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Comportamenti di sicurezza tra i pazienti con disturbo di panico: una nuova lista per identificarli con maggior precisione

I comportamenti di sicurezza sono poco riconoscibili poiché usati da chiunque, è il processo cognitivo che li rende modi disfunzionali per evitare il panico

Di Chiara Francesconi

Pubblicato il 08 Set. 2017

comportamenti di sicurezza sono quei comportamenti agiti in una situazione ansiogena, senza cui l’ ansia aumenterebbe in maniera sostanziale. Pertanto, sebbene si resti nella situazione temuta, in realtà la si sta ancora evitando.

 

Ansia: tra evitamento ed esposizione

La relazione tra ansia ed evitamento fobico ha ricevuto considerevole attenzione negli ultimi quarant’anni. L’evitamento e la fuga possono presentarsi in risposta a pericoli e paura, e a loro volta, tali risposte possono mantenere le credenze fobiche. Per contro, la teoria dell’apprendimento ci insegna che l’esposizione a stimoli fobici comporta la riduzione dell’ ansia. Questo processo è meglio noto come “abituazione”. L’esposizione viene ritenuta un trattamento altamente efficace per i disturbi di panico e fobia sociale.

Tuttavia, in alcuni pazienti fobici, i miglioramenti ottenuti con la sola esposizione sembrano relativamente modesti. Ad esempio, sebbene i soggetti con fobia sociale si trovino ripetutamente esposti a situazioni sociali durante la vita quotidiana, essi non sembrano mostrare una forte riduzione dell’ ansia. Si ipotizza che il fattore di mantenimento dell’ ansia siano i comportamenti di sicurezza, agiti all’interno della situazione ansiogena (Clark et al.2006).

comportamenti di sicurezza sono quei comportamenti agiti in una situazione ansiogena, senza cui l’ ansia aumenterebbe in maniera sostanziale. Pertanto, sebbene si resti nella situazione temuta, in realtà la si sta ancora evitando. Questi comportamenti di sicurezza funzionano come un amuleto. I comportamenti di sicurezza utilizzati spesso dalle persone con attacchi di panico includono: evitare di andare in giro senza i farmaci in borsa (anche se non li prendono mai o raramente); assicurarsi di avere il cellulare con sé quando ci si allontana da casa; stare vicino all’uscita quando si prende un autobus o il treno (Nakano et al.2008).

Salkovskis e colleghi (1991) ritengono che i comportamenti di sicurezza agiti nelle situazioni ansiogene giochino un ruolo importante nel mantenere l’ ansia, nonostante l’esposizione, poiché essi impediscono alle persone di confrontarsi direttamente con la disconferma delle loro credenze catastrofiche ed irrazionali. Per esempio, un soggetto con fobia sociale che evita lo sguardo dell’altro per timore di essere notato e deriso, probabilmente pensa “sono riuscito ad evitare di essere notato e di essere considerato strano, perché ho evitato lo sguardo altrui”. Impegnarsi in comportamenti di sicurezza mette al riparo le persone dalle loro minacce percepite, compromettendo però la possibilità di scoprire quanto siano in realtà improbabili le catastrofi immaginate. Se i pazienti continuano ad usare comportamenti di sicurezza per “prevenire” il danno, il nesso logico con la minaccia percepita si rafforza e l’esposizione agli stimoli fobici finisce per distorcere ulteriormente la credenza.

Comportamenti di sicurezza e disturbo di panico

Poche ricerche si sono occupate di esaminare i comportamenti di sicurezza nel disturbo di panico. Nel caso del panico, l’attacco si manifesta come risultato dell’errata interpretazione delle sensazioni corporee che si accompagnano normalmente all’ ansia, che vengono identificate come pericolose.

Salkovskis e colleghi (1996) elencarono 10 tipici comportamenti di sicurezza e chiesero a più di 100 soggetti con disturbo di panico quanto spesso ricorressero a tali comportamenti quando si sentivano ansiosi. Successivamente, correlando l’uso dei comportamenti di sicurezza con le cognizioni catastrofiche, identificarono diverse ipotetiche associazioni teoriche. Ad esempio, una persona che teme di svenire è probabile che si aggrappi a qualcosa, mentre una persona che teme un attacco di cuore si asterrà dall’esercizio fisico.

I comportamenti di sicurezza possono essere molto subdoli e idiosincratici. Ad esempio, mentre alcuni soggetti che temono le palpitazioni evitano di bere alcolici, altri possono bere per ridurre la loro ansia in pubblico. Per i primi soggetti, evitare l’alcool è un comportamento di sicurezza, mentre per i secondi il consumo di alcool è un comportamento di sicurezza. La personale visione di ciò che è catastrofico determina quale azione sia un comportamento di sicurezza. In maniera simile, alcuni soggetti preferiscono fare shopping in posti affollati, sentendosi più sicuri quando vi sono attorno molte persone disponibili, mentre altre entrano nei negozi soltanto quando vi sono pochissime persone presenti, ad esempio la mattina presto o la sera tardi, poiché possono evitare di essere visti qualora avessero un attacco di panico.

