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LinkedIn come strumento di promozione: cosa viene valutato e cosa mostriamo

Quanto, cosa e come viene mostrato di sé in LinkedIn? L’utente è portato a mentire per mostrare un sé che risponda a spinte di desiderabilità sociale?

Di Chiara Cilardo

Pubblicato il 14 Nov. 2017

Aggiornato il 19 Feb. 2018 10:50

I social network occupano una fetta importante del nostro tempo speso online; di questo, una buona parte è dedicata ai social network professionali come LinkedIn. Grazie a questo strumento specifico per la ricerca di lavoro, da un lato, e di candidati, dall’altro, è possibile connettere facilmente domanda e offerta in ambito professionale.

 

In LinkedIn, il proprio profilo è simile a un classico curriculum vitae dove inserire le esperienze lavorative, formative e qualche dettaglio su di sé. Sebbene più strutturato rispetto ad altri social network, l’utente può liberamente scegliere cosa e come mostrare di sé in virtù dei suoi obiettivi professionali e della rete di contatti che vuol raggiungere. Il punto di forza principale di LinkedIn è l’azzeramento di barriere geografiche e fisiche in generale e ciò fa sì che diventi molto più facile connettersi con altri professionisti e ampliare così la cerchia dei propri contatti e di riflesso le proprie occasioni lavorative.

Come ci mostriamo su LinkedIn?

Visto il ventaglio di opportunità che si profilano all’orizzonte, viene da chiedersi quanto, cosa e come viene mostrato di sé in LinkedIn, dato che parrebbe ovvio che l’utente sia portato a mentire per mostrare un sé potenziato/ideale che risponda a spinte di desiderabilità sociale. Già nel 1959, con la sua teoria dell’interazione sociale (Goffman, 1959), Goffman ipotizzò come la situazione sociale in cui si svolge l’azione determina lo schema interpretativo con il quale si legge e ci si comporta nella data situazione. L’attore sociale bada all’impressione che suscita negli altri e questo lo motiva a comportarsi in maniera strategica, ovvero presentandosi in modo da offrire una presentazione di sé positiva a seconda della situazione in essere.

Guillory e Hancock (2012) smentiscono la visione del senso comune che vede la comunicazione mediata dalla tecnologia come ambiente in cui è più facile e frequente presentarsi in maniera mendace: dimostrano invece che in LinkedIn avviene esattamente il contrario. Infatti nella costruzione del curriculum virtuale il collegamento tra online e offline mette in gioco aspetti troppo importanti per condurre a mentire e la posta in gioco è alta: essere scoperti può danneggiare la propria reputazione e causare problemi, se non addirittura la perdita del lavoro.

Gli Autori ci ricordano come i curricula tradizionali rimangano privati e condivisi solo con le persone a cui vengono inviati, mentre i profili di LinkedIn sono pubblici e a disposizione di chiunque voglia prenderne visione (fatte salve specifiche impostazioni privacy che del resto limitano anche la possibilità di essere trovati dai recruiter). In particolare gli autori mostrano che nel profilo di LinkedIn tendiamo a mentire solo su informazioni come interessi e hobby ma non su altre verificabili e quindi più ‘sensibili’; viceversa nei curricula tradizionali è proprio su queste ultime che si mente, lasciando i reali interessi ed hobby. Questo perché il bisogno di presentarsi positivamente viene soddisfatto nel primo caso mentendo su aspetti secondari ‘a rischio zero’, nel secondo caso su altri importanti ma difficilmente verificabili.

LinkedIn: cosa cercano i recruiter?

Ma cosa influenza davvero un recruiter? Quali caratteristiche del profilo ci rendono più competitivi? Secondo Chiang e Suen (2015) in primis vengono valutate le caratteristiche personali e se sono in linea con le caratteristiche dell’azienda in termini di valori e obiettivi – compatibilità. Naturalmente, vengono valutate anche competenze e abilità, attributi che devono soddisfare i requisiti richiesti dal lavoro – competenze. In terzo luogo, i recruiter, tramite LinkedIn, possono attingere a informazioni ‘periferiche’ e non direttamente legate al lavoro e all’azienda: i candidati che presentano attributi che per i recruiter sono più desiderabili, che suscitano una percezione soggettiva positiva (a prescindere dagli aspetti di competenze e più oggettivi), o che stimolano un senso di vicinanza col recruiter stesso, avranno più chance di essere selezionati perché andranno ad aumentare la percezione che le loro affermazioni siano veritiere – credibilità percepita.

Come sottolineato da Van Dijck (2013) gli utenti hanno bisogni espressivi e comunicativi che manifestano attraverso queste piattaforme. I social network sono strumenti attraverso cui possiamo modellare l’identità, strumenti in cui auto-espressione, auto-comunicazione e auto-promozione vengono combinati. Attraverso LinkedIn possiamo promuovere le nostre aspirazioni professionali mostrando le parti del sé (e le informazioni) che riteniamo più adatte ai nostri scopi. Ma, avverte l’Autore, non va dimenticato che i social network incasellano le possibilità di esprimersi in format precostituiti. Inoltre, un profilo di LinkedIn può essere utilizzato non solo per modellare un ritratto – idealizzato o meno – della propria identità professionale, anche attraverso l’osservazione dei pari, ma anche e soprattutto da valutatori, anche anonimi, che utilizzano le informazioni condivise per valutare personalità e competenze e questo non deve farci dimenticare tematiche relative alla privacy e, in generale, ad una maggiore consapevolezza del mezzo e di ciò che attraverso di esso divulghiamo di noi.

 


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