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Lo sviluppo del comportamento prosociale dall’infanzia all’età adulta e le differenze di genere

Lo sviluppo del comportamento prosociale inizia nell'infanzia e continua fino all’età adulta. Esso sembrerebbe influenzato da diversi fattori

Di Valentina Pastore

Pubblicato il 08 Nov. 2017

Aggiornato il 28 Giu. 2019 12:21

Un individuo socialmente competente, è in grado di agire nell’ ambiente sociale in modo da generare negli altri reazioni positive nei suoi confronti e quindi essere accettato. Un tipo di comportamento che genera questo tipo di reazione è il comportamento prosociale.

Pastore Valentina – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Milano

 

La maggior parte degli psicologi (Batson, 1998; Eisenberg, Fabes & Spinrad, 2006) intende come comportamento prosociale, qualsiasi comportamento volontario diretto a beneficiare altre persone. Mentre nei vari ambiti della ricerca si utilizzano definizioni empiriche che di volta in volta circoscrivono il comportamento prosociale come quello messo in atto in particolari tipi di relazione con le altre persone e di tipo molto specifico, come ad esempio aiutare, donare e consolare (Caprara, 2006).

Di conseguenza risulta alquanto difficile giungere ad un’univoca definizione di prosocialità, tuttavia Mussen ed Eisenberg (1985) tentarono di dare una prima interpretazione ai comportamenti che potevano essere collocati all’interno di questa categoria in base alle caratteristiche distintive:

…si tratta di un comportamento diretto ad aiutare o beneficiare un’altra persona o un gruppo di persone, senza aspettarsi ricompense esterne (Mussen & Eisenberg, 1985, p. 53).

Successivamente, Roche (1995) propone una definizione di prosocialità più specifica. L’autore categorizza come prosociali quei comportamenti che, senza la ricerca di ricompense esterne, favoriscono altre persone, gruppi o fini sociali e aumentano la probabilità di generare una reciprocità positiva, di qualità, solidale nelle relazioni interpersonali o sociali conseguenti, salvaguardando l’identità, la creatività e le iniziative degli individui o gruppi implicati, sia che essi offrano o ricevano aiuto.

Più tardi l’autore ha enunciato i seguenti elementi costitutivi dell’azione prosociale:

  • Emittente: inteso come l’individuo che da inizio all’ azione prosociale tendente a realizzare o migliorare il benessere oppure a diminuire lo stato di sofferenza del proprio interlocutore.
  • Ricevente: colui che ottiene o trae beneficio dall’ azione prosociale manifestata dall’emittente.
  • Azione: l’atto implementato dall’emittente verso il ricevente e che presenta caratteristiche tali da realizzare o migliorare il benessere del ricevente, o almeno, ridurne lo stato di sofferenza.
  • Ambiente: inteso come l’insieme delle condizioni esterne, relativamente stabili, di natura fisica e psicologica, che influenzano la condotta degli individui interessati all’ azione prosociale.
  • Situazione: può essere riferita alle condizioni psicofisiche del ricevente o a particolari eventi esterni. Sia l’ambiente che la situazione, possono influenzare pesantemente l’esito dell’ azione prosociale.
  • Valori e norme sociali: intesi come gli elementi che definiscono i principi, rispettivamente soggettivi e intersoggettivi, che regolano la manifestazione di un’ azione prosociale. Nel caso in cui il soggetto non rispetti i valori, può andare incontro al conflitto interiore e al senso di colpa, quando invece sono le norme sociali a non essere rispettate, l’individuo può incorrere ad una sanzione.

In conclusione, le componenti essenziali dell’ azione prosociale sono l’emittente, vale a dire la persona che mette in atto il comportamento prosociale e il destinatario dell’azione. Quest’ultima determina un cospicuo vantaggio nel ricevente e un concomitante potenziamento di sentimenti quali il senso di integrazione e di appartenenza, che hanno, senza dubbio, implicazioni sull’ autostima dell’emittente.