Molti comportamenti di sicurezza non sono immediatamente riconoscibili (si parla di comportamenti “covert”), come l’avere nel portafoglio abbastanza soldi per assicurarsi che siano pronti qualora succeda qualcosa, assicurarsi di portare il telefono cellulare o che qualcun’ altro sia a casa mentre il soggetto è fuori.

Tutti questi comportamenti sono normali nel senso che possono verificarsi quotidianamente nella vita di chiunque, ma è il processo cognitivo del paziente che rende queste azioni dei comportamenti di sicurezza. Per identificare correttamente i comportamenti di sicurezza “covert” sembrano essere necessari ben più di 10 elementi elencati da Salkovskis e colleghi.

Una recente ricerca, svolta da Funayama e colleghi presso l’università di Kyoto, pubblicata nel 2013, ha individuato una lista di 25 comportamenti di sicurezza più frequentemente riportati dai soggetti con disturbo di panico, e li ha correlati con i sintomi ansiosi, le situazioni agorafobiche e le risposte al trattamento di tali soggetti.

A 46 pazienti, partecipanti ad un trattamento cognitivo comportamentale di gruppo per il disturbo di panico, fu consegnata la lista di comportamenti di sicurezza sviluppata dagli autori in base alle esperienze con pazienti con disturbo di panico. La lista conteneva 25 item, a cui i pazienti potevano aggiungere ulteriori comportamenti agiti e non presenti in elenco. La lista comprendeva: portarsi dietro i farmaci, distrazione dell’attenzione, portarsi dietro una bottiglia di plastica, bere acqua, focalizzare l’attenzione su qualcosa, portarsi dietro il cellulare, assicurarsi della posizione delle uscite, cercare di stare assieme a qualcuno, cercare una via di fuga, sedersi vicino alla porta sul treno o in autobus, rimanere fermi, portare soldi extra, aggrapparsi a qualcosa, accovacciarsi, aprire la finestra, muoversi lentamente, chiudere gli occhi, leggere un libro o una rivista, spingere il carrello mentre si fa shopping, muoversi, ascoltare musica dalle cuffie, chiedere aiuto, prendere le medicine prima di uscire, tenersi a qualcuno, controllare i movimenti di braccia e gambe.

Altri comportamenti aggiunti dai soggetti furono: canticchiare a bassa voce, portarsi dietro asciugamani e salviette per le mani, portare dietro carta d’identità e patente, esporsi al vento, incrociare le gambe, bere alcol, evitare alcol, fumare, prendere più vestiti, evitare di mangiare prima di uscire, studiare la via del ritorno e controllare il calendario, guidare da soli, camminare veloci, portarsi dietro un ventaglio, portarsi dietro un piccolo snack, cercare un lavandino, incrociare le braccia, dormire, fare una doccia, evitare gli angoli della stanza, dormire a pancia in giù, guardare la tv, controllare l’agenda del partner, giocare sul cellulare, portarsi dietro un paio di slip, camminare con lo sguardo basso.

Aver dietro i medicinali (n=29), distrarre l’attenzione (n=27), portare una bottiglia di plastica (n=24) e bere acqua (n=23) furono riportati da più della metà dei pazienti. Le più forti correlazioni tra sintomi del panico e comportamenti di sicurezza furono rilevate tra l’evitare i sintomi di derealizzazione ascoltando musica con le cuffie, prevenire le parestesie spingendo il carrello durante lo shopping, evitare il senso di nausea accovacciandosi o restando fermi. L’associazione più forte tra situazioni agorafobiche e comportamenti di sicurezza fu rilevata tra la paura di prendere un autobus o un treno da soli e il bisogno di muoversi. Riuscire a rimanere fermi è indice di risposta positiva al programma di CBT, mentre il cercare di concentrarsi su altro predice una scarsa risposta al trattamento (Funayama et al. 2013).

La ricerca, sebbene limitata, ha posto le basi per lo sviluppo di linee guida nell’identificazione dei comportamenti di sicurezza tra soggetti con disturbo di panico, e potrebbe essere uno strumento d’aiuto ai clinici per fornire trattamenti CBT ancor più individualizzati ed efficaci.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Clark D.M., Ehlers A., Hackmann A. (2006) Cognitive therapy versus exposure and applied relaxation in social phobia: A randomized controlled trial. J. Consult. Clin. Psychol., 74: 568–578.
  • Nakano Y., Lee K., Noda Y. (2008) Cognitive-behavior therapy for Japanese patients with panic disorder: Acute phase and one-year follow-up results. Psychiatry Clin. Neurosci. 62: 313–321.
  • Salkovskis P.M., Clark D.M., Hackmann A. (1991) Treatment of panic attacks using cognitive therapy without exposure or breathing retraining. Behav. Res. Ther.; 29: 161–166.
  • Salkovskis P.M., Clark D.M., Gelder M.G. (1996) Cognition-behavior links in the persistence of panic. Behav. Res. Ther.; 34: 453–458.
  • Funayama T., Furukawa T.A, Nakano Y,, Noda Y., Ogawa S., Watanabe N., Chen J., Noguchi Y., (2013). In-situation safety behaviors among patients with panic disorder: Descriptive and correlational study Psychiatry and Clinical Neurosciences, 1-8.
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