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Lo stadio operatorio concreto: imparare giocando

Lo stadio operatorio concreto caratterizza la fase dello sviluppo del bambino che va dai 6 ai 12 anni e il gioco riveste un ruolo importante in tale periodo

Di Francesca Di Tullio

Pubblicato il 01 Set. 2017

Aggiornato il 11 Set. 2017 12:24

Fino ad ora abbiamo esplorato due degli stadi della teoria Piagetiana. Siamo partiti dallo stadio senso motorio che copre l’arco di vita da 0 a 2 anni, passando poi per lo stadio pre-operatorio che va dai 2 ai 6 anni e giungiamo insieme al nostro bambino nella scuola primaria. Siamo nel pieno dello stadio operatorio concreto che va dai 6 ai 12 anni. Tante le novità e tante le abilità acquisite dal bambino in questa fase soprattutto attraverso il gioco. Una fase piena di creatività, di energia di voglia di fare e soprattutto di imparare.

 

La scuola è il momento dell’impegno costante nello studio e delle prime importanti responsabilità per i bambini. Le prime ansie iniziano a manifestarsi e pian piano iniziano le prime domande “ ma sono bravo tanto quanto?”, “ se la maestra mi mette un brutto voto ti arrabbi ?” . I bambini maturano e anche tra di loro inizia ad instaurarsi una relazione diversa.

Lo stadio operatorio concreto: cosa accade nello sviluppo cognitivo del bambino?

Vediamo nello specifico cosa accade nello stadio operatorio concreto e se… si può imparare giocando!
Piaget scrive : “Un’operazione è ciò che trasforma uno stato A in uno stato B, lasciando nel corso della trasformazione almeno una proprietà invariante, e con possibilità di ritornare da B ad A, annullando la trasformazione. Ora si riscontra – e questa volta la diagnosi è facile – che ai livelli preoperatorio la trasformazione è concepita come una modificazione simultanea di tutti i dati, senza nessuna conservazione, il che rende del tutto impossibile il ritorno al punto di partenza senza nuova azione che trasformi nuovamente il tutto (ricreando ciò che è stato distrutto, etc.)…” (Piaget, Inhekder, 1967, pp.137-138).

Nello stadio operatorio concreto, il bambino ammette ora l’esistenza della reversibilità, cioè concepisce l’azione di trasformazione come reversibile.
In questo momento le operazioni mentali si concretizzano e c’e un incontro tra i vari punti di vista. Fondamentale infatti è che le operazioni svolte dai bambini siano concrete cioè visibili a loro. Per esempio compiti di seriazione o classificazioni di oggetti secondo caratteristica vengono svolti con oggetti come gessetti, pennarelli, animali.

Oppure inoltrandoci nel contesto scolastico e nelle prime operazioni logico matematiche di addizione e sottrazione i bambini utilizzano oggetti concreti per poi passare a disegnarli essi stessi ma pur sempre avendo visivamente gli oggetti delle operazioni da compiere.
Nello stadio operatorio concreto, spiega Piaget concetti quali la reversibilità e la conservazione sono tra le acquisizioni logiche più importanti.

Per reversibilità si intende la capacità del bambino di svolgere mentalmente un’ azione inversa, cioè il bambino concepisce che in azione può tornare allo stadio iniziale, mentre per conservazione, intende la capacità del bambino di comprendere ad esempio che due contenitori con uguale capacità ma diversa forma contengano lo stessa quantità di liquido. Questo è uno degli esempi più celebri e più esplicativi di Piaget per descrivere il concetto di conservazione.

L’importanza del gioco nello stadio operatorio concreto

Gli esempi possono esseri diversi e i giochi da poter fare a casa anche. Giocare a classificare gli animali della foresta e quelli domestici, spostare liquidi da un contenitore ad un altro, a rischio di allagare la cucina di quest’ ultimo. Ci si può improvvisare pasticceri e giocare a dolcetti di più e di meno.
Si può giocare con puzzle, memory, giocare con le ombre, riporre oggetti dello stesso colore e della stessa forma.
Addizionare, sottrarre, saltare e contare. Importante è assecondare il momento del bambino e ciò che desidera senza forzarlo nell’imporgli concetti a lui non del tutto chiari.