L’emittente durante l’emissione del comportamento prosociale, esperisce sia l’autonomia personale di scelta del comportamento e l’assunzione di responsabilità, che l’efficacia nel vagliare i bisogni dell’altro.

L’ azione prosociale si reifica in specifici comportamenti che rappresentano dei target d’intervento a livello educativo, per citarne alcuni: aiuto fisico e verbale, conforto e sostegno verbale, conferma e valorizzazione positiva dell’altro, ascolto empatico, solidarietà, generosità e altruismo (Bortone, 2007).

Lo sviluppo del comportamento prosociale dall’infanzia all’età adulta

Lo sviluppo del comportamento prosociale inizia nei primi anni di vita e continua fino all’età adulta ed è influenzato da molti fattori che ne modellano la forma, la direzione e l’ampiezza (Vecchione & Picconi, 2006).

Alcuni autori (Burleson, 1994), sono concordi nell’assegnare un ruolo fondamentale alla matrice biologica e alla maturazione del sistema nervoso, nello sviluppo del comportamento prosociale. Nelle diverse fasi evolutive, la propensione alla prosocialità, è soggetta a una serie di mutamenti, che potrebbero essere causati da fattori ambientali, i quali intervengono nei processi di crescita e di maturazione tipici dello sviluppo, diversificando il percorso di vita di ogni singolo soggetto (Ibidem).

Lo studio dello sviluppo della prosocialità è stato affrontato in studi longitudinali, in quanto ritenuti migliori, rispetto agli studi trasversali. Negli studi trasversali i soggetti, di età diversa, sono nati in periodi differenti, appartengono a coorti diverse, esposte a differenti stimolazioni, quindi il loro comportamento potrebbe essere influenzato non solo dalla variabile età ma anche da una serie di variabili legate al contesto socio-culturale di appartenenza, cioè alla variabile tempo (Pedon, 1995).

All’interno degli studi longitudinali invece, è possibile mantenere separato l’effetto della variabile tempo da quella della variabile età. Nelle ricerche longitudinali, un particolare comportamento viene misurato più volte ad intervalli regolari su un singolo gruppo di coetanei, tale metodo di misurazione permette di conoscere e studiare con maggior chiarezza i cambiamenti che interessano uno specifico ambito dello sviluppo (Ibidem).

La maggior parte degli studi (Brownwll & Carriger, 1990; Hay, Castle, Davies, Demetriou & Stimson, 1999; Rheingold H. L., Hay & West, 1976; Zahn-Waxler, Radke-Yarrow, Wagner & Chapman, 1992) che si sono occupati dello sviluppo del comportamento prosociale si sono focalizzati sul primo periodo di vita del bambino che, insieme all’età prescolare, risulta quella più soggetta a modificazione a livello biologico, cognitivo ed affettivo.

I primi segnali di attenzione che il neonato emette nei confronti degli altri, sono presenti sin dai primi mesi di vita, in questa fase emerge una forma primitiva di prosocialità che si manifesta in modo generalizzato, sottoforma di rudimentali tentativi di consolazione dell’altro come ad esempio offerta di cibo. Questa tendenza spinge il bambino a comunicare con gli altri e ad interessarsi alle attività delle persone che si trovano nel suo ambiente (Hay, 1994).

A partire dal secondo anno di vita questa tendenza, che inizialmente veniva messa in atto in modo indifferenziato, diventa sempre più differenziata e consapevole (Vecchione & Picconi, 2006).

È proprio in questo periodo che inizia a svilupparsi l’avvicinamento alla prospettiva degli altri, e la capacità di ricezione dei loro bisogni, a seguito dell’assimilazione di nuove esperienze e situazioni, capacità che aumenta in funzione all’età del bambino, grazie all’acquisizione del concetto di “altro” (Zahn-Waxler et al., 1992).

