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Quando il lutto diventa patologico: il lutto complicato secondo il DSM-5

Il disturbo da lutto persistente e complicato è caratterizzato da vissuti di tristezza, colpa, invidia, rabbia per un periodo di tempo superiore ai 12 mesi.

Di Laura Pizzacani

Pubblicato il 23 Nov. 2017

Aggiornato il 01 Lug. 2019 14:33

Il DSM-5 ha proposto la diagnosi di disturbo da lutto persistente e complicato per indicare proprio quelle condizioni in cui le manifestazioni acute del lutto, con vissuti a stampo negativo, di tristezza, colpa, invidia, rabbia, associati a persistenti ruminazioni relative alle cause, circostanze e conseguenze della perdita, permangono se sono trascorsi almeno 12 mesi dalla morte di qualcuno con cui l’individuo in lutto aveva una relazione stretta, considerando questo lasso di tempo come discriminante tra lutto normale e patologico.

Laura Pizzacani, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MILANO

 

Il processo di elaborazione e accettazione del lutto

La morte di una persona cara rappresenta un’esperienza che altera il benessere psico-fisico e sociale di chi affronta la perdita in modo più o meno significativo e transitorio, sulla base delle caratteristiche soggettive dell’individuo, della sua storia personale, del contesto sociale in cui vive e della rilevanza della perdita.
Solitamente, infatti, al lutto seguono fasi caratterizzate da specifici aspetti cognitivi ed emotivi, che vanno da una iniziale negazione dell’evento, con profonda angoscia, tristezza e ansia associate alla mancanza di motivazione, fino alla sua progressiva accettazione, che porta al recupero di un buon funzionamento alla luce della rielaborazione, sul piano affettivo e cognitivo, della relazione con il defunto e all’acquisizione della capacità di stare nel mondo anche senza di lui.

La variabilità individuale delle manifestazioni sintomatologiche sopracitate, nonché la loro transitorietà, ci porta quindi a considerare il lutto non come una condizione di stato, ma come un processo estremamente mutabile, caratterizzato da manifestazioni che, nella maggior parte dei casi, evolvono spontaneamente nel tempo riducendosi sempre più a fronte del buon esito del processo di elaborazione.

Talvolta, però, si riscontrano casi in cui il lutto non viene elaborato, dando origine ad una condizione patologica, invalidante e persistente in cui queste emozioni negative continuano ad essere esperite, compromettendo significativamente il funzionamento del soggetto. Nei casi più complessi, alla perdita possono conseguire reazioni emotive compatibili con quelle del disturbo da stress post traumatico, caratterizzate da pensieri e ricordi intrusivi, iperattivazione fisiologica, fino ad arrivare a sintomi dissociativi, oppure con quelle del disturbo depressivo maggiore, nel quale prevalgono invece sentimenti di disperazione, tristezza, paura ecc.

Proprio per la parziale sovrapposizione del quadro sintomatologico legato al lutto complicato con il disturbo depressivo maggiore o il disturbo da stress post traumatico, le sue manifestazioni venivano ricondotte, fino a qualche anno fa ed in accordo con i criteri proposti dal DSM-IV-TR, all’interno di questi quadri diagnostici. Solo con la pubblicazione della quinta edizione del Manuale Diagnostico e statistico dei Disturbi Mentali, il disturbo da lutto persistente complicato ha assunto una sua autonomia, pur restando tra quelle condizioni cliniche che necessitano di ulteriori studi per poter essere validate.

Già nel DSM-IV-TR il lutto era stato collocato tra le cosiddette “condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica”, proprio ad indicare come, nel normale processo di elaborazione conseguente a tale evento, potessero esserci difficoltà tali da rendere la condizione del sopravvissuto patologica. Tuttavia il manuale prevedeva la possibilità di virare verso una diagnosi di episodio depressivo maggiore qualora i sintomi e la compromissione funzionale perdurassero oltre i 2 mesi, facendo così rientrare le conseguenze della mancata elaborazione del lutto in un quadro più propriamente depressivo.

