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Infertilità: dove sono finiti gli uomini?

Molte ricerche si occupano degli aspetti psicologici dell’ infertilità, soprattutto nelle donne; poche invece riguardano gli uomini. Perché accade questo?

Di Patrizia Vaccaro

Pubblicato il 17 Ott. 2017

Aggiornato il 01 Lug. 2019 14:42

Nel panorama scientifico ci sono molte ricerche che si occupano degli aspetti psicologici dell’ infertilità e dei percorsi in procreazione medicalmente assistita, ma pochi riguardano gli uomini. Gli studi e le ricerche sono tendenzialmente più orientate a capire l’esperienza delle donne piuttosto che quella degli uomini.

 

Perché accade questo? Culley e i suoi collaboratori in una review interessante del 2013 parlano di una sorta di marginalizzazione degli uomini nel panorama scientifico (Culley et al, 2013).  Sembra quasi che gli uomini, quando si parla di riproduzione siano il “secondo sesso”. Non solo si sa poco di quello che l’uomo pensa rispetto al fare un figlio, ma anche rispetto alla decisione e all’esperienza stessa, così come si sa poco di quanto l’uomo contribuisca alla decisione della donna e agli aspetti riproduttivi della sua salute.

Infertilità: solo un problema femminile?

L’ infertilità in generale è concettualizzata come un problema femminile, al di là del fatto che il coinvolgimento femminile è maggiore in ogni senso, ma anche quando la causa dell’ infertilità è data da un fattore maschile, si sa poco di quella che è la loro esperienza. Manca ad esempio una rappresentazione emotiva degli spermatozoi in uomini che hanno problemi di infertilità e sono scarsi gli studi che si occupano delle ripercussioni che una diagnosi di infertilità ha sull’uomo. ( Swierkowsi-Blanchard et al., 2016)

Una delle motivazioni per questo disinteresse nella vita degli uomini è l’attribuzione quasi esclusiva del “pacchetto procreazione” alla vita delle donne da parte del contesto sociale culturale. Questa è da sempre vista come una “faccenda” femminile . A ben guardare ogni argomento che ruota intorno a questo tema, dal parto alla nascita alla contraccezione è inestricabilmente legata alla femminilità, con la ovvia controindicazione di una quasi assoluta assunzione di responsabilità da parte della donna. In aggiunta, ciò  marginalizza l’uomo in termini di diritti e di responsabilità, dalla pianificazione alla preparazione alla genitorialità.

Gli studi relativi all’ infertilità si concentrano sulla donna perché è la donna che riceve le cure e sostiene una  gravidanza. Il focus è sul corpo della donna e questo rinforza l’esclusione della prospettiva maschile e la percezione del contributo maschile, se non relativamente alla performance della sua mascolinità messa in contrapposizione all’altalena emotiva della donna.

Il corpo degli uomini tuttavia comincia a essere maggiormente considerato dall’introduzione di terapie e tecniche che lo coinvolgono più direttamente, basti pensare alla donazione di sperma o al ricorso al seme di terzi nella fecondazione eterologa.

È stato scritto poco riguardo i loro desideri e quella che si potrebbe chiamare la loro coscienza riproduttiva e responsabilità procreativa. Dunque, è difficile capire la preparazione degli uomini alla paternità, incluso il desiderio di avere un figlio, la consapevolezza della loro fertilità o infertilità e lo sforzo nel concepire un bambino.

Alcuni studi sostengono che l’ infertilità stressa maggiormente le donne piuttosto che gli uomini e che ci sono strategie di coping differenti. Uno studio del 2013 però effettuato su larga scala a livello europeo, mette in luce come lo svantaggio psicologico di non avere figli sia più forte per gli uomini che per le donne ( Hujitus et al., 2013).

Uomini e infertilità: quali vissuti?

Quel che diventa sempre più evidente è che l’ infertilità comporta uno stress emotivo anche per gli uomini indipendentemente dalla gravita della condizione di infertilità o dell’essere parte di una coppia infertile.

Il dolore e la sofferenza dell’uomo passano non solo dal significato della loro virilità, ma anche dal senso di colpa, dato dal fatto che sia la partner a sottoporsi in primis al dolore e allo stress dei trattamenti dell’ infertilità. C’è una quota di stress indiretto dunque, determinato proprio dal fatto di vedere la fatica della propria partner nel sottoporsi ai trattamenti e non poter far nulla per evitarglielo se non standole accanto e fornirle supporto emotivo.

Ci sono poi una serie di studi che si orientano principalmente sul concetto di mascolinità legato alla capacità procreativa dell’uomo e alla qualità del suo seme. Altri studi mettono in luce come oggi l’esperienza di infertilità e i relativi esami/terapie costituiscano un vero e proprio trauma per alcuni uomini al punto da innescare delle difficoltà sessuali. Ad esempio, in uno studio del 2016 viene chiesto a un gruppo di uomini senza figli etereo sessuali quale significato ha per loro avere un numero alto o normale di seme. La risposta più frequente nel caso di uomini in coppia era “avere un bambino”, mentre nel caso di single esso si associava più a un vissuto di mascolinità e virilità oppure una maggiore abilità sessuale. Allo stesso modo alla domanda “cosa accadrebbe se avessi uno scarso o nullo  numero di spermatozoi”, gli uomini per lo più rispondono che sarebbe doloroso. Gli uomini in coppia parlano anche di sentimenti di colpa e di vergogna rispetto alla loro partner.

Tutto sommato mancano studi specifici centrarti maggiormente su cosa gli uomini pensano dell’ infertilita e cosa sentono. Qual è  la loro esperienza durante il trattamento, il loro supporto, quanto contano nella decisione di interrompere il trattamento, il vissuto del loro ruolo nelle decisioni che vengono prese in questo iter. Anche perché spesso la decisione ultima viene affidata alla donna, visto che è lei a essere sottoposta a trattamento. La conseguenza di ciò può essere un maggior senso di solitudine e di responsabilità rispetto a un progetto di coppia.

L’ infertilità è una questione dolorosa e difficile da qualsiasi parte la si guardi, ma nel bene e nel male è maggiormente la donna a essere al centro dell’osservazione e della cura. La verità è che c’è una coppia, ma ci sono anche due individui e spesso nel tentativo di proteggere l’altro dal proprio dolore, si creano silenzi e difficoltà comunicative che possono mettere a dura prova la coppia stessa. Comprendere meglio i vissuti dell’uomo può essere un primo passo per facilitare la comunicazione e la condivisione.

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