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Trattamento integrato per i disturbi di personalità. Un approccio modulare – Recensione

Secondo Livesley, Dimaggio e Clarkin nel trattamento dei disturbi di personalità è opportuno combinare i principi e i metodi di tutte le terapie efficaci.

Di Sonia Sofia

Pubblicato il 21 Lug. 2017

Aggiornato il 16 Ott. 2017 11:38

W. John Livesley, Giancarlo Dimaggio e John F. Clarkin in “Trattamento integrato per i disturbi di personalità”, sostengono che i risultati ottenuti fino ad oggi forniscono un’idea solida per lo sviluppo di un approccio transteorico dei disturbi di personalità, che combini i principi e i metodi di tutte le terapie efficaci, per stabilire un modello di trattamento sufficientemente flessibile, da adattarsi alle diverse forme che il disturbo di personalità assume.

 

L’importanza di adottare un trattamento integrato per i disturbi di personalità

Fare il quadro dell’evoluzione delle metodologie di trattamento dei disturbi di personalità significa, in qualche misura, assumere coscienza di un cammino lungo e spesso difficile, di una concezione iniziale alquanto nichilista delle problematiche trattate e delle diverse direzioni che nel corso dell’ultimo secolo gli studi hanno seguito, tracciando rotte spesso lontane e inconciliabili, fino a giungere all’attuale idea di trattamento “integrato” certamente più adatto a un’idea rispettosa della ricchezza e della complessità dell’essere umano.

W. John Livesley, Giancarlo Dimaggio e John F. Clarkin in “Trattamento integrato per i disturbi di personalità”, sostengono che i risultati ottenuti fino ad oggi forniscono un’idea solida per lo sviluppo di un approccio transteorico dei disturbi di personalità, che combini i principi e i metodi di tutte le terapie efficaci, per stabilire un modello di trattamento sufficientemente flessibile, da adattarsi alle diverse forme che il disturbo di personalità assume.

Dagli anni Novanta in poi, una serie numerosa di terapie si è resa disponibile ed è risultata efficace in almeno una valutazione solida dal punto di vista metodologico.

Tuttavia, nessuna si è dimostrata più efficace rispetto alle altre, la maggior parte di esse è stata condotta su piccoli campioni, in genere coinvolgendo pazienti affetti da disturbo borderline di personalità e presentando informazioni ridotte sul follow-up. Ma soprattutto, ciascuna di esse sembra enfatizzare solo una parte degli aspetti psichici compromessi, avendo come focus d’intervento un disturbo categoriale concettualizzato in maniera globale.

Il trattamento integrato sarebbe pertanto una risposta importante a questo impasse, a questo atteggiamento miope, e partirebbe da un assunto teorico fondamentale: individuare le aree di compromissione (sintomi, problemi nella regolazione delle emozioni, problemi di schemi interpersonali e di identità) e la gravità complessiva della disfunzione del paziente ed intervenire tramite un eclettismo di soluzioni estrapolate da tutti i trattamenti efficaci, utilizzandole in maniera mirata per trattare i specifici malfunzionamenti.

Le riflessioni avanzate dagli autori in “Trattamento integrato per i disturbi di personalità” si spingono verso tale direzione, e sposano la necessità di un momento di studio assai vivace in merito alla disciplina in questione.

La concettualizzazione secondo un approccio integrato

Il volume pertanto inizia con la descrizione della struttura concettuale del trattamento. La concettualizzazione si articola in tre parti.
Viene tracciata una distinzione tra le disfunzioni comuni a tutte le forme di disturbo di personalità e le caratteristiche che delineano disturbi differenti. In secondo luogo, la personalità viene concettualizzata come un sistema organizzato non rigido che consta dei seguenti sottosistemi: tratti, processi regolatori, interpersonale e sé.
Prove empiriche dimostrano che i tratti del disturbo di personalità siano organizzati in 4 diversi cluster:

1) ansioso dipendente o disgregazione emotiva;
2) comportamento dissociale;
3) evitamento sociale;
4) compulsività;

Ogni cluster rappresenta la dimensione principale nella quale si innestano le differenze individuali nel disturbo di personalità che devono essere trattate in terapia. Quando i tratti emergono, plasmano lo sviluppo dei sistemi del sé e interpersonale. Concetto fondamentale è considerare i sistemi come delle reti di conoscenza che organizzano l’informazione sul sé e sulle relazioni interpersonali in schemi cognitivi ed emotivi che vengono utilizzati per codificare gli eventi, attribuire significato all’esperienza ed anticipare la realtà. Questi schemi sono il bersaglio principale dell’intervento.

In particolare, le disfunzioni associate al disturbo di personalità comprendono tutti i sistemi di personalità che danno origine a quattro principali aree di compromissione funzionale:
1) sintomi, quali disforia, ansia, caratteristiche dissociative;
2) processi di regolazione e modulazione, che includono una difficoltosa regolazione delle emozioni e degli impulsi, e processi metacognitivi compromessi che portano a problemi di autoriflessività e controllo;
3) problemi interpersonali;
4) disfunzioni del sé e dell’identità.

