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11 mesi: un romanzo sulla sofferenza psicologica e la psicoterapia – Recensione

11 mesi è un romanzo che attraverso la storia di diversi personaggi narra della sofferenza psicologica e del processo di cura e guarigione.

Di Laura Stefanoni

Pubblicato il 20 Dic. 2017

11 mesi è un romanzo appassionante, attraverso il quale il lettore può sentirsi guidato all’interno di un mondo tanto complesso come quello della sofferenza psicologica e della sua cura. Adatto a chi questo mondo lo vive con dedizione ogni giorno ma anche a chi di psicoterapia non conosce ancora nulla, l’autrice Angela Ganci ci accompagna in un viaggio non sempre semplice ma sicuramente affascinante, alla scoperta di quelle verità difficili che non appartengono solo alla protagonista ma rispecchiano il vissuto profondo di ciascuno di noi.

 

Il personaggio di Silvia nel romanzo 11 mesi

In un susseguirsi rapido di vicende, a volte surreali, impariamo ben presto a conoscere e ad affezionarci ai vari personaggi di questa storia, in primis Silvia, attorno alla quale si intreccia tutta una trama di profondo dolore ma anche di rivincita, rinascita e cura. A letto da settimane, vittima di dolori lancinanti che le impediscono il più piccolo movimento, Silvia rifiuta qualsiasi aiuto. Ma è proprio di fronte all’ennesimo tentativo, senza speranza, che è possibile per lei ritrovare una via di guarigione grazie all’incontro con l’Altro, o sarebbe meglio dire, con gli Altri.

Se tale incontro costituisce la conditio sine qua non per generare il cambiamento, fin dalle prime pagine del libro 11 mesi è chiaro anche che la relazione terapeuta/paziente non può costituire l’unica via di accesso all’elaborazione dei vissuti dolorosi del paziente. L’autrice ci apre verso un modello di terapia fatto dall’unione stretta e originale tra psicologia, medicina e religione. Ciò che vuole suggerirci è che la psicoterapia non è un mondo chiuso, a sé stante, ma è proprio nel dialogo con le altre discipline che ha modo di rifiorire e dare spazio a quello che è un reale processo di guarigione la cui forza risiede nella creatività in cui l’incontro terapeutico può avvenire.

È in questo modo che Silvia riesce a compiere il proprio viaggio. Sulla scena, un medico, una psicoterapeuta esperta e una suora dalle strabilianti abilità, definite da alcuni persino miracolose. Ciascuno di questi personaggi in maniera diversa, diretta e indiretta, influenzano il suo percorso agendo sempre in modo coordinato e sinergico verso l’obiettivo comune di permettere l’espressione e la rielaborazione di un dolore che per molto tempo non ha trovato altro veicolo che il corpo sofferente della nostra protagonista.

La ricchezza che ne deriva è racchiusa nella possibilità di prendersi cura da più fronti di quell’Io ferito che la paziente ci racconta parola dopo parola, ma anche, e soprattutto, nei suoi lunghi silenzi.

Le emozioni come fulcro del disturbo e della guarigione

Per quanto riguarda nello specifico il processo terapeutico, corpo ed emozioni diventano il fulcro del lavoro con questa paziente. Ritroviamo in ciò molto degli approcci di ultima generazione, in cui le emozioni vanno a ricoprire una posizione di grande potere, tanto nella genesi del disturbo quanto nell’attivazione di un processo trasformativo e di guarigione. Si tratta di emozioni bloccate e bloccanti, emozioni congelate, che sono sempre state lì determinando un tilt del sistema. Ma attenzione! La nostra autrice ci ricorda brillantemente attraverso le riflessioni sapienti della terapeuta, Anna, che questi Blocchi, senz’altro dannosi, hanno avuto un perché, una loro originaria utilità. Anche se a prima vista potrebbero sembrare del tutto nocivi, sono serviti, in un determinato periodo della vita, a reagire nel modo migliore a una situazione altrimenti impossibile da attraversare, troppo dura anche per i caratteri più forgiati.

Appare chiaro pertanto perché il cambiamento possa essere tanto difficile e doloroso.

Proprio per questo motivo, diviene fondamentale per il paziente fare esperienza di un clima di profondo rispetto e accettazione. All’interno di questa cornice è possibile per il paziente, e lo ritroviamo nel racconto di Silvia, comprendere come i sintomi e il dolore che esprime costituiscono qualcosa che ha certamente un senso all’interno della propria storia di vita. È una scoperta necessaria, che consente di trovare un nuovo collegamento tra parti di sé rimaste per lungo tempo frammentate e non integrate.

Come in ogni viaggio che si rispetti, la riconquista di sé ha inizio dalla propria stessa persona, dal proprio corpo: via d’accesso privilegiata, sempre a disposizione e in continua comunicazione con noi, nonostante i tentativi ostinati di ignorare i suoi messaggi. Da questo importante punto di partenza la prospettiva si allarga e, nel percorso terapeutico descritto dall’autrice, ritroviamo temi importanti come il controllo, la rigidità, elementi fondanti di molti quadri psicopatologici.

Come lettori non possiamo che sentirci partecipi di questo viaggio, vicini tanto a Silvia quanto anche agli altri personaggi del racconto. Eredità personale, a conclusione di una lettura che si fa sempre più incalzante via via che ci accorgiamo di essere prossimi all’epilogo della vicenda di 11 mesi, è dunque, per citare le parole di Albert Camus, la scoperta che proprio nelle profondità dell’inverno possiamo imparare alla fine che dentro di noi c’è un’estate invincibile.

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Laura Stefanoni
Laura Stefanoni

Psicologa e Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Ganci, A. (2016). 11 mesi. Herbita editrice.
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