Lo sviluppo di capacità cognitive, come ad esempio il decentramento dell’io e l’assunzione di ruolo, svolgono un ruolo molto importante nello sviluppo della condotta prosociale, in quanto stimolano la percezione e la consapevolezza degli altri, e quindi la valutazione di motivazioni e sentimenti diversi dai propri (De Beni, 1998).

Le motivazioni all’aiuto si associano ai processi di ragionamento morale caratteristici di questa fase dello sviluppo. Nei primi anni di vita il bambino non è consapevole degli standard e delle norme che regolano la vita sociale, e la moralità viene controllata soprattutto dall’esterno. La decisione di prestare aiuto scaturisce dall’obbedienza alle figure autoritarie (come ad esempio genitori ed insegnanti), deriva da richieste esplicite, viene regolata dal timore di ricevere una punizione o può scaturire da motivazioni edonistiche e strumentali al raggiungimento di fini personali (Vecchione & Picconi, 2006).

Si può quindi affermare che, nei primi anni di vita, il comportamento sociale ha una relazione di segno positivo con l’età (Staub, 1970).

Come affermano Bryan e London (1970):

E’ abbastanza chiaro come la generosità incrementi con l’età almeno nel corso dei primi anni di vita (pp. 206-207).

Risultati analoghi sono emersi per numerose forme e manifestazioni di aiuto e di prosocialità, ma non è possibile comunque generalizzare questo fenomeno a tutte le situazioni e a tutti i contesti di ricerca.

Risulta meno chiara la traiettoria di sviluppo della prosocialità nel periodo scolare, e i risultati delle ricerche effettuate sono in parte contradditori.

Secondo alcuni autori, in questo periodo ci sarebbe un aumento nella predisposizione all’ azione prosociale (Fabes, Carlo, Kupanoff & Laible, 1999; Fabes & Eisenberg, 1996).

Altri autori, invece sostengono che, una volta portati a compimento i processi più elementari di maturazione cognitiva sia più difficile rintracciare uno schema stabile e generalizzabile.

A conferma di tale ipotesi, vi sono gli studi di Green e Schneider (1974), questi autori sostengono che una volta che il bambino ha sviluppato la capacità cognitiva di riconoscere ed apprezzare i bisogni degli altri, ed ha appreso le prescrizioni dettate dalle norme sociali, la propensione all’aiuto viene dettata soprattutto dalle contingenze ambientali o dalle disposizioni individuali.

All’origine di tale variabilità ci potrebbe essere l’utilizzo di metodologie di tipo trasversale o di metodologie che si sono limitate alla rilevazione di due sole osservazioni nel tempo, che risultano insufficienti per capire in modo chiaro la traiettoria di sviluppo (Rogosa & Villet, 1985).

Anche le diverse fonti di valutazione utilizzate e i diversi tipi di informazioni raccolte potrebbero essere fonte di variabilità. Nel caso vengano usati questionari di autovalutazione, il soggetto stesso fornisce informazioni relative al proprio comportamento, nel caso invece vengano utilizzati questionari di eterovalutazione, i giudizi provengono da altre persone che sono a contatto con il bambino. Parecchi studi hanno sottolineato che spesso è presente un disaccordo tra differenti fonti e valutatori (Gagnon, Vitaro & Tremblay, 1992; Nantel-Vivier et al., 2003; Offord et al., 1996; Sines, 1988), e ciò può essere all’origine dei risultati controversi a cui hanno portato alcune ricerche che utilizzavano diversi tipi di fonti.

Oltre a questi fattori che causano variabilità è importante sottolineare il fatto che il comportamento prosociale in sé è un concetto ampio e multisfaccettato, all’interno del quale possono essere contemplati comportamenti diversi, che nonostante siano correlati gli uni con gli altri (Dlugokinski & Firestone, 1973; 1974; Rusthon, 1980), è opportuno specificare che i loro nessi possono modificarsi al variare dell’età dei bambini (Hay, 1994; Jackson & Tisak, 2001) ed essere ulteriormente influenzati da variabili cognitive o situazionali.

