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Il Male Oscuro (1964) di G. Berto – Recensione del libro

'Il male oscuro' è un romanzo molto vivo, sofferto. L’autore vive costantemente tra l'identificarsi e il distanziarsi, su un filo di realtà e follia.

Di Sabrina Costantini

Pubblicato il 14 Nov. 2017

Aggiornato il 03 Set. 2019 15:22

Un romanzo assai complesso, Il male oscuro, affatto scorrevole, eppure così intenso e significativo, una pietra miliare fra i romanzi psicologici.

 

L’autore de Il male oscuro, Giuseppe Berto, soprannominato Bepi da amici e familiari, scrive la propria storia in prima persona, così come la pensa, nel mancato rispetto della punteggiatura. Mentre scrive non scrive ma pensa, narra nella sua mente, proprio come continua a procedere chi è incastrato dal meccanismo ossessivo del pensiero che continua a pensare, involvendosi in sé, in un percorso sempre più buio.

Chi ha un po’ di dimestichezza col pensiero ossessivo e con le ansie fobiche le riconosce e ne è estenuato, il romanzo procede lento proprio per questo, eppure proprio questo ci permette di dare peso e valore ad ogni singola parola, ad ogni pensiero, che pur sembra pesante e ripetitivo.

E’ un romanzo che non può essere letto frettolosamente, sorvolato, preso alla leggera.

Il male oscuro: la trama

Il protagonista de Il male oscuro narra del padre che, ricoverato in ospedale, subisce un intervento per un tumore intestinale, lui accorre in quanto primogenito maschio e si fa carico di ogni spesa. Fa avanti e indietro fra ospedale e albergo.

In ospedale trova una madre silenziosa, quasi fantasmatica, due sorelle livorose da sempre, che lo richiamano alle sue continue responsabilità, un padre silenzioso, che persevera a guardarlo con noncuranza, quasi disprezzo, come sempre del resto. In albergo una vedova francese, la sua attuale compagna, che non può portare in ospedale in quanto segno della sua “immoralità e indecenza”, gli chiede continuamente presenza, spirito, sesso, lo rimprovera.

E’ tiranneggiato da due parti.

Bepi non ha una sua collocazione, non è a casa da alcuna parte. Non può essere ciò che è, come da sempre non possiede la libertà di esprimersi. Preso in questa morsa è sovrastato dall’odore putrido delle escrescenze paterne, dal fetore del suo alito e non tollerando oltre, prende a prestito le parole del chirurgo e, nell’illusione che tutto andrà bene, torna a Roma con la francese.

La notte stessa il padre muore e lui riparte immediatamente per Verona, il padre non ha detto nulla, non ha chiesto di lui.

Il male oscuro: il senso di colpa e gli attacchi di panico

Si apre così il baratro, si spalancano le porte di un male oscuro le cui fondamenta sono state gettate fin dalla nascita e ancora prima. Esplode il senso di colpa per averlo lasciato solo, in punto di morte. All’inizio in sordina e mascherato, poi in modo più palese. L’estrinsecazione del senso di colpa inizia con Manuela, più giovane di 18 anni, la sua futura moglie. Con lei inizia una seconda giovinezza, cerca di fare sport, mantengono una vita sessuale sfrenata, vacanze, ecc.

Da lì il nostro autore vive le sue molteplici patologie, coliche renali, intestinali, vertigini e via dicendo, iniziando un tour medico che trova soluzioni solo momentanee, le prova tutte: dalla chirurgia all’agopuntura, dai vocabolari sotto i piedi, agli psicofarmaci ….

Spende e si dispera, senza trovar pace, anzi si esaltano paure e fobie di ogni tipo: attacchi di panico, paura dei luoghi affollati, dei luoghi chiusi, del giudizio, di star solo, di sentirsi male, di morire, paura di impazzire …..

Così va avanti per anni, a tratti meglio a tratti peggio, lavora nelle pause di ristoro psichico e inizia a scrivere i primi tre capitoli di quello che progetta essere “il suo capolavoro che lo porterà alla gloria”. In verità il progetto che lo farà crollare definitivamente.

Non può permettersi di scriverlo, questo romanzo attiva il conflitto psichico della sua vita, ben espresso in una frase sorprendentemente lucida: “suo padre ha fatto di tutto perché fosse diverso da lui, ma alla fine non lo accettava se non uguale a sé stesso!”

E’ come se gli attribuisse tutta la responsabilità del successo o del fallimento, fornendogli però un programma difettoso che può sputare solo output fallimentari.

Ogni volta che Bepi esprimeva qualcosa di diverso dalle aspettative, il padre gli preannunciava “So io come finirai, finirai in galera”.

Il padre ex brigadiere dei Carabinieri, improvvisato negoziante di cappelli, di poco garbo, scarsa lungimiranza, con conseguente scarso successo, desiderava per il figlio un futuro splendente. Con quest’obiettivo lo invia in collegio, per garantirgli un’istruzione valida. Il minimo che potesse pretendere da lui: vederlo sul podio dei primi tre alla fine di ciascun anno scolastico. Doveva dimostrare che valeva i sacrifici che tutti facevano, togliendosi il pane di bocca per lui!

Un cappotto pesante da indossare, che si è svelato nel momento in cui il protagonista ha cominciato a realizzare ciò che realmente era suo padre proprio grazie all’istruzione fornita in collegio, grafomane sgrammaticato, ammalato di criticismo, commerciante di poche capacità, padre pessimo e poco accorto. Pur nella consapevolezza, vive dibattendosi con l’angoscia dell’identificazione incastrante, di un Super Io rigido e anacronistico.

