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Adozione oggi. Percorsi di resilienza (2017) – Recensione

Si tratta di un libro che descrive come si è evoluto il percorso dell'adozione nel corso del tempo, le criticità e come promuovere la resilienza.

Di Angela Niro

Pubblicato il 10 Ott. 2017

Adozione oggi. Percorsi di resilienza scritto da Giuseppina Facchi, Maria Clotilde Gilson e Maria Villa è un interessante contributo teorico e clinico che tocca in profondità il tema ricco e complesso dell’adozione e il suo rapporto con la resilienza.

 

L’evoluzione dell’adozione nel corso del tempo

L’apertura del testo è affidata a un viaggio tra passato e presente, che partendo dal mondo classico di Solone e passando dalla riforma di Giustiniano, arriva fino ad oggi a illustrare una panoramica delle funzioni e delle modalità dell’adozione e il loro mutare e preservarsi nel tempo. In principio solo con una funzione patrimoniale e assistenziale, poi anche altruistica con l’avvento delle società cristiane, l’adozione si trasforma ancora nella seconda metà del XX secolo.

Inizia così lentamente a presentarsi la necessità di disciplinare l’adozione e di adoperarsi per il rispetto dei diritti dei bambini e dei loro genitori. A tale scopo tra la fine degli anni ’60 e ‘80 sono introdotte la legge n°431/67 per l’adozione speciale e la legge n°184/83 per l’affidamento familiare e l’adozione internazionale. Tuttavia è soltanto nel 1998, con la Convenzione de L’Aja, che si procede a verificare il rispetto delle norme per le pratiche adottive attraverso la Commissione per le Adozioni Internazionali.

I momenti del percorso dell’ adozione e le criticità

Seguitando nella lettura viene data al lettore la possibilità di seguire i principali momenti del percorso adottivo e i vissuti dei suoi protagonisti, ossia la coppia disponibile all’adozione, i bambini dichiarati adottabili, i genitori naturali e le istituzioni predisposte. Più precisamente, il primo momento riguarda la dichiarazione della coppia di disponibilità all’adozione e l’ottenimento dell’idoneità, a esso segue il conferimento dell’incarico a un ente autorizzato – in caso di adozione internazionale – l’attesa del bambino, l’incontro tra la coppia e il bambino da adottare e infine è prevista la legittimazione dell’adozione.

Tuttavia, come fanno notare le autrici, la linearità del percorso sopra indicato non contempla le criticità che pur possono presentarsi e rispetto alle quali sono state avanzate proposte di modifica della legge n°184/1983. Queste criticità, in taluni casi, hanno condotto a veri e propri fallimenti adottivi.

Si tratta di condizioni che, oltre all’interruzione del rapporto tra genitori adottivi e minori, possono terminare con l’allontanamento e il ricollocamento in un’altra famiglia o in una struttura di accoglienza. La loro analisi, resa possibile da un campo fecondo di ricerche in Italia e in Spagna, è stata utile per una comprensione più ampia possibile del fenomeno adottivo.

Al di là della ridotta numerosità di casi di fallimento adottivo riscontrati, questi studi hanno rilevato la necessità di canalizzare una maggiore attenzione nei confronti dell’effetto traumatico che comportano e il modo in cui interagiscono gli aspetti che riguardano i bambini, i genitori e il sistema adottivo.

Adattarsi alla nuova vita, che la situazione adottiva introduce, non è così semplice e un buon processo di adattamento familiare contribuisce a un migliore adattamento psicosociale del minore. Altrettanto utili a prevenire e ridurre le situazioni di fallimento sono: la riduzione dell’istituzionalizzazione in seguito all’allontanamento dalla famiglia di origine, il miglioramento dei protocolli per la valutazione dell’idoneità genitoriale, la promozione di interventi che sostengano le famiglie nel periodo di post- adozione.

Uno studio longitudinale sull’ adozione

Seguendo la direzione di queste ultime ricerche sul tema dell’ adozione, che intendono superare la prospettiva patogenetica dell’adozione, Giuseppina Facchi, Maria Clotilde Gilson e Maria Villa s’impegnano dal 2001 al 2015 in uno studio longitudinale di tipo descrittivo, condotto su un campione di cinquantacinque soggetti con adozione internazionale e disturbi psicopatologici di gravità da lieve a elevata e giovani adulti senza particolari difficoltà. Il loro fine è riconoscere le criticità che si ripetono nel tempo per poterle prevenire.

Alla luce di quanto affermato fino a qui, emerge chiaramente che ci troviamo di fronte ad una condizione di elevata complessità, che si sviluppa dall’interazione tra diversi fattori di rischio, protettivi, costituzionali e ambientali che richiedono un’elevata attenzione.

È proprio in questa direzione che si muove la necessità di non collocare in secondo piano l’esistenza di condizione traumatica sia nel minore adottato sia nel genitore adottivo. Nel primo il trauma è doppio, da abbandonato e quindi allontanato dal genitore naturale e dalla sua cultura, a collocato in una nuova famiglia e una nuova cultura. Nella coppia invece, il trauma può riguardare la limitazione della fertilità o la sua assenza.

Come promuovere la resilienza nel rapporto tra genitori e figli adottivi

Proseguendo verso il cuore del testo il lettore conosce il modello teorico di riferimento, nato dall’integrazione tra diversi modelli teorici e la definizione degli aspetti che promuovono lo sviluppo della resilienza nel rapporto tra genitori e figli adottivi.