Soprattutto nel periodo di transizione dall’infanzia all’adolescenza, la relazione con l’età dipende dalla specifica forma di comportamento che viene indagata e dal modo in cui essa viene operazionalizzata, in quanto questo periodo è caratterizzato da una maggiore sofisticazione cognitiva e dall’arricchimento del repertorio comportamentale dell’individuo.

Non è quindi possibile tracciare un’unica traiettoria di sviluppo e ritenerla come universalmente valida e generalizzabile a tutti i soggetti appartenenti alla popolazione (Vecchione & Picconi, 2006).

Comportamento prosociale: differenze di genere

Rispetto alle differenze di genere, a primo acchito, adottando una concezione stereotipica dei ruoli di genere, viene spontaneo considerare le femmine come maggiormente sensibili, empatiche e prosociali rispetto ai maschi, che vengono considerati più individualisti, e orientati al successo personale (Broverman, Broverman, Clarkson, Rosenkrantz & Vogel, 1970; Spence, Helmreich & Stapp, 1974).

Nonostante ciò, i risultati di numerose ricerche empiriche, sono in parte contrastanti (Carlo, Roesch, Knight & Koller, 2001; Moore & Eisenberg, 1984; Radke-Yarrow et al., 1983; Whiting & Edwards, 1973).

Sono emerse differenze relative al genere, nella frequenza con cui gli atti prosociali vengono messi in atto, relativamente alle situazioni e ai contesti in cui i comportamenti vengono agiti (Eisenberg & Fabes, 1998), alla specifica tipologia di comportamento messo in atto e alle motivazioni che spingono il soggetto ad agire in modo prosociale.

Nella maggior parte degli studi, in cui è emersa una differenza relativa al genere, essa tende a manifestarsi nella direzione di una maggiore frequenza nella messa in atto di comportamenti prosociali da parte di soggetti di sesso femminile (Fabes & Eisenberg, 1996), infatti nelle relazioni tra pari, le ragazze tendono a condividere le proprie cose con gli altri e a cooperare, più di quanto non facciano i ragazzi, i quali mettono in atto un maggior numero di comportamenti coercitivi (Burford, Foley, Rollins, Rosario, 1996).

Per quanto riguarda la specifica tipologia di comportamento prosociale messo in atto, tra i soggetti di sesso maschile, sono maggiormente diffuse forme più edonistiche di comportamento morale, dettate dai rinforzi provenienti dall’ambiente, ed uno stile più aggressivo nella risoluzione dei problemi (Rhys & Bear, 1997; Eberly & Montemayor, 1998).

Relativamente al contesto, mentre le donne tendono a mettere in atto comportamenti altruistici soprattutto all’interno delle relazioni famigliari e in relazioni di lunga durata in cui un partner o un amico necessitano di aiuto o supporto, gli uomini tendono a prestare il loro aiuto agli altri quando la situazione richiede azioni rapide e decise o quando qualcuno necessità di un chiaro aiuto essendo in serio pericolo .

Mentre alcuni studi hanno messo in evidenza una differenza tra i due sessi, altre ricerche non hanno rilevato differenze particolarmente rilevanti, di conseguenza non si può concludere che le femmine siano maggiormente prosociali rispetto ai maschi.

La discordanza tra i risultati, potrebbe in parte essere attribuita agli impianti metodologici utilizzati, alle caratteristiche del campione e alla potenza degli strumenti utilizzati.

Inoltre, poiché le differenze di genere nella predisposizione al comportamento prosociale possono essere ascritte al processo di socializzazione che caratterizza i due sessi (Mussen & Eisenberg, 1977), è plausibile che tali differenze emergano con maggior chiarezza a partire dalla tarda infanzia, nel momento in cui inizia il processo di socializzazione (Belansky & Boggiano, 1994; Bussey & Bandura, 1999).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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