Il crescente dibattito scientifico in merito al tema, nonostante la contrapposizione tra coloro che attribuiscono particolare enfasi all’evitamento e a sintomi post-traumatici, e coloro i quali si concentrano maggiormente sulla componente ansioso-depressiva, ritenendo centrali il distacco emotivo e l’ansia da separazione, anche alla luce della consapevolezza della continuità esistente tra lutto normale e patologico, che si differenzierebbero solo per l’intensità dei disturbi manifestati e la persistenza della compromissione nel funzionamento, ha fatto sì che si giungesse ad una descrizione univoca dei criteri diagnostici specifici per il disturbo da lutto persistente e complicato.

La diagnosi di disturbo da lutto persistente e complicato secondo il DSM-5

Il DSM-5 ha quindi proposto la diagnosi di disturbo da lutto persistente e complicato per indicare proprio quelle condizioni in cui le manifestazioni acute del lutto, con vissuti a stampo negativo, di tristezza, colpa, invidia, rabbia, associati a persistenti ruminazioni relative alle cause, circostanze e conseguenze della perdita, permangono se sono trascorsi almeno 12 mesi dalla morte di qualcuno con cui l’individuo in lutto aveva una relazione stretta, considerando questo lasso di tempo come discriminante tra lutto normale e patologico. Questo disturbo, inoltre, si accompagna frequentemente a disturbi del sonno, iporessia, astenia e facile faticabilità, così come all’intensificazione di condotte disfunzionali quali uso di alcool o droghe.

I criteri diagnostici del disturbo da lutto persistente e complicato sono:
A. L’individuo ha vissuto la morte di qualcuno con cui aveva una relazione stretta.
B. Dal momento della morte, almeno uno dei seguenti sintomi è stato presente per un numero di giorni superiore a quello in cui non è stato presente e a un livello di gravità clinicamente significativo, ed è perdurato negli adulti almeno 12 mesi e nei bambini per almeno 6 mesi dopo il lutto:
1. Un persistente desiderio/nostalgia della persona deceduta. Nei bambini piccoli il desiderio può essere espresso nel gioco e nel comportamento anche tramite comportamenti che riflettono l’essere separato da, e anche riunito a, un caregiver o un’altra figura oggetto di attaccamento.
2. Tristezza e dolore emotivo intenso in seguito alla morte.
3. Preoccupazione per il deceduto.
4. Preoccupazione per le circostanze della morte. Nei bambini, questa preoccupazione per il deceduto può essere espressa attraverso i contenuti del gioco e il comportamento può estendersi fino alla preoccupazione per la possibile morte di altre persone vicine.
C. Dal momento della morte, almeno 6 dei seguenti sintomi sono stati presenti per un numero di giorni superiore a quello in cui non sono stati presenti e ad un livello di gravità clinicamente significativo, e sono perdurati negli adulti almeno 12 mesi e nei bambini almeno 6 mesi dopo il lutto:

Sofferenza relativa alla morte
1. Marcata difficoltà nell’accettare la morte. Nei bambini questa difficoltà dipende dalla capacità di comprendere il significato e la definitività della morte.
2. Provare incredulità o torpore emotivo riguardo alla perdita.
3. Difficoltà ad abbandonarsi a ricordi positivi che riguardano il deceduto.
4. Amarezza o rabbia in relazione alla perdita.
5. Valutazione negativa di sé in relazione al deceduto o alla morte (es. senso di autocolpevolezza).
6. Eccessivo evitamento di ricordi della perdita (per es. evitamento di persone, luoghi o situazioni associati al deceduto; nei bambini questo può includere l’evitamento di pensieri e sentimenti che riguardano il deceduto.

Disordine sociale e dell’identità
Desiderio di morire per essere vicini al deceduto.
Dal momento della morte, difficoltà nel provare fiducia verso gli altri.
Dal momento della morte, sensazione di essere soli o distaccati dagli altri.
Sensazione che la vita sia vuota o priva di senso senza il deceduto, o pensiero di non farcela senza il deceduto.
Confusione circa il proprio ruolo nella vita, o diminuito senso della propria identità (per es. una parte di se stessi è diminuita insieme al deceduto).
Dal momento della perdita, difficoltà o riluttanza nel perseguire i propri interessi o nel fare piani per il futuro (per es. amicizie, attività).

D. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti
E. La reazione di lutto è sproporzionata o non coerente con le norme culturali o religiose o appropriate per l’età.

Specificare se lutto traumatico, ovvero: lutto dovuto a omicidio o suicidio con persistenti pensieri gravosi riguardo alla natura traumatica della morte (spesso in risposta a ricordi della perdita), tra cui gli ultimi momenti del deceduto, il grado di sofferenza e delle ferite, o la natura dolorosa o intenzionale della morte.

Diagnosi differenziale del disturbo da lutto persistente e complicato

Il disturbo da lutto persistente e complicato presenta una sovrapposizione parziale, e anche spesso una comorbidità, con il disturbo depressivo maggiore e con il PTSD, tuttavia è possibile evidenziare le differenze esistenti tra questi quadri sintomatologici.

Nonostante la tristezza e i sentimenti di colpa rappresentino elementi pervasivi sia nel disturbo depressivo maggiore che nel lutto complicato, si evidenzia come nel primo caso questi siano generalizzati, mentre nel secondo vengano esperiti solo in relazione alla figura del defunto; la ruminazione sugli errori e sui fallimenti del passato, anch’essa presente in entrambi i casi, è centrata nel disturbo da lutto prolungato solo sulla persona deceduta anziché essere generalizzata.

Se confrontato al disturbo da stress post traumatico, invece, si può notare come nonostante entrambi rappresentino una risposta ad un evento inatteso e traumatico, nel PTSD la risposta sintomatologica è provocata da una minaccia all’integrità fisica propria o altrui, mentre nel lutto è provocata dalla perdita di una persona cara; le emozioni prevalenti esperite dal soggetto, inoltre, sono estremamente diverse, nel PTSD si tratta di paura e ansia, nel lutto di tristezza e nostalgia. Anche per quanto riguarda i pensieri intrusivi è ben identificabile una differenza, nel PTSD, infatti, questi determinano una attivazione incontrollata delle emozioni negative, mentre le intrusioni sperimentate a seguito della mancata elaborazione di un lutto sono prettamente relative ad immagini positive e confortanti della relazione con il defunto.

Si può osservare come una diagnosi differenziale si possa formulare anche rispetto al disturbo dell’adattamento, che secondo il DSM 5 rappresenta un insieme di sintomi emotivi e comportamentali in risposta ad uno o più fattori stressanti ed identificabili.

Epidemiologia e fattori di rischio

Secondo il DSM 5 la prevalenza del disturbo da lutto persistente e complicato si attesta approssimativamente tra il 2,4 e il 4,8% della popolazione.
Tra i fattori di rischio connessi alle variabili del soggetto, si ritiene siano più esposte persone di genere femminile, con pregressa diagnosi per disturbi psichici, soprattutto d’ansia/umore, e con abuso di alcol o droghe.

I fattori legati alla struttura di personalità, invece, che possono contribuire ad allungare i tempi e limitare l’elaborazione del lutto, sono la presenza di basse capacità di coping e la tendenza a reagire negativamente a situazioni che prevedono la necessità di tollerare gli imprevisti e il distress emozionale, quale quello conseguente alla perdita. Gli individui che hanno sperimentato una perdita significativa, infatti, non possono continuare a sostenere le loro vecchie assunzioni su sé, mondo e futuro, ma allo stesso tempo faticano ad accettare le nuove, che implicano una visione di questi aspetti negativa e priva di significato. È necessario, quindi, che gli assunti vengano modificati e resi nuovamente adattivi, ristabilendo una interpretazione degli eventi focalizzata su aspetti positivi grazie ad un drastico cambio di prospettiva.

Per quanto riguarda, invece, le condizioni esterne che possono rappresentare un fattore di rischio si evidenzia la mancanza di supporto sociale come elemento centrale.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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