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La Disforia di Genere: l’intervento psicologico con il paziente e con i familiari

L'intervento psicologico accompagna il paziente con Disforia di genere nell’esplorazione della propria identità, garantendogli uno stile di vita stabile

Di Federica Ferrari, Roberta Carugati

Pubblicato il 09 Ott. 2017

Aggiornato il 30 Giu. 2022 20:34

Definito in un primo momento transessualismo, ribattezzato poi Disturbo dell’Identità di Genere e solo recentemente diventato Disforia di genere, tale condizione si presenta particolarmente complessa e unica nel suo genere ed esprime la sofferenza che accompagna l’incongruenza tra il genere esperito e quello assegnato biologicamente.

Federica Ferrari, Roberta Carugati – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi

 

Nel DSM IV-TR (APA, 2000), il transessualismo era concettualizzato come “Disturbo d’Identità di Genere”, nel DSM-5 (APA, 2013), invece, rientra nella categoria diagnostica “Disforia di genere”. Tale termine si riferisce al disagio affettivo e cognitivo in relazione al genere assegnato e per questo motivo è considerato più descrittivo rispetto al precedente, inoltre si concentra sulla disforia come problema clinico e non sull’identità in sé.

La diagnosi di Disforia di genere interessa gli individui che mostrano una marcata incongruenza tra il genere che è stato loro assegnato alla nascita e il genere da loro esperito e deve esserci evidenza di una sofferenza legata a questa discrepanza. La Disforia di genere si manifesta in modo differente nelle diverse fasce di età; negli adulti, in particolare, può esserci un desiderio di liberarsi delle caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie, e/o un forte desiderio di acquisire le caratteristiche sessuali del genere opposto. Si sentono a disagio se devono comportarsi come membri del genere che è stato loro assegnato e possono adottare a vari livelli il comportamento, l’abbigliamento e i manierismi del genere esperito.

La Disforia di genere può riguardare sia i soggetti di sesso femminile (female to male, FtM) che quelli di sesso maschile (male to female, MtF) ma è più frequente nella forma MtF con una sex ratio di circa 3:1 (Bandini, 2009).

Il trattamento della Disforia di genere

La pianificazione del trattamento di problemi legati al genere dipende da numerosi fattori tra cui la fase di sviluppo dell’identità transessuale, la conoscenza che il paziente ha delle diverse opzioni di gestione del problema e la presenza di eventuale comorbilità o problemi psicosociali. E’ importante infatti che, prima di trattare le questioni relative all’identità transessuale, si affrontino eventuali condizioni più urgenti che possono in qualche modo ostacolare il corretto svolgimento del trattamento della Disforia di genere (Bockting, Knudson e Goldberg, 2006).

Secondo Bocking e Coleman (1993) il miglior modello di trattamento dei pazienti con Disforia di genere dovrebbe comprendere cinque compiti fondamentali: assessment; management della comorbilità; facilitazione della formazione dell’identità; management dell’identità sessuale; valutazione dopo la cura.

Le varie opzioni terapeutiche comprendono:

  • psicoterapia (individuale, di coppia, familiare o di gruppo) con lo scopo di esplorare le varie identità/ruoli/espressioni di genere, modificare l’impatto negativo della Disforia di genere e dello stigma sociale sulla salute mentale, alleviare la transfobia interiorizzata, migliorare il supporto sociale, migliorare l’immagine del corpo, promuovere la capacità di recupero;
  • terapia ormonale;
  • chirurgia per modificare le caratteristiche sessuali primarie o secondarie;
  • cambio di espressione di genere (Meyer e coll., 2011).

Ci focalizzeremo sulla psicoterapia in questa sede.

La letteratura disponibile (Green e Fleming, 1990; Michel et al., 2002; Pfafflin e Junge, 1998) indica che un’adeguata psicoterapia a pazienti con Disforia di genere prima dell’intervento della chirurgia è predittiva di un positivo esito post-chirurgico.

Alcuni transessuali richiedono assistenza psicoterapeutica volontariamente, ad altri può essere raccomandata in previsione di una terapia ormonale o della chirurgia, anche se bisogna ricordare che negli Standards of Care della World Professional Association for Transgender Health (WPATH) la psicoterapia non è considerata un requisito necessario per ottenere l’intervento chirurgico (Meyer e coll., 2011).