Il trattamento può essere organizzato come una sequenza in cui le aree maggiormente suscettibili di cambiamento (ad esempio, i sintomi) sono colpite per prime perché questo aumenta la probabilità di un miglioramento precoce durante la terapia.

L’approccio modulare, quindi, pone meno enfasi sulle diagnosi formali del DSM e sull’utilizzo di protocolli di trattamento rigidi e dà maggiore risalto alla valutazione delle capacità funzionali che riguardano le differenti aree ed opera il cambiamento attraverso due tipologie di intervento: moduli generali di intervento che si basano su meccanismi di cambiamento comune (la Struttura, l’Alleanza, la Coerenza, la Validazione, la Motivazione, la Metacognizione); e 2 moduli specifici che interessano specifiche aree disfunzionali.

I moduli generali sono utilizzati durante il trattamento con tutti i pazienti, mentre i moduli specifici variano a seconda dei problemi che sono il focus d’intervento terapeutico in un dato momento della terapia.
Le fasi di cambiamento sono strettamente collegate alle aree disfunzionali e quindi ai moduli specifici di intervento.
La sequenza logica del cambiamento, come suggerito dagli autori, dovrebbe procedere dalla sicurezza del paziente al contenimento delle emozioni distruttive, al funzionamento interpersonale, e infine alla costruzione di un funzionamento del sé che fornisca all’individuo un senso di coinvolgimento e di raggiungimento degli obiettivi.

Pianificazione del trattamento e contratto terapeutico

La seconda parte del volume, “Assessment, pianificazione del trattamento e contratto terapeutico”, riguarda la valutazione, la formulazione, la pianificazione del trattamento e la sottoscrizione del contratto terapeutico. Livesley e Clarkin descrivono con grande lucidità la valutazione diagnostica articolandola in tre stadi, comprendenti gravità, tratti clinicamente rilevanti e le aree della personalità compromesse e ci spiegano come utilizzare queste informazioni per costruire la formulazione del caso e la pianificazione del trattamento.

La costruzione dell’alleanza terapeutica, elemento essenziale di tutte le terapie efficaci, inizia già a partire dall’assessment, anche se questo significa rendere un po’ più lungo il processo di valutazione.
La percezione della relazione da parte del paziente migliora quando il terapeuta è supportivo, collaborante e comprensivo. Il supporto, sostengono gli autori, viene veicolato da un atteggiamento attento, non giudicante, di ascolto e dalla sintonizzazione empatica nei confronti dei sentimenti del paziente.

Viene a questo punto affrontato il tema rilevante dell’integrazione, il cui locus si trova prevalentemente nella mente del terapeuta, il quale la metterà in pratica non appena effettua l’assessment di quel particolare paziente attraverso il riscontro dei seguenti elementi: 1) una concezione di base delle aree disfunzionali del singolo paziente; 2) una visione di come questo paziente possa raggiungere un livello di aggiustamento più efficace; 3) un’idea di come il paziente possa migliorare passo dopo passo nel corso del tempo; 4) interventi terapeutici tarati sui problemi del paziente e sul suo sentirsi pronto al cambiamento; 5) un’idea di cambiamento del terapeuta come percepito dal paziente, e la concezione del paziente di crescita del sé.

I meccanismi di cambiamento in terapia

Nella terza parte del trattamento, “Principi e meccanismi generali di cambiamento”, vengono esplorati aspetti differenti del trattamento del funzionamento metacognitivo compromesso e il ruolo che questi problemi giocano nei disturbi di personalità. La tematica è dapprima affrontata da Bateman e Fonagy e successivamente da Dimaggio, Popolo, Carcione e Salvatore.

E’ il gruppo italiano a fornirci procedure formalizzate passo dopo passo per arricchire le narrazioni dei pazienti ed esplorare i correlati dell’esperienza soggettiva per promuovere la metacognizione. Capita molto spesso, al terapeuta che ha a che fare con i disturbi di personalità, di osservare nella pratica clinica, pazienti con stile intellettualizzante, la cui comunicazione si basa prevalentemente su astrazioni semantiche con ricorso alla memoria autobiografica davvero marginale.

E’ l’analisi dell’episodio narrativo (come viene descritta dagli autori) il metodo più produttivo per accedere agli elementi dell’esperienza soggettiva-emozioni, credenze, piani e previsioni necessari per costruire una comprensione condivisa del funzionamento mentale del paziente.
Infine, nell’ultima parte del volume, denominata “Trattamento dei sintomi e della disregolazione emotiva”, sono elencate le diverse strategie per trattare i diversi aspetti del disturbo di personalità. Questa parte non copre in maniera esaustiva tutte le componenti della personalità ma mette in luce come metodi differenti possano essere utilizzati all’interno di un approccio integrato.