Oltre a ciò nello stadio operatorio concreto iniziano anche i primi incontri tra bambini a casa, al parco. Come cambia il loro modo di giocare? A scuola si può imparare giocando?
I bambini di oltre 6 anni sono soliti giocare con giochi regolamentati. Questi giochi presuppongono una capacità di socializzazione, ovvero un certo grado di adattamento alla realtà e di tolleranza alle frustrazioni (in questi giochi infatti si deve accettare la sconfitta e non infierire sull’avversario in caso di vittoria). Le regole possono essere tradizionali (quelle tramandate) o frutto di accordi momentanei: l’importanza del loro rispetto è fondamentale per la riuscita di questi giochi.

I giochi di squadra, quali nascondino, ruba bandiera, etc., consentono ai ragazzi di rapportarsi gli uni con gli altri e di stringere amicizie. Nella società moderna, che tende ad organizzare i vari momenti della giornata ed a sacrificare ogni cosa nella competizione per ottenere il massimo dai ragazzi, occorre riconoscere il valore del gioco e assegnare allo stesso gli spazi che necessitano, accanto a quelli dedicati all’istruzione.

Altri tipi di attività ludiche che possono essere presenti sin dai 6 anni e che quindi caratterizzano lo stadio operatorio concreto sono gli hobby. Si tratta di attività intraprese per puro piacere ma che tendono alla realizzazione consapevole di uno scopo. Queste attività possono perseguire la realizzazione dello scopo anche tutta la vita, se le gratificazioni che forniscono crescono col passare del tempo (ad es. gli scacchi o la raccolta dei francobolli). Gli hobby si pongono quindi in una via di mezzo fra il gioco e il lavoro.

Verso i sette – otto anni il bambino acquisisce la facoltà di assumere i punti di vista altrui, di mettersi in qualche modo nei panni degli altri, di svolgere giochi con regole vincolati al rispetto delle stesse.

Quando si trova da solo senza compagni, ad esempio a casa non avendo sorelle o fratelli, mette in atto strategie di gioco diverse per sopperire alla solitudine, alla paura, alla noia. Una di queste strategie è il ricorso all’immaginazione per inventarsi un compagno di giochi, o un aiutante magico. Alcuni di loro investono questa figura di qualità che ad essi mancano, altri lo mettono al loro pari o come subordinati. Via via che il bambino acquisisce fiducia in se stesso, la capacità di star solo senza aver paura e con la crescita, il compagno immaginario tende a lasciare il posto ad amici reali.

Ci possono essere situazioni nelle quali la linea sottile tra “gioco buono” e “gioco cattivo” è molto labile. Per “gioco buono” si intende il gioco libero del bambino, durante il quale egli può esprimersi liberamente e al meglio, dando così modo all’educatore o all’adulto di essere osservatore partecipe e carpire eventuali richieste di aiuto o situazioni problematiche. Per “cattivo” invece s’intende quel gioco, dove si rischia una strumentalizzazione educativa volta a individuare contenuti validi, raccomandati, incentivati dagli adulti, che si tramutano in una sorta di addestramento al gioco centrato sul profitto e sulla prestazione. Queste tecniche sono al loro interno contraddittorie in quanto volte ad una liberazione del corpo nell’atto ludico ma costellate di regole per il raggiungimento di questo obbiettivo e per il suo mantenimento.

Nel momento in cui l’adulto, insegnante o genitore si accosta al bambino per giocare questi diventa incapace di giocare in modo creativo in quanto durante il gioco i bambini non tollerano intrusioni altrui. Spesso educatore e insegnanti si sentono obbligati a far giocare i bambini vivendo anche loro in maniera sbagliata questo compito.

Nel gioco il bambino diventa padrone unico e assoluto della realtà svolgendo un ruolo attivo che consente l’affermazione del proprio sé e delle proprie esigenze di controllo sul mondo.

