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Come non avere paura dello spettro del trauma

Secondo Benedetto Farina, il trauma infantile può costituire un fattore di rischio per qualunque disturbo psichico, ma non si rischia di il pantraumatismo.

Di Guest

Pubblicato il 04 Lug. 2017

Aggiornato il 07 Lug. 2017 13:46

Diversamente da quanto sostengono Sassaroli e colleghi il problema non è che tutti i disturbi stanno diventando varianti del disturbo post-traumatico da stress quanto piuttosto il contrario: il trauma è uno dei maggiori fattori di rischio per tutti i disturbi psichici, indipendentemente dalla specifica diagnosi.

Di Benedetto Farina

 

Il trauma spiega ogni psicopatologia?

Il 25 maggio su State of Mind Sandra Sassaroli, Gabriele Caselli e Giovanni Ruggiero hanno pubblicato l’articolo “Lo spettro del trauma che si aggira per il mondo (della psicoterapia)”. Il titolo curiosamente parafraseggia la nota espressione del Manifesto del partito Comunista scritto da Marx ed Engels nel 1847 “Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo”. Per Sassaroli e colleghi lo spettro che si aggira per il mondo della psicoterapia è il pantraumatismo, specie nel mondo della psicoterapia cognitiva: “Il problema è, come al solito, quando un modello smette di limitarsi a spiegare solo alcuni disturbi e aspira a una spiegazione universale dell’intera sofferenza emotiva”. Come è possibile non essere d’accordo con loro? E’ assurdo e ingenuo pensare che esista un solo meccanismo patogenetico che spieghi tutta la sofferenza psichica.

Il problema però è che i colleghi che hanno scritto l’articolo e sollevato questo condivisibile timore non ci dicono chi è che sostiene tutto questo. Purtroppo nell’articolo non viene citata una sola fonte bibliografica che giustifichi tali timori: non un autore o un articolo dove venga affermato che il trauma spiega tutto.

Viene citato invece il lavoro di Liotti e mio, in cui però abbiamo affermato e descritto tutt’altro. E poiché in questo momento Liotti non può rispondere e rassicurare i colleghi rispetto ai loro timori spettrali cercherò di farlo io. E cosa c’è di meglio per combattere la paura di fantasmi e spettri se non i dati della realtà?

Leggi anche:
(1) Lo spettro del trauma che si aggira per il mondo (della psicoterapia)
(2) Il paradigma psicotraumatologico, in risposta a Benedetto Farina

 

Cosa dicono i dati scientifici

In questo caso la realtà descritta dai dati della ricerca scientifica. Con Sassaroli, Caselli e Ruggiero so che condividiamo la necessità di basare le riflessioni cliniche sui dati della ricerca e non sulle opinioni personali fondate su pregiudizi o peggio sulle paure: per questo citerò le fonti scientificamente più autorevoli e accurate che “circoscrivono” il problema del trauma dello sviluppo (TdS) a circa il 10% della popolazione generale e circa un terzo di quella clinica. Secondo l’ultimo report del National Child Abuse and Neglect Data System del Dipartimento della Salute degli USA (uno dei maggiori osservatori epidemiologici sul trauma infantile): “circa il 10% della popolazione generale negli USA sperimenta una o più forme di abuso o maltrattamento nell’infanzia (…) Circa un terzo prima dei tre anni (…) il 91.7 % degli abusi sono causati da uno o entrambi i genitori”. La forma più comune di trauma infantile (80%) è il neglect, la trascuratezza, l’abuso sessuale “solo” l’8.4% (US Department of Health and Human Services, 2017).

Questi dati spiegano il sottotitolo di un noto volume curato da molti studiosi del trauma infantile: l’epidemia nascosta. Eh già, perché questi dati non solo ci rivelano che il trauma infantile ha la diffusione di un’epidemia, ma anche il fatto che una parte notevole avviene senza cicatrici evidenti e soprattutto in un periodo dell’età in cui non è possibile formare memorie episodiche per cui può non essere riportato nei racconti che il paziente offre al terapeuta, anche al più attento.

