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L’approccio cognitivo post razionalista per il trattamento dei problemi emotivi in ambito lavorativo

L' approccio post-razionalista per i problemi lavorativi fa riferimento alle dimensioni della Iwardness/Outwardness e Field-Dependence/Field-Independence.

Di Letizia Mannino

Pubblicato il 14 Dic. 2017

Aggiornato il 27 Mag. 2019 09:25

Nel presente articolo vorrei illustrare, attraverso l’esemplificazione di due casi clinici, l’applicazione dell’ approccio post-razionalista alla gestione di problemi lavorativi (come trasferimenti, mancate promozioni, avanzamenti di carriera, sviluppo dell’attività, eccetera).

 

Approccio post-razionalista e problemi lavorativi

Nel primo caso clinico la richiesta di una consulenza psicoterapeutica è stata motivata da uno stato di ansia insorto nel contesto lavorativo; mentre nel secondo caso il tema del lavoro non fa parte della presentazione iniziale del problema, ma di una riformulazione successiva.
Entrambi i pazienti sembrano presentare un’Organizzazione di Significato Personale (OSP) del tipo Disturbi Alimentari Psicogeni (DAP). Infatti i temi descritti dai pazienti sono quelli che caratterizzano più di frequente i soggetti con un’attitudine verso di sé di tipo Outward e Field-dependent, una combinazione appunto specifica dell’OSP DAP (Guidano, 2010).

I principali costrutti dell’ approccio post-razionalista di Guidano

Prima di passare all’esposizione dei casi, qualche breve cenno ad alcuni costrutti dell’ approccio post-razionalista cui si è fatto riferimento.
E’ in genere peculiare di un’OSP DAP una storia di sviluppo che comporta una scarsa differenziazione Sé/non-Sé. Scrive Guidano:
L’esperienza immediata, pertanto, può essere ricostruita e autoriferita nella misura in cui i suoi pattern di modulazione emotiva corrispondono alle aspettative percepite negli altri. In altre parole, il soggetto è «legato a criteri esterni» e si definisce attraverso i comportamenti e gli atteggiamenti degli altri significativi, come se questi fossero uno specchio. Questo stato di cose, mentre determina un’ipersensibilità al giudizio degli altri di assoluto rilievo, fa anche sì che gli altri non siano mai visti «in sé stessi», ma solo come conferme o disconferme del senso di sé in corso, con il risultato di essere sempre ingigantiti in modo positivo o negativo.” (Guidano, 1992).

Nel 1999 l’ approccio post-razionalista viene arricchito con due dimensioni psicologiche che permettono un’articolazione maggiore delle quattro OSP: la inwardness/outwardness e la field-dependence/field-independence (Guidano, 2010).

La prima dimensione si riferisce al rapporto che il soggetto ha con se stesso. I soggetti outward definiscono ‘l’interno’ ricavandolo “dall’esterno”. In particolare i soggetti con OSP DAP per stabilizzare l’interno cercano di corrispondere alle aspettative degli altri. La seconda invece fa riferimento al rapporto che il soggetto ha con gli altri: in particolare i soggetti field-dependent sarebbero più attenti alla relazione interpersonale e valutano il contesto momento per momento.

Entrambe le dimensioni dell’ approccio post-razionalista, come anche l’OSP nel suo complesso, si vanno a delineare e combinare tra loro all’interno dei primi legami di attaccamento con le figure significative.

Primo caso di problemi lavorativi: ansia da incarico di maggiore responsabilità e senso di inadeguatezza

Il primo caso è un giovane di 27 anni, laureato in economia e commercio, che sta progredendo rapidamente nella carriera manageriale. Dopo aver effettuato un brillante percorso universitario ha iniziato da subito a lavorare presso una società multinazionale. Mi consulta per un problema di ansia intensa e disturbi del sonno che ritiene siano dovuti al lavoro e specificamente ad alcuni aspetti del marketing che non condivide. Quando lo vedo la prima volta sta valutando l’ipotesi di dare le dimissioni perché lo stato di agitazione sta diventando intollerabile.

Al fine di comprendere meglio cosa sta accadendo andiamo a ricostruire l’andamento dell’ansia e in che momento si è manifestata: emerge così che di recente si è creata la prospettiva di un nuovo incarico di maggiore responsabilità. Progressivamente mettiamo a fuoco come questa eventualità piuttosto che gratificarlo lo abbia spaventato perché teme di non essere all’altezza della nuova funzione e di deludere le aspettative di coloro che credono nelle sue potenzialità, in particolare il suo diretto superiore.