Bockting et al. (2007) offrono degli spunti per la valutazione e il trattamento dei problemi di genere e delle difficoltà psicologiche associate. Le loro osservazioni si basano su un modello di “approccio transgender-affermativo, cura centrata sul cliente e riduzione del danno”.

Secondo la letteratura disponibile, non vi sarebbe un modello psicoterapeutico migliore rispetto ad un altro per il lavoro con pazienti transessuali; comunque è possibile identificare le questioni verso cui si deve indirizzare la terapia.

I professionisti della salute mentale, in base al loro orientamento teorico, possono usare diversi approcci terapeutici (Fraser, 2005) con lo scopo non di curare la Disforia di genere, ma di accompagnare il paziente nell’esplorazione della propria identità (Fenelli e Volpi, 1997), per garantirgli uno stile di vita stabile a lungo termine con probabilità realistiche di successo nelle relazioni interpersonali, nel lavoro e nell’espressione dell’identità di genere (Dèttore, 2005). Fondamentale è che il terapeuta sappia stabilire una relazione autentica in cui la persona possa sentirsi compresa e non giudicata (Bockting, Knudson e Goldberg, 2006).

All’interno del percorso terapeutico con i pazienti con Disforia di genere viene data particolare rilevanza all’esplorazione della storia di genere e dello sviluppo dell’identità transessuale per dare l’opportunità al soggetto di ristrutturare cognitivamente eventi significativi, validare le sue emozioni e rafforzare il senso di Sé. In alcuni casi il transessuale può chiedere di coinvolgere la famiglia nella terapia per esplorare e risolvere conflitti sorti in infanzia (Bockting, Coleman, Huang et al., 2006).

Un’altra area su cui è bene focalizzarsi in terapia è la transfobia interiorizzata, cioè quell’insieme di sentimenti e atteggiamenti negativi che una persona può provare nei confronti della propria transessualità. Le caratteristiche associate alla transfobia interiorizzata sono scarsa accettazione e stima di sé, sentimenti di inferiorità, vergogna, senso di colpa e l’identificazione con gli stereotipi denigratori. In questi casi l’obiettivo del terapeuta è rendere il paziente consapevole e promuovere l’accettazione di sé (Lingiardi e Nardelli, 2013).

Una volta che sono stati trattati questi aspetti e che il cliente ha deciso come gestire la sua disforia e la sua espressione di genere, la terapia si focalizza sul supporto dell’individuo nell’attuazione del suo progetto.

I risultati riportati da uno studio di Rachlin (2002) presentano cambiamenti positivi in seguito alla psicoterapia nell’87% dei soggetti intervistati; inoltre il livello di soddisfazione dopo il processo di transizione è migliore nel caso in cui la persona presenti una buona vita professionale, buone relazioni familiari, supporti sociali e stabilità emotiva.

Sebbene l’attuale normativa italiana non preveda la consulenza psicologica quale passaggio obbligato nell’iter per l’ottenimento della rettificazione anagrafica del sesso, è ormai prassi consolidata, nella maggior parte dei casi, il ricorso a essa. Bisogna infatti considerare la sofferenza di chi si trova a vivere il proprio corpo come un estraneo, i vissuti di incertezza e le sensazioni di confusione che possono accompagnare tale condizione; a tutto ciò si aggiunge la presenza di vicende dolorose e traumatiche che spesso costellano la vita delle persone transessuali.

Non sempre però il lavoro psicologico nel campo del transessualismo si rivela praticabile. Le difficoltà sembrano potersi ascrivere al fatto che, raramente, il paziente transessuale porta allo psicologo spontaneamente una domanda di esplorazione di sé, ma si rivolge ad esso su richiesta di un terzo, ossia dell’istituzione incarnata nel giudice. In questa situazione si crea, tra soggetto e operatore, una difficoltà relazionale di fondo in cui il lavoro psicologico viene inteso solo come una sorta di test. L’obiettivo è quindi superare la costante impasse iniziale, spostando l’asse del dialogo da quello “corpo sociale/giudice-psicologo” a quello “utente-psicologo”. Da una parte la persona transessuale dovrebbe essere aiutata a percepire l’operatore come qualcuno con cui, stabilendo un dialogo, prendere contatto con parti di sé confuse e sofferenti, dall’altra lo psicologo dovrebbe andare al di là della logica del sospetto (Alzati, 2004) che rischia di inficiare il suo lavoro (Vitelli et al., 2006).