L’insegnante o l’educatore che scelgono di utilizzare il gioco per il raggiungimento di obbiettivi didattici, educativi e/o terapeutici può avere due tipi di approcci diversi: il primo è quello del fornire regole, tecniche e mettersi a diventare egli stesso un giocatore tra gli altri. Presupposto fondamentale è che per far giocare egli debba saper giocare usando liberamente il proprio sé nell’ambito della relazione comunicativa con l’altro.

Il gioco riveste un ruolo importante nell’apprendimento, in quanto la scuola si configura come luogo di stimolazione dell’atteggiamento ludico e della drammatizzazione.

A scuola l’insegnante si trova di fronte a un interrogativo importante: come inserire il gioco nelle ore dell’attività didattica. Ci sono occasioni in cui egli vuole far giocare  gli alunni ed essi rifiutano ed altre in cui durante lo svolgimento di qualche attività essi trovano il modo ed il tempo di giocare. Il gioco si auto-crea e l’insegnante in classe  può vedere e far finta di nulla o vedere e punire essendo consapevole che comunque l’azione ludica si ripeta. Con esso si libera la propria affettività nei confronti degli altri, delle cose, è un momento di comunicazione. I bambini giocano tra di loro per sperimentare, stabilire relazioni, per provare piacere con gli altri.

A scuola si adopera una distinzione tra  “jocus” e “ludus”: il primo ad indicare un passatempo, il secondo un piacere sfrenato con regole ridotte al minimo. Gli joci sono regolati da regole, tempi, obbiettivi da raggiungere mentre i ludi sono più liberi e meno vincolati.

I modelli pedagogici del gioco

Ci sono vari modelli pedagogici di gioco cui i pedagogisti si rifanno consapevoli che « non potrà mai essere elaborata una teoria generale pedagogica sul gioco».

I tre modelli sono denominati funzionale, occasionale e delegato. Il primo ha come obbiettivo l’imparare più e meglio. Il bambino è gioco con gli insegnanti, gli altri alunni. È ritenuto funzionale perché  si impara giocando. Il secondo modello ovvero quello occasionale, ritiene che il gioco sia importante ma nello stesso tempo “speciale” . è  separato dall’attività didattica ed è regolato in momenti e tempi stabiliti. L’ultimo modello infine sostiene che la scuola non sia il luogo ove giocare in quanto richiede questa attività spazi adeguati  e il bambino deve poter utilizzare la sua fantasia al meglio.

Una delle finalità pedagogiche della scuola resta quella di ridurre al minimo lo sforzo del bambino nell’apprendere. L’insegnante deve rendere affascinante e meravigliose le varie forme di conoscenza, invogliare il bambino alla curiosità: «creatività e apprendimento dovrebbero compenetrarsi».
In questo periodo così lungo e impegnativo i bambini crescono e con loro i pensieri e si accingono pian piano a diventare degli adolescenti in piena tempesta!

Questo lo vedremo più avanti, nello specifico nell’ultima fase dello sviluppo secondo Piaget, ossia lo stadio operatorio formale dai 12 anni in poi.
Per ora giochiamo e divertiamoci con loro. Non esiste miglior apprendimento per i bambini e per gli adulti.

I bambini nel loro chiedere, hanno il potere molto raro di rendere felici due persone in modo opposto : chi si compiace di esaudire il loro ingenuo desiderio ed essi stessi che l’hanno quindi esaudito.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bellisario L., Gioco e simbologia degli affetti, Aspetti relazionali della comunicazione ludica, Guerini e associati, Milano
  • Bertamini D., Iacchia E.,Rinaldi S., Rezzonico G., Gioco, socialità e attaccamento nel, esperienza infantile; Milano, Franco Angeli Editore
  • Genovesi G., 1976, Il gioco, significato dell’atteggiamento ludico nel processo educativo, Firenze, Le Monnier
  • Canestrari R., Psicologia generale e dello sviluppo , Bologna , Cluebb, 2002
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