I segni del trauma sono però rintracciabili dall’espressione clinica delle sue conseguenze, non conoscerle rischia di confondere il clinico non adeguatamente informato e può condurre a quelle “scorrettezze cliniche” che Sassaroli e colleghi giustamente temono.

Un secondo dato per evitare di avere paura dei fantasmi è che “solo” un terzo di tutti i pazienti che ci chiedono aiuto, indipendentemente dalla diagnosi con cui si presenta il paziente, ha come fattore di rischio il trauma (Green et al 2010). Questo dato importante risponde a un altro dei timori che Sassaroli e colleghi segnalano: “L’intera sofferenza emotiva è sempre più esplorata sotto questa etichetta [il trauma n.d.r.] e tutti i disturbi stanno diventando varianti del disturbo post-traumatico da stress”.

Il trauma come fattore di rischio per tutti i disturbi psichici

Diversamente da quanto sostengono Sassaroli e colleghi il problema non è che tutti i disturbi stanno diventando varianti del disturbo post-traumatico da stress quanto piuttosto il contrario: il trauma è uno dei maggiori fattori di rischio per tutti i disturbi psichici, indipendentemente dalla specifica diagnosi. Il trauma dello sviluppo genera una dimensione psicopatologica rivelata dalla presenza di specifici elementi clinici o da dirette prove di storie traumatiche e incide sulla gravità, sulla prognosi e sul trattamento di tutti i disturbi psichici. Un monumentale studio epidemiologico condotto dalla Harvard University su circa 5600 individui e pubblicato nel 2010 su Archives of General Psychiatry dimostrava che il trauma dello sviluppo rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio per circa un terzo dei pazienti adulti e per circa il 44 % della psicopatologia che esordisce durante l’infanzia e l’adolescenza (Green et al., 2010). McCrory e collaboratori, più recentemente, in una rassegna dei dati che provengono dagli studi di neuroimaging hanno confermato che: “Il maltrattamento infantile, incluso quello fisico, emotivo, il neglect, rappresenta verosimilmente il predittore più potente per la bassa qualità della salute psichica durante tutta la vita. Tali eventi di vita negativi incrementano il rischio di una vasta gamma di disturbi psichici durante l’infanzia e la vita adulta” (McCrory et al 2017).

Il TdS non è solo il “il predittore più potente per la bassa qualità della salute psichica” ma lo è anche per le malattie fisiche. Ciò è quanto è stato stabilito dallo studio ACE (Adverse Childhood Experiences) promosso dal Centro per la Prevenzione e Controllo delle Malattie del Dipartimento della Salute degli USA (Felitti 2009): “Lo studio ACE è una delle più vaste sperimentazioni mai condotte sull’associazione tra il maltrattamento infantile e lo stato di salute nella vita adulta (…) I risultati dello studio ACE suggeriscono che queste esperienze sono uno dei maggiori fattori di rischio per le più diffuse malattie, per la mortalità, così come per la bassa qualità della vita negli USA”.

Secondo i dati che provengono dalla letteratura scientifica il trauma non conduce solo al PTSD che è solamente la categoria diagnostica che descrive le conseguenze cliniche dei singoli eventi traumatici (e che non è in grado di descrivere la complessità clinica generata dal TdS), ma genera una dimensione patologica che diffonde in tutti i quadri clinici peggiorandone la prognosi e determinando resistenza a qualsiasi tipo di trattamento (Farina e Liotti 2013).

McCrory e colleghi (2017) stanno corredando con numerosi dati di letteratura le loro affermazioni a questo proposito: “I disturbi psichiatrici in coloro che hanno sperimentato maltrattamento infantile tendono a manifestarsi più precocemente, con una sintomatologia più grave (…) e con un aumentato rischio di comorbilità (…) Inoltre un disturbo in chi ha sperimentato maltrattamento infantile tende a essere più persistente, ad avere più ricadute e a rispondere meno agli approcci terapeutici standard.”. Questi sono i dati di realtà che illuminano la nostra attività clinica e ci proteggono contro la paura dei fantasmi.

