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Le crisi epilettiche infrequenti possono danneggiare la memoria

Lo studio spiega il meccanismo mediante il quale le crisi epilettiche infrequenti nei pazienti con malattia di Alzheimer possono generare deficit cognitivi

Di Filomena Propato

Pubblicato il 26 Ott. 2017

Aggiornato il 03 Lug. 2019 12:06

Un team di ricercatori rivela un meccanismo in grado di spiegare come anche le crisi epilettiche relativamente infrequenti possano portare a deficit cognitivi a lungo termine, mediante ricerche su modelli animali.

 

Le crisi epilettiche infrequenti possono indurre deficit cognitivi

Anche se è evidente che le crisi epilettiche siano correlate alla perdita di memoria e ad altri deficit cognitivi nei pazienti con malattia di Alzheimer, come ciò accada è qualcosa di misterioso. In uno studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine, un team di ricercatori rivela un meccanismo in grado di spiegare come anche le crisi relativamente infrequenti possano portare a disordini cognitivi a lungo termine in modelli animali. Una miglior comprensione di questo nuovo meccanismo può far pensare all’attuazione di strategie future capaci di ridurre i deficit cognitivi nella malattia di Alzheimer e in altre condizioni associate a crisi epilettiche.

L’autore Jeannie Chin, assistente di neuroscienze presso il Baylor College of Medicine, dichiara che è stato complesso capire come le crisi non frequenti possano portare a cambiamenti persistenti nella memoria nei pazienti con malattia di Alzheimer. Per risolvere questo enigma, hanno utilizzato un modello animale, in particolare un topo affetto dalla malattia di Alzheimer, concentrandosi sui cambiamenti genetici che avrebbero potuto innescare le crisi,  e molto probabilmente causare la conseguente perdita di memoria o altri deficit cognitivi.

I ricercatori hanno misurato i livelli di un certo numero di proteine coinvolte nella memoria e nell’apprendimento e hanno scoperto che i livelli della proteina deltaFosB aumentano notevolmente nell’ippocampo dei topi con malattia di Alzheimer che hanno crisi epilettiche.

Cosa causa i deficit cognitivi e di memoria dopo una crisi epilettica

In questo studio, i ricercatori hanno scoperto che dopo una crisi, la proteina deltaFosB rimane nell’ippocampo per un periodo insolitamente lungo; la sua emivita, il tempo necessario per ridurre del 50% la sua quantità, è di otto giorni. La maggior parte delle proteine ha un’emivita che è di uno o due giorni.

Poichè la deltaFosB è un fattore di trascrizione, cioè il suo compito è quello di regolare l’espressione di altre proteine, è possibile dedurre che l’aumento dei livelli di deltaFosB potrebbero essere responsabili della soppressione della produzione di proteine necessarie per l’apprendimento e per la memoria. Infatti, nello studio è stato riscontrato che quando i livelli del deltaFosB aumentano, quelli di altre proteine, come la calbindina, diminuiscono nel giro dentato dell’ippocampo. Da diverso tempo è noto che la calbindina è coinvolta nella malattia di Alzheimer e nell’epilessia, ma il suo meccanismo di regolazione è ancora sconosciuto. I ricercatori hanno ipotizzato che il deltaFosB potrebbe essere responsabile della regolazione della produzione della calbindina.

Ulteriori indagini sono a sostegno di questa ipotesi. Gli scienziati hanno dimostrato che la deltaFosB può legarsi al gene calbindina (Calb1) che sopprime l’espressione della proteina. Infatti, aumentando i livelli di calbindina nel giro dentato dell’ippocampo mediante inibizione della deltaFosB, si è verificato un miglioramento della memoria spaziale nel modello animale con malattia di Alzheimer. Viceversa, aumentando sperimentalmente i livelli di deltaFosB nei topi sani, l’espressione di calbindina è stata soppressa e la memoria degli animali si è deteriorata, dimostrando che deltaFosB e calbindina sono regolatori chiave della memoria.

Questa scoperta aiuta a capire come le crisi epilettiche poco frequenti possano avere effetti dannosi sulla memoria. La DeltaFosB ha un’emivita relativamente lunga, quindi anche quando le crisi sono rare, la proteina rimane nell’ippocampo per settimane agendo come un inibitore, riducendo la produzione di calbindina e di altre proteine, disregolando la conseguente attività cerebrale coinvolta nella memoria.

I ricercatori hanno trovato gli stessi cambiamenti dei livelli deltaFosB e calbindina nell’ippocampo dei pazienti affetti da Alzheimer e nel lobo temporale dei pazienti epilettici. Tuttavia, viene sottolineato come sia ancora troppo presto sapere con certezza se la regolazione di deltaFosB o di calbindina possa migliorare o prevenire i problemi di memoria o altri deficit cognitivi nelle persone con malattia di Alzheimer.

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