Modelli di intervento con i familiari

Gli studi che si propongono di analizzare i vari aspetti del transessualismo dalla prospettiva dei cosiddetti SOFFAs (Significant Others, Family, Friends or allies of transgender persons) sono ancora molto limitati e di conseguenza più che dei trattamenti, esistono delle linee guida a cui fare riferimento per aiutare la famiglia del paziente transessuale ad affrontare le varie fasi del percorso.

Raj (2008) ha proposto un modello di trattamento, il Trans-formative Therapeutic Model (TfTM), specifico per questa popolazione che comprende diverse strategie educative e terapeutiche. La parola “trans-formative” vuole dare maggiore enfasi al concetto di cambiamento inteso come modificazione della struttura interna ma anche della forma esteriore e in questo caso si riferisce alla trasformazione della coppia e della famiglia.

Il modello si focalizza sul trattamento e sull’aspetto supportivo più che sul processo vissuto da coppie e famiglie in trasformazione, nonostante questi siano legati insieme inestricabilmente.

Raj (2008) per sviluppare la sua ipotesi di trattamento ha utilizzato altri due modelli di riferimento, il Family Emergent Stages Model (Lev, 2004) e il modello di Tuckman (1965), che invece si concentravano maggiormente sulle fasi affrontate dalle famiglie dei pazienti con Disforia di genere durante tutto il periodo della transizione.

Un ulteriore approccio è quello proposto da Zamboni (2006), psicologo clinico del Minnesota, che ha ideato un seminario per aiutare chi sta accanto al paziente transessuale.

Principi del Trans-formative Therapeutic Model

Il TfTM (Trans-formative Therapeutic Model) è un approccio di supporto che non solo può dare beneficio alle persone transessuali ma serve anche a ridurre i sentimenti di ansia, confusione, incertezza e isolamento provati dai partner e dall’intera famiglia.

I capisaldi del modello sono:

  1. Identificazione degli obiettivi del trattamento;
  2. Ascolto (ascoltare attivamente le storie dei partner/membri della famiglia, conoscere sia il passato che il presente);
  3. Validazione (validare gli affetti positivi e negativi sia dei soggetti transessuali che dei loro cari);
  4. Confronto (discutere gli stereotipi sulla diversità di genere e lo status quo usando interventi psico-educativi come la strategia del continuum);
  5. Ridimensionamento (abbandonare il paradigma esistente per cambiare la cornice di riferimento verso un pensiero flessibile e innovativo);
  6. Trasformazione (attraverso continui tentativi di adattamento e negoziazione la coppia/famiglia evolve e si trasforma o trovando soluzioni e rimanendo intatta oppure disgregandosi);
  7. Strategia (gestione concreta sul piano sociale dei piani di aiuto, dell’identità, dei cambiamenti della famiglia);
  8. Riferimenti clinici (fornire appropriate indicazioni cliniche come l’assessment psichiatrico o altri interventi clinici utili);
  9. Riferimenti nella comunità (supporto legale, aiuto dalla comunità di pari);
  10. Supporto continuo (pratico ed emotivo);
  11. Valutazione dei risultati (monitorare e valutare costantemente i risultati del trattamento sulla coppia o sulla famiglia).

Il cuore del TfTM di Raj (2008) è rappresentato dalla “strategia del continuum”, un intervento educativo e terapeutico che serve a validare la naturale diversità comportamentale e culturale dell’uomo. Questa strategia è stata declinata in diversi modi da Raj (2002; 2003), uno di questi è  “ Il Continuum dal Diniego all’Accettazione alla Celebrazione” (Raj, 2003).

Nella pratica comprende una serie di interventi che idealmente dovrebbero aiutare i partner e la famiglia degli individui in trasformazione a passare dal rifiuto all’accettazione e fiduciosamente alla celebrazione. Infatti, grazie ad una comprensione sempre più avanzata dell’altro si possono modificare credenze illogiche e acquisire nuovi importanti valori come la tolleranza e l’apprezzamento della diversità.