L’idea di dimettersi dal lavoro è stata abbandonata già dopo le prime sedute, pur persistendo lo stato di ansia anche se meno intenso.
Nell’ottica di rafforzare nel paziente la messa a fuoco del suo punto di vista è stato evidenziato come certe caratteristiche delle sue funzioni, di cui aveva parlato in modo critico nel corso della prima seduta, seppure non sembravano spiegare da sole la sua ansia, non andavano per questo trascurate. Infatti il senso di inadeguatezza e le perplessità circa alcuni aspetti del suo incarico erano ingredienti che potevano coesistere.

E’stata posta attenzione, quindi, a evitare, da una parte, che il tema della ‘inadeguatezza’ finisse per far trascurare aspetti critici nei confronti del lavoro in realtà effettivamente sentiti e, dall’altra, che gli aspetti di insoddisfazione non fungessero da autoinganno, così da ‘coprire’ il ruolo svolto dal timore di esporsi in incarichi di crescente responsabilità.

La terapia si è conclusa quando il paziente è stato in grado di individuare l’ansia che accompagnava alcune situazioni relazionali senza viverla come dubbi circa la sua competenza professionale, sentendosi di conseguenza insicuro. Avendo ormai familiarizzato con il tema del giudizio, che caratterizzava in genere le sue relazioni, è stato in grado di gestire i problemi lavorativi con maggiore consapevolezza delle diverse dinamiche in gioco.

Secondo caso di problemi lavorativi: senso di inadeguatezza sia lavorativo che familiare

Il secondo caso è una avvocatessa di 40 anni che richiede un appuntamento con urgenza perché avverte un’intensa agitazione in seguito a un infarto del marito. E’ molto preoccupata per le condizioni del partner e perché teme di non essere in grado di fronteggiare la situazione. Già nel corso dei primi colloqui emerge come una quota importante della sua apprensione sia legata anche ad aspetti economici. Infatti la paziente ha quasi sempre collaborato con il coniuge – anch’egli avvocato – ed ora si sente persa e disorientata. Teme che il marito, a causa dei problemi di salute, non possa più lavorare o che comunque debba rimanere a riposo per un lungo periodo di tempo. Entrambi sono liberi professionisti e si occupano di consulenze societarie.

Mentre affrontiamo l’apprensione per la salute del marito cominciamo a tracciare brevemente le tappe del loro rapporto di coppia. Emerge che la maggiore età del marito (di alcuni anni) sembra aver contribuito a farle mantenere – e giustificare ai suoi occhi – un atteggiamento prevalentemente remissivo e passivo; modalità che la paziente riconosce subito come una sua caratteristica e che si presenta anche nel contesto lavorativo. Dalla ricostruzione dello stile di collaborazione lavorativa con il coniuge, quindi già prima della malattia di quest’ultimo, emerge come la paziente avvertisse il desiderio di muoversi in modo più autonomo seppure accompagnato dal timore di non avere adeguate capacità e competenze per riuscire. Inoltre si sente frenata dal timore che se si rendesse più indipendente, il marito potrebbe rimanerci male.

L’attenzione della paziente è stata quindi portata in modo più sistematico sulla messa a fuoco del suo senso di inadeguatezza e insicurezza, sia in ambito familiare che professionale. Emerge come i problemi lavorativi siano abitualmente caratterizzati dal timore di commettere errori, di non essere all’altezza dei contesti che di volta in volta si dovessero presentare e di non riuscire a corrispondere alle aspettative dell’altro.

Sia nel rapporto con il marito che con il contesto lavorativo la paziente tende ad anteporre il punto di vista -percepito – dell’altro al proprio, senza lasciarsi il tempo di valutare la situazione. Per esempio, la disapprovazione del marito la porta immediatamente a dubitare della propria posizione.
Esaminando meglio l’andamento delle prospettive lavorative che si erano presentate nel corso degli anni è emerso come la paziente avesse ricevuto delle proposte di consulenza dirette proprio a lei; quindi, se avesse sentito possibile ‘sganciarsi’ dal sistema familiare ormai consolidato, avrebbe potuto già da tempo guadagnarsi una maggiore autonomia.

La messa a fuoco progressiva dei temi emotivi in gioco ha permesso di evidenziare come il timore di escludere il marito potesse anche costituire un modo per evitare di esporsi in prima persona (autoinganno). Infatti se inizialmente la paziente era solita spiegarsi la sua ritrosia a cimentarsi in consulenze a livello individuale come un modo per ‘proteggere’ il partner, progressivamente è riuscita a cogliere come questa modalità le permettesse di evitare di mettersi alla prova; come se così facendo prevenisse il rischio di incorrere in una sorta di possibile/temuto ‘fallimento’.