La sezione inizia con l’arduo argomento della gestione delle crisi suicidarie e altri tipi di crisi. Links e Bergmans sviluppano un modello integrato utile a tutti i clinici, partendo dall’assunto che il clinico di fronte ad un paziente con istinti suicidari debba innanzitutto elaborare i segnali di preallarme di rischio “acuto su cronico” e le azioni da intraprendere non appena il rischio aumenta.

Poiché le crisi appaiono collegate a periodi di emozioni intense negative (ad es. la vergogna nel narcisista o nel borderline), la terapia dovrebbe focalizzarsi sul miglioramento delle abilità del paziente di riconoscere, esprimere ed accettare le proprie emozioni. I pazienti saranno, quindi, incoraggiati ad elaborare le emozioni piuttosto che a controllarle. Una strategia importante per i pazienti è sviluppare un metodo personale per ridimensionare la sofferenza emotiva e per comunicare meglio alla propria rete di supporto i propri bisogni durante una crisi.

Dopo il capitolo che affronta la tematica della farmacoterapia integrata con la psicoterapia, Livesley propone una strategia composta da quattro moduli per il trattamento della disregolazione emotiva. Ogni modulo consiste in un set eclettico di interventi che interessano una componente della disregolazione emotiva, con lo scopo di incrementare la comprensione delle emozioni e della natura dell’esperienza emotiva, aumentando la consapevolezza, migliorando l’autoregolazione e incrementando la capacità di elaborare le emozioni.

Di particolare interesse è il capitolo di Ottavi, Passarella, Pasinetti, Salvatore e Dimaggio, interamente dedicato alla mindfulness. Il valore di questa pratica viene qui mostrato nel trattamento delle strategie di coping disfunzionali, quali la ruminazione, il rimuginio, il monitoraggio della minaccia e l’evitamento delle situazioni interpersonali.

Vengono quindi rivisitati i protocolli standard della mindfulness con la raccomandazione che il loro migliore utilizzo sia possibile solo quando il paziente con disturbo di personalità è in grado di percepirsi, di capire i propri stati mentali, di dare loro un nome e di collegarli alla situazione relazionale che li ha generati.

Nel capitolo successivo, viene trattato un argomento solitamente più trascurato: l’ipercontrollo disadattativo. Lynch, Hemple e Clark concettualizzano il problema dell’ipercontrollo come “solitudine emotiva”, cioè come mancanza di connessione con gli altri che è secondaria ai deficit di segnalazione sociale e bassa apertura.

Il successo del trattamento si basa su due assunti: 1)i pazienti con ipercontrollo sono prosociali nonostante spesso appaiano distanti e 2)i pazienti con ipercontrollo hanno bisogno di lasciar andare il continuo tentativo di fare del loro meglio.

I terapeuti che seguono questi pazienti dovrebbero lavorare per prima cosa sull’aumento della sicurezza sociale e la riduzione dell’arousal di difesa prima di incoraggiare i pazienti a sperimentare nuove abilità. Dovrebbero cioè, mirare ai bias biotemperamentali modificando per prima cosa la fisiologia, prima di puntare a modificare pensieri e comportamenti. Un’ampia letteratura mostra come la meditazione, la musica rilassante e la gentilezza amorevole possano sottoregolare gli effetti psicofisiologici delle emozioni negative che attivano i comportamenti di attacco o fuga.

Dopo l’ampia sezione dedicata alla psicopatia, Dimaggio e colleghi discutono le modalità per ampliare le autonarrazioni che giocano un ruolo importante nella comprensione del sé in un contesto interpersonale.

Nel capitolo conclusivo, Salvatore, Popolo e Dimaggio propongono un approccio volto ad integrare la disgiunzione esistente tra diversi stati del sé nei pazienti con un grave disturbo di personalità. La continua riformulazione del caso durante la fase di trattamento permette al paziente di ricostruire la formulazione così che diventi essa stessa base per una narrazione autobiografica.

Il volume si conclude con la splendida conduzione di un interessante caso clinico in cui è possibile vedere l’integrazione tra le diverse strategie d’intervento.

Mentre si apprezza la lettura di questo libro, sembrano risuonare le parole di Italo Calvino quando sosteneva che ogni vita è un’enciclopedia.
Questo volume, il più importante pubblicato finora, restituisce al clinico il diritto a “non eseguire protocolli”, e al paziente la preziosa opportunità di un trattamento “sartoriale”, adattato all’unicità della sua sofferenza.

Avevamo un grande bisogno di un testo che approfondisse gli aspetti fondamentali e sistematici dell’approccio integrato, e che ci consentisse di ripensare a metodi e terapie con una “nuova sensibilità e modernità”. Si tratta di un lavoro profondo, importante, sul quale tutti dovrebbero essere formati, consapevoli della sua immensa validità scientifica ed insostituibile umanità.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Livesley W.J., Dimaggio G., Clarkin J.F., (2017), Trattamento integrato per i disturbi di personalità. Un approccio modulare. Raffaello Cortina Editore.
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