Il Family Emergent Stages Model

Il Family Emergent Stages Model (Lev, 2004) prevede che all’inizio vi sia il difficile momento della rivelazione con tutte le reazioni e le emozioni che ne conseguono, seguito dalla confusione e dal tormento per una vita sconvolta. Successivamente si apre la fase di negoziazione, in cui si cerca di trovare il modo migliore per convivere con la nuova identità di genere del partner; infine si arriva ad un equilibrio, che non significa aver trovato una soluzione permanente ai problemi emersi o aver superato le difficoltà emotive, ma aver trovato un compromesso per gestire la situazione giorno dopo giorno.

Il modello di Tuckman

Il modello di Tuckman (1965) propone un interessante parallelismo tra le relazioni in trasformazione, le dinamiche familiari e le classiche fasi di sviluppo del gruppo:

  1. Formazione. Questa fase può essere paragonata nello sviluppo umano all’infanzia nonché al momento della rivelazione per i transessuali. Coesistono eccitazione e ansia per l’ignoto e i membri esplorano quali comportamenti sono accettabili per il gruppo e come inserirsi. Ci sono problematiche di inclusione, ostracismo, accettazione e rifiuto.
  2. Conflitto. Questa è la fase del conflitto, del controllo e della resistenza e nella psicologia dello sviluppo è rappresentata dall’adolescenza. A causa dell’insofferenza verso l’autorità e verso le norme, nascono controversie, critiche al potere e ostilità. Nel percorso delle famiglie di pazienti transessuali è la fase dei tormenti e delle preoccupazioni.
  3. Normalizzazione. Fase di trasformazione simile alla prima età adulta e alla negoziazione per le famiglie di pazienti transessuali. Un evento catalitico permette di passare dalla somma di individualità alla collettività, i membri iniziano ad accettare le differenze e nasce l’idea di lavorare come un team. Si consolidano regole implicite ed esplicite che il gruppo approva e che aiutano a muoversi come un sistema coeso.
  4. Azione. Fase analoga all’età adulta e a quella del raggiungimento dell’equilibrio per le famiglie in trasformazione. Il gruppo ha sviluppato la capacità di risolvere i problemi, tollerare le diversità, prendere decisioni e collaborare. Gli aspetti centrali di questa fase sono l’impegno profondo, il rispetto e le cure reciproche.

E’ stata poi aggiunta una fase al modello (Allen et al., 1995), paragonata alla tarda età adulta: il congedo. I gruppi spesso prima di dissolversi esperiscono ansia da separazione e afflizione simile a quella provata per altre perdite durante la vita. Caratteristici di questa fase sono il senso di perdita e lutto, la difficoltà a separarsi e la paura per il futuro. Questo momento di disgregazione può essere attraversato oppure no, dipende dalle specifiche dinamiche di trasformazione della famiglia transessuale.

Il seminario di Zamboni

Il seminario sviluppato da Zamboni costituisce uno spazio sicuro per i SOFFAs, dove poter condividere pensieri, dubbi ed emozioni durante il percorso di adattamento alla transizione del loro caro. L’obiettivo è fornire informazioni e supporto e non è prevista la partecipazione delle persone transessuali, proprio per garantire ai SOFFAs uno spazio personale dove esprimere liberamente i propri sentimenti.

All’inizio del percorso i membri della famiglia vengono introdotti nel vocabolario della comunità transgender, vengono forniti dati relativi ad alcune ricerche sul transessualismo, nozioni sullo sviluppo dell’identità di genere e cenni sulle opzioni di trattamento. Partner e membri della famiglia possono così conoscere meglio le problematiche transessuali e smettere di incolpare se stessi o altri per la Disforia di genere del loro caro.

Il seminario prevede delle attività fatte in piccoli gruppi come guardare dvd che illustrano le sfide sociopolitiche e culturali che i transessuali affrontano quotidianamente e scrivere una lista di cosa è o non è cambiato nella persona transessuale. I SOFFAs vengono poi invitati a scrivere (o almeno ad iniziare a scrivere) una lettera in cui dicono addio alla vecchia identità del loro amato e danno il benvenuto a quella nuova.

Infine ai partecipanti vengono menzionati dei modelli di adattamento familiare su cui poi si instaurerà un dibattito dove i membri della famiglia potranno raccontare le proprie esperienze.

Durante il seminario si esplorano le modalità di comunicazione familiare, le abilità di problem-solving e viene dato ampio spazio a dubbi e domande (Zamboni, 2006).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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