Il protagonista de Il male oscuro si è diplomato, ha accolto in silenzio ogni svalutazione, compresa la bicicletta da donna, anziché quella da lui desiderata, come promesso. Si è arruolato ed è andato in guerra, ha inviato soldi a casa, è stato fatto prigioniero, meritando due medaglie al valore.

Ma tutto era scontato, il minimo ritorno di tutti i sacrifici sostenuti dall’intera famiglia.

Tornato dalla guerra si è laureato con poco interesse e scarsa fatica, ma di seguito inizia a scrivere e sembra che la sua vita assuma la piega della leggerezza e della libertà, fino alla morte del padre.

Così all’incontro con la “ragazzetta”, quella che diventerà sua moglie, si dà alla pazza gioia, ma dura poco, non può permetterselo. Non può essere felice, non può godere, non può essere.

I pensieri ossessivi e le fobie

Da lì in poi, si innesca un baratro di angosce, fobie, pensieri ossessivi, bizzarri e comportamenti evitanti. Vi sono scene quasi comiche eppure infinitamente drammatiche ne Il male oscuro, come nel momento in cui ritrovato solo in mezzo al traffico, preso da angoscia, si abbarbica alla gamba di un vigile urbano. In un’altra occasione si sdraia sul letto dei portinai al primo piano, chiedendo di fare a cambio col proprio appartamento al terzo piano.

I sintomi lo costringono e autorizzano a ritirarsi dalla vita e gli impongono una sorta di immobilismo, nella stasi della patologia infatti si allerta su eventuali ulteriori disastri e peggioramenti. Qualunque passo, qualunque movimento potrebbe causare una qualche catastrofe, la punizione del padre morto in ospedale da solo!

Si aggiungono le riflessioni intriganti e intrigate quando si sposa e nasce la figlia Augusta a cui dà il nome di propria madre, una figlia non programmata e desiderata, ma poi così teneramente amata da innescare in lui altri dubbi sul padre. Si è chiesto se quel padre così despota e svalutante non l’abbia amato come lui ama la figlia. Si chiede se sia sua responsabilità nel non aver colto tale amore. Si innescano ancora dubbi e sensi di colpa, ma anche contraddizioni intollerabili sull’amore genitoriale.

Alla fine giungerà a fare psicoanalisi da un noto analista, Nicola Perrotti, che ne Il male oscuro chiamerà sempre “il vecchietto”. Un uomo, che col tempo ha incarnato la figura di padre benevolo, figura per lui sconosciuta.

Guarirà quel tanto che gli basta per tornare a vivere e a continuare a scrivere, a lui basta! Come se non meritasse di più. Questo ciò accade nella vita.

Nel romanzo Il male oscuro, il protagonista torna a casa e affermando di essere guarito, la moglie gli rivela di avere un’altra relazione. Preso dalla confusione se ne va, vaga per un po’ con l’auto, decide di tornare alla casa paterna, ormai in affitto, ma non la riconosce più, non ha più niente della sua casa dei ricordi.

Allora va in cerca del Padre, si stabilisce in Calabria. Da solo, in cima ad una collina da cui vede la Sicilia tanto narrata, in solitudine, autonomo e volto solo ad identificarsi completamente col padre. Giunge il giorno in cui la figlia gli fa visita. E’ sporco e puzza, la figlia gli chiede perché. Si ricorda il suo ribrezzo verso il padre, è una triste ripetizione!

Nel momento in cui Augusta se ne va, brucia i suoi tre capitoli e le foto del padre morto, comprende che è arrivata la sua morte, ha ripetuto ciò che è successo a suo padre. E’ diventato ed è morto, esattamente come lui.

L’autore de Il male oscuro nella vita reale

Nella vita reale Berto è morto dello stesso tumore del padre, ma non secondo l’epilogo del racconto, quella casa in Calabria gli è servita solo per scrivere il romanzo Il male oscuro, questo viaggio verso l’identificazione/diversificazione genitoriale.

Un romanzo molto vivo, sofferto, un processo difficile eppure universale: identificarsi e distanziarsi.

L’autore de Il male oscuro vive costantemente su un filo di realtà/follia, concretezza/fantasia. Non a caso non chiama mai per nome né moglie né psicoanalista, né altre figure, perché sono figure del proprio inconscio, del proprio mondo interno, non sono differenziate, come non lo è ancora lui. L’unica è la figlia, che gli offre una finestra verso sé come figlio e forse avendo il nome materno rappresenta la figura originaria, da cui si è sentito amato e abbandonato, Berto infatti narra che il padre gli portava via la madre ma anche che “la madre correva dietro al padre”. Mostrandoci il vissuto del bambino, che si sente piccolo e raggirato di fronte ai due adulti che avrebbero dovuto metterlo al centro.

Il male oscuro rappresenta la vicenda umana di fondo che appartiene a tutti noi, il passaggio dall’infanzia all’età adulta, il passaggio da relazioni ego centrate a relazioni decentrate, più mature, dove l’altro non rappresenta unicamente un oggetto del proprio mondo interno, la proiezione di una propria necessità ma un individuo diverso da noi e dalle proprie immagini interne, con cui interagire nella concretezza. Un percorso che ci mette di fronte alla capacità di liberarci dai propri oggetti di identificazione originari e dai propri oggetti di proiezione conseguenti, con la concretezza e l’immaginario, con quel filo di follia che ci si interpone alla realtà.

Questo processo può rappresentare un male oscuro e sotterraneo, che può annichilirci o fungere da trampolino di lancio per il mondo!

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Berto G. (1964). Il male Oscuro. Rizzoli. Prima Edizione
  • Berto G. (2016). Il male Oscuro. Neri Pozza. Ultima Edizione
  • Cicala M. La moglie racconta il male oscuro di Berto. Dall’archivio di una scelta di articoli del Venerdi. la Repubblica.it
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