Più precisamente, rispetto a questi ultimi si rileva l’importanza di guardare all’incontro adottivo come a un dono reciproco tra genitori e figli, un momento reale che può essere tanto eccezionale, ma da cui non è possibile escludere una delusione. Non solo, esso costituisce l’inizio della nuova vita del bambino, da integrare comunque con quella passata. Di quest’ultima va accettata l’importanza che i genitori biologici hanno rivestito per il bambino e che possono ancora ricoprire. Non è infrequente, infatti, riscontrare nei genitori adottivi la negazione del passato e spesso anche l’idealizzazione del proprio mondo, oltre ad una mancata mediazione tra l’immagine ideale del figlio e il figlio reale. Questi e altri fattori contribuiscono ad alimentare maggiori difficoltà nel porre dei limiti al bambino, utilizzare la sua rabbia in modo costruttivo, accettare la propria morte funzionale.
Le tre storie che seguono, quella di Anita, Carlos e Solado, costituiscono una testimonianza ancora più vivida delle criticità che possono svilupparsi in seguito all’ adozione e dei fattori che minano la possibilità di costruire resilienza.

Esse hanno in comune un passato non elaborato e la negazione della sua influenza sulla personalità.

La storia di Anita è quella di una bambina ripetutamente traumatizzata dalla perdita. La sua sicurezza interna si costruisce disfunzionalmente sulla dipendenza dalla risposta di accudimento totalizzante dei genitori adottivi, incapaci di porle dei limiti. La sua adolescenza è segnata dall’esordio di una modalità di funzionamento di tipo borderline che la porterà a ripetuti ricoveri presso il servizio di Neuropsichiatria, l’ingresso in Comunità, rientri a casa e ingressi presso il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. Le sue condizioni rimangono precarie fino all’età di trentacinque anni.

Carlos, con la sua adesione al nuovo mondo, l’apprendimento rapido della lingua e la necessità di pulire via il colore della sua pelle, dimostra di negare il suo passato e sviluppa a partire dall’età prescolare problemi di comportamento, che in adolescenza culmineranno anche in un’identità sessuale ambigua e ricoveri e rientri a casa presso strutture che si occuperanno della sua salute. Carlos, all’età di trentadue anni, ricorre ancora periodicamente al Pronto Soccorso.

Solado, rispetto agli altri due bambini, trascorre una parte della sua vita, prima presso famiglie del luogo, poi presso istituti della zona. Subisce oltre al trauma dell’abbandono, quello di esperienze sessuali incestuose. Dopo l’istituzionalizzazione e un fallimento adottivo a tredici anni giunge nella seconda famiglia. In seguito ad un periodo di apparente adattamento, cominciano con l’adolescenza a comparire disturbi del comportamento alimentare, ritiro, comportamenti autolesivi e successivamente un quadro presumibilmente psicotico. Dopo un percorso di ricoveri e rientri a casa, a trentaquattro anni vive in famiglia e accede a una struttura diurna.

Il modello focale integrato applicato alla genitorialità

Il testo, concepito in tre ampie parti, condensa nell’ultima la presentazione del modello focale integrato applicato alla genitorialità, le cui radici vanno rintracciate nella psicoterapia breve. Esso punta l’attenzione sull’insufficienza del solo fattore costituzionale o ambientale come causa di patologia e vede il conflitto come uno stimolo per il cambiamento, capace di mobilitare risorse positive e l’accettazione di fallimenti transitori e perdite come possibilità da cui apprendere.

I percorsi di crescita, rintracciabili nelle situazioni cliniche proposte dalle autrici, e che vedono i genitori coinvolti nel ruolo di co-terapeuti, costituiscono una finestra aperta sulle dinamiche che coinvolgono la coppia (la conflittualità, la mancata elaborazione dell’impossibilità di generare, l’accettazione della morte funzionale, l’importanza del limite) e il bambino e rappresentano un’opportunità per comprendere come proteggersi dal fallimento adottivo e dal suo rischio.

È proprio da essi che è possibile inferire i principali fattori di protezione, che non possono che partire dalla scelta di adottare come un bisogno condiviso e reale della coppia. Ciò che si va poi costruendo deve essere sostenuto dalla consapevolezza della responsabilità che l’adozione comporta e della sua specificità. Il bambino adottato sarà così inserito in famiglia con la partecipazione di entrambi i genitori, che dovranno essere pronti a verificare la presenza del fantasma del trauma e adoperarsi per affrontarlo, accettando il legame del bambino con il suo passato e promuovendone l’integrazione. In questo modo diventa possibile costruire una relazione naturale e spontanea all’interno di un ambiente sufficientemente forte e dotato di un sistema normativo chiaro e semplice.

Non è facile per un genitore, felice di aver realizzato un sogno, riconoscere che la sua avventura non sia esente da rischi e […] che l’adozione non è una magica storia e nemmeno un fallimento preannunciato, ma un’impresa complessa e come tale va affrontata” (Facchi, Gilson & Villa, 2017, p.18).
Promuovere lo sviluppo della resilienza nelle situazioni adottive, vuol dire, dunque, dotare l’individuo di un’attrezzatura che gli consenta di affrontare eventuali disagi e traumi collegati al passato, così come difficoltà attuali e future, in un ambiente medio – prevedibile, liberandolo dalla condizione di un deficit da compensare.

Per concludere, si rintraccia nel testo un invito a estendere il proprio vertice di osservazione, facilitando il costituirsi, quando si parla di adozione, di una prospettiva che oltre ad una ricchezza di dettagli e una conoscenza costantemente rinnovata, non manchi nel riconoscimento dei diritti e delle responsabilità di tutte le figure coinvolte nel processo adottivo, al fine di poter migliorare il futuro di tutti i bambini adottati e dei loro genitori. È un’offerta di aiuto, a ciascuno secondo il proprio ruolo, a contribuire nel proprio quotidiano allo sviluppo di atteggiamenti di crescita.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Facchi, G., Gilson, M., C. & Villa, M. (2017). Adozione oggi. Percorsi di resilienza. Milano: Mimesis Edizioni.
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