Durante la psicoterapia fortunatamente si sono presentate delle nuove occasioni professionali. In particolare si è prospettata un’ipotesi di consulenza legale che poteva risultare molto importante per lo sviluppo della carriera della paziente, ma che, proprio perché “se la doveva giocare bene”, inzialmente è stata vissuta con ansia accompagnata da pensieri del tipo ‘sicuramente non andrà in porto’, ‘sceglieranno una altra persona’, eccetera.

L’opportunità della nuova collaborazione lavorativa è stata quindi sfruttata a due livelli. Infatti, mentre la paziente è stata sostenuta e orientata nella costruzione delle relazioni professionali finalizzate a definire l’incarico della consulenza, nello stesso tempo i diversi passaggi ‘critici’ che ha incontrato sono stati utilizzati per mettere a fuoco e articolare ulteriormente i temi personali emersi. In questo modo è stato possibile di volta in volta riformulare e generalizzare le ricostruzioni degli episodi eseguite nell’ ambito lavorativo anche agli altri contesti di vita.

La psicoterapia è stata avviata con la preoccupazione della paziente per i problemi economici e termina in una fase in cui l’incremento dell’attività professionale le rendeva difficile conciliare i diversi impegni. Sentendosi più sicura e riuscita a ‘guardare’ allo stato di salute del marito in modo più ‘obiettivo’ senza caricarlo di ulteriori tensioni e ansie specificamente relazionali.

Riguardo il matrimonio si è aperto un ambito di revisione. La paziente ha compreso degli aspetti di reciprocità con il partner e dovrà provare a costruire una modalità diversa di rapportarsi con quest’ultimo. Il percorso psicoterapeutico si conclude esplicitando che la porta rimane sempre aperta e in qualsiasi momento sentisse l’esigenza di ulteriori approfondimenti sarà possibile farlo.

Conclusioni: il trattamento dei disturbi lavorativi secondo l’ approccio post-razionalista

L’esposizione del trattamento in entrambi i casi è stato focalizzato su problemi lavorativi, ma la terapia è stata estesa anche agli altri ambiti di vita: famiglia, amici, relazione affettiva; facendo cogliere al paziente gli aspetti invarianti così da poter spaziare da un ambito all’altro per meglio cogliere i temi emotivi emergenti come specifici del modo personale di dare significato all’esperienza in corso.

E’ stato possibile effettuare un intervento mirato grazie anche alla possibilità di utilizzare una sorta di ‘griglia’ come quella costituita dai costrutti delle OSP e dalle dimensioni psicologiche della Iwardness/Outwardness e Field-Dependence/Field-Independence dell’ approccio post-razionalista, che ha permesso di inserire problemi lavorativi all’interno di un inquadramento complessivo della struttura di personalità.

Come segnalato, i casi clinici presentati hanno caratteristiche tipicamente legate a un’OSP DAP secondo l’ approccio post-razionalista ma anche individui con altre Organizzazioni di Significato Personale potrebbero andare incontro a problemi lavorativi, presentando però tematiche emotive diverse.

Può essere vantaggioso che i modelli terapeutici riescano a rispondere a emergenze emotive legate ai contesti sociali. In un periodo di crisi economica, come quello attuale, dove sempre più di frequente giovani e meno giovani si trovano a fare i conti con un mercato del lavoro che contrae le offerte, diventa necessario che il soggetto possa sfruttare al meglio le proprie potenzialità e risorse.

Per questo risulta essenziale provare a sgombrare il campo da spiegazioni che possono essere sostenute da una sorta di autoinganno, in quanto sbilanciate a segnalare le caratteristiche negative del contesto (scarse offerte, precarietà, concorrenza, eccetera) senza che venga considerato anche il ruolo del soggetto interessato.

Infatti, diverse forme di disagio personale possono ostacolare la realizzazione di un progetto lavorativo e professionale soddisfacente e finanche l’inserimento nel mondo del lavoro, come, solo per fare alcuni esempi: timore di esporsi, sentimenti di vergogna, timore ad assumersi responsabilità, perfezionismo e meticolosità, paura di sentirsi vincolati, sentimenti di sfiducia e inutilità, eccetera. E’ fondamentale, quindi, portare la persona ad individuare, di volta in volta, entrambe le componenti così da favorire un quadro complessivo della situazione individuale e del contesto, in modo da farle assumere un ruolo più attivo e consapevole.

 

Nota: I casi clinici hanno una funzione esclusivamente esemplificativa/illustrativa e i dati personali sono stati ampiamente modificati e adattati così da non essere in alcun modo riconducibili a fatti e persone concrete.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Guidano V.F, (1991) tr.it. Il sé nel suo divenire, Bollati Boringheri, Torino
  • Guidano V.F. (2010) Le dimensioni del Sé. Una lezione sugli ultimi sviluppi del modello post razionalista (a cura di G. Mannino), Alpes, Roma
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