Le cause che conducono il trauma dello sviluppo a generare resistenza al trattamento sono precise e in buona parte identificate dalle ricerche. E’ buona pratica clinica che lo psicoterapeuta conosca e disinneschi (laddove è possibile) tali processi patogenetici. Il principale di essi è dato dalle difficoltà nella relazione terapeutica e nella costruzione e nel mantenimento dell’alleanza terapeutica (Liotti e Farina, 2011). Relazione terapeutica e alleanza terapeutica sono tutt’altro che concetti “fumosi” e “poco promettenti come strumento terapeutico” come hanno affermato Sassaroli e colleghi.

Essi hanno affermato che “Una buona relazione è un fatto, non un metodo da seguire o una strategia da costruire”. Un’enorme e crescente letteratura scientifica, anche in ambito cognitivista, contraddice queste affermazioni che riducono il lavoro con e sulla relazione terapeutica alla “buona educazione” (Semerari 2000, Dimaggio et al 2010, Liotti e Monticelli 2014). La stima che ho dei colleghi Sassaroli, Caselli e Ruggiero mi spinge a invitarli a riconsiderare le loro affermazioni antiscientifiche su un tema così importante. Le difficoltà terapeutiche con i pazienti che hanno subito una qualche forma di trauma dello sviluppo ci impongono invece di conoscere la ricerca empirica e teorica sulla relazione terapeutica ed affinare le capacità e le tecniche che ci permettono di utilizzarla come strumento di lavoro psicoterapico.

A distanza di 170 anni dalla pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista possiamo dire che, almeno in Europa, lo spettro del comunismo si è dissolto e che ad avere timore dei comunisti sono rimasti alcuni politici italiani come Berlusconi e Salvini che continuano la loro personale “caccia alle streghe” (Marx e Engels 1847) per accaparrarsi consensi. Spero che Sandra Sassaroli, Giovanni Ruggiero e Gabriele Caselli si possano sentire confortati sul rischio del pantraumatismo già da questi pochi dati e dalle fonti che ho citato. Dati scientifici controllati che affermano il ruolo primario del trauma dello sviluppo nel generare la psicopatologia e quello centrale del lavoro con la relazione terapeutica.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Administration on Children, Youth and Families, Children’s Bureau. Child maltreatment 2015 — data tables. Washington, DC: Department of Health and Human Services, 2017 (http://www .acf .hhs .gov/ programs/ cb/ research-data-technology/statistics-research/ child-maltreatment).
  • Dimaggio G, Carcione A, Salvatore G, Semerari A, Nicolo` G (2010). A rational model for maximizing the effects of therapeutic relationship regulation in personality disorders with poor metacognition and over-regulation of affects. Psychology and Psychotherapy: Theory, Research and Practice 83, 363–384
  • Green Green JG, McLaughlin KA, Berglund PA, Gruber MJ, Sampson NA, Zaslavsky AM, Kessler RC (2010). Childhood adversities and adult psychiatric disorders in the national comorbidity survey replication I: associations with first onset of DSM-IV disorders. Arch Gen Psychiatry 67, 2, 113-123.
  • Farina, B. & Liotti, G. ( 2013). Does a dissociative psychopathological dimension exist? A review on dissociative processes and symptoms in developmental trauma spectrum disorders. Clinical Neuropsychiatry,10, 11–18.
  • Felitti VJ (2009). Adverse childhood experiences and adult health. Acad Pediatr 9, 3, 131-132.
  • Liotti G, Farina B (2011). Sviluppi Traumatici. Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • Liotti G. Monticelli F. (2014). Teoria e Clinica dell’Alleanza Terapeutica – Una prospettiva cognitivo-evoluzionista. Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • McCrory EJ, Gerin MI, Viding e (2017). Annual Research Review: Childhood maltreatment, latent vulnerability and the shift to preventative psychiatry – the contribution of functional brain imaging. Journal of Child Psychology and Psychiatry, doi:10.1111/jcpp.12713
  • Semerari A (2000). Storia, teoria e tecnica della psicoterapia cognitiva. Laterza, Bari-Roma.
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