 soggetti stranieri. I risultati emersi mostrano che il 52% dei soggetti non conosce la differenza tra HIV e AIDS, il 48% non ha mai fatto il test HIV e circa il 31% non conosce le procedure essenziali per avviarsi alla gestione clinica. In riferimento alle vie di trasmissione del virus HIV, i soggetti non sono consapevoli che il contagio può avvenire anche attraverso il liquido amniotico (85%) e le secrezioni vaginali (44%). Inoltre, un dato significativo riguarda la presenza di soggetti che ignorano tra le vie di trasmissione più comuni: la via “spermatica” (n. 84 soggetti) e la via ematica (n. 63 soggetti). Solo il 29% dichiara di non essere disponibile a partecipare ad incontri di gruppo su HIV/AIDS, evidenziando resistenze psicologiche non ancora standardizzate.

I risultati estrapolati dai diversi strumenti utilizzati, sintetizzano non solo la complessità nell’affrontare la tematica in oggetto, ma di fatto sostanziano il bisogno di un approccio eclettico e multifattoriale nella gestione delle patologie infettive.

Il carattere innovativo del progetto si fonda su un lavoro di empowerment condotto dal team di progettazione/formazione e dai CAC. Il mediatore culturale ha interiorizzato competenze facilmente fruibili in ambito sanitario e ha sviluppato la capacità di promuovere un incremento notevole di interventi che possono essere effettuati anche in contesti in cui è possibile solo un approccio breve. Le spiccate finalità preventive del progetto hanno favorito l’accesso ai servizi e la fruibilità di prestazioni, che rappresentano elementi fondamentali per il miglioramento delle condizioni di salute degli immigrati, anche in riferimento a situazioni di particolare criticità sanitaria come l’HIV/AIDS. Le conoscenze e capacità acquisite durante il corso di formazione hanno permesso al CAC di sensibilizzare gruppi di immigrati e utilizzare le informazioni ricevute attivando una rete sociale più ampia.

Il gruppo di lavoro ha messo in luce le potenzialità del rapporto vis-à-vis come elemento caratterizzante per ottimizzare la relazione con i soggetti stranieri, i diversi stadi del progetto sono stati funzionali allo sviluppo dell’ultima fase conferendole spessore e significatività. Il noumeno progettuale si è rivelato valido, attendibile e significativo, in quanto ha messo in luce un modello di sensibilizzazione long acting all’interno della comunità migrante.

Il progetto prospetta l’urgente necessità di una medicina interculturale in grado di tradurre tra loro culture e malattie, luoghi e persone. L’irruzione del “Nuovo” esige nuove visioni, riflessioni critiche e, insieme ad esse, la disponibilità ad incrociare in modo inedito schemi conoscitivi e discipline quali la medicina, la psicologia e l’antropologia. Una buona formazione è quella che coinvolge i partecipanti nella definizione dei bisogni di ciascuno, fornendo loro gli strumenti per generare quella capacità autoriflessiva a produrre idee ed esperienze.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Kreteur, M., McClure, S., (2004). The role of culture in health communication. Annu Rev. Public Health.
  • Lazarus, J., (2006). HIV/AIDS Knowledge and condom use among Somali and Sudanese immigrants in Denmark. Scandinavian Journal of Public Health.
  • Melkote, S., Muppidi, S., Goswami, D., (2000). Social and economics factors in an integrated behavioral and societal approach to communication in HIV/AIDS. Journal of Health Communication.
  • Spizzichino, L., (2008). Counselling e psicoterapia nell’infezione da HIV. Dall’intervento preventivo al sostegno psicologico. Franco Angeli.
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