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Lion: la strada verso casa, un film sull’adozione (2016) – Recensione

Lion è un film commovente sulla storia di un bambino che, dopo diverse peripezie, viene adottato ma continua a cercare la sua famiglia d'origine.

Di Giorgia Maestri

Pubblicato il 17 Lug. 2017

Aggiornato il 05 Dic. 2018 11:01

Lion è un film che cattura ed emoziona. Gli occhi di Saroo bambino ci raccontano della sua solitudine e del suo smarrimento ma contemporaneamente anche della sua tenacia e della sua voglia di combattere.

 

Titolo originale: Lion – Un film di Garth Davis. Con : Dev Patel, Nicole Kidman, Rooney Mara, David Wenham – Drammatico – Australia, Stati Uniti – 2016

Trama del film Lion

Il film è tratto dall’autobiografia di Saroo Brierley “A long way home”.

Saroo vive in India centrale in condizioni molto povere insieme al fratello maggiore, a una sorella minore e alla madre. Un giorno Saroo chiede di accompagnare suo fratello Guddu al lavoro: viene lasciato per qualche ora su una panchina in una stazione ferroviaria non distante dal villaggio natale e si addormenta. Al risveglio, si ritrova completamente solo: comincia a cercare forsennatamente il fratello e, per sbaglio, sale su un treno che non farà alcuna sosta e lo condurrà a Calcutta, una città lontana circa 1600 km dal suo paese d’origine.

Nella metropoli, il bambino si sente estremamente disorientato, non parla la lingua locale e quindi non riesce a spiegare a nessuno la sua situazione o a fare comprendere da quale posto provenga. Inizia a vivere per strada. Dopo molte peripezie e incontri sbagliati, il suo destino sarà l’orfanotrofio, dove lotterà ancora per sopravvivere. Un giorno all’interno dell’istituto un’assistente sociale gli dichiara che una famiglia australiana lo vorrebbe adottare. Il protagonista parte quindi per Hobart, in Tasmania.

All’età di 25 anni, Saroo vive a Melbourne ed è uno studente universitario. Ma non ha dimenticato la sua famiglia d’origine e attraverso Google Earth inizia la ricerca del suo villaggio natale per ritrovare sua madre e i suoi fratelli.

L’ARTICOLO CONTINUA DOPO IL TRAILER:

Motivi di interesse

Il film è diviso in due parti: la prima che racconta delle avventure dell’infanzia di Saroo e di un’India piena di ambivalenze e contradditorietà; la seconda che descrive la scissione interna del protagonista diventato adulto.

Lion è un film che cattura ed emoziona. Gli occhi di Saroo bambino ci raccontano della sua solitudine e del suo smarrimento ma contemporaneamente anche della sua tenacia e della sua voglia di combattere.

La sua biografia si è spezzata: una situazione imprevista l’ha portato via dall’affetto dei suoi familiari da cui si è sempre sentito amato.
Il nome del fratello che il protagonista ripetutamente grida all’interno del treno, rappresenta uno dei momenti più strazianti del film.

Per tutta la prima parte del lungometraggio, Saroo continua ad aggrapparsi alla speranza che suo fratello e sua madre lo troveranno: ma questo non avverrà e piano piano accetterà l’idea di fare spazio a una nuova famiglia che si vuole prendere cura di lui.

Acconsentirà a farsi nuovamente amare da una madre – interpretata da Nicole Kidman – che avrebbe potuto avere figli, ma che invece ha preferito accogliere quei bambini che in un qualche angolo del mondo hanno bisogno di amore. In un momento molto toccante del film, la Kidman con le lacrime agli occhi rivela al protagonista: “Avremmo potuto avere figli nostri. Ma abbiamo scelto di non farlo. Abbiamo scelto te.”

La vita di Saroo nella “nuova” famiglia non sarà sempre facile, soprattutto dopo l’adozione del fratello – proveniente dal medesimo orfanotrofio – che richiederà molte attenzioni e cure da parte dei genitori e nei confronti del quale il protagonista avvertirà sentimenti contrastanti.

Lo sviluppo della pellicola attesta che in una biografia interrotta il richiamo alle origini può riecheggiare intensamente.
Così, dal semplice profumo di un cibo che gli rievoca la sua terra, Saroo comincia a ricordare. E ciò che aveva messo a tacere – seppur inconsapevolmente – riaffiora in modo violento, cambiando inaspettatamente il corso della sua esistenza.
Il giovane decide di ritrovare il suo villaggio attraverso il supporto di Google Earth. La ricerca non si rivela semplice: né da un punto di vista pratico, né da un punto di vista emotivo.

Il ragazzo sta male e si sente in colpa perché dall’altra parte del mondo qualcuno potrebbe ancora cercarlo e contemporaneamente soffre per la famiglia adottiva, perché sente di tradirla andando alla ricerca delle sue origini. Si chiude in se stesso, escludendo tutti gli affetti che lo circondano: dalla fidanzata, alla madre, al padre e al fratello adottivo. Il suo obiettivo diventa un’ossessione: non mangia, non dorme, sente solo di non poter fermarsi: perché capisce di non volere più essere sospeso in un costante stato di incompletezza.

La stessa sospensione che coinvolge lo spettatore per tutta la durata del film, dato che l’identificazione con il protagonista risulterà inevitabile.

La storia di Saroo dimostra che la “famiglia” non risiede solo dove esiste un legame di sangue. La famiglia è il luogo dove si viene accolti, amati, protetti a prescindere da chi ci ha messi al mondo.
Il sentimento di chi si prende cura per una vita di qualcuno, non cambia né si modifica. Quell’amore è per sempre: non ha tempo, non ha colore, non ha patria, non ha confini.

Per questa ragione, la madre adottiva di Saroo non si sente affatto tradita – come il figlio teme – quando le confessa di essere alla ricerca del suo villaggio natale: lei lo comprende e lo sostiene in un percorso che ritiene naturale e lo rassicura sul fatto che lo amerà per sempre.

Lion è un film importante che non può lasciare imperturbati: penetra, emoziona e si insinua nella mente di chi lo guarda sotto forma di quesiti profondi.

Tutte le notti sogno di ritornare da mia madre e di sussurrarle all’orecchio: sono qui”. Saroo ritroverà la strada di casa: la sua biografia potrà finalmente riprendere. E lo spettatore ricominciare a respirare.

Indicazioni di utilizzo

In un’adozione, tacere è più comodo per tutti, ma fa danni. Seppellisce le emozioni, ingigantisce le fantasie. […]I ragazzi non fanno domande. Per estrema lealtà verso il nucleo che li ha accolti o perché il filo del dialogo si è spezzato” (tratto da D.Repubblica.it, 21.04.2014, di Daniela Condorelli)

Il film permette di entrare sia nella prospettiva del genitore adottivo che in quella del figlio adottato. Ci dimostra che non è facile dialogare e affrontare determinate tematiche: le paure e i timori coinvolgono entrambe le parti. Ammettere di voler conoscere e ritrovare le proprie origini da parte del figlio è un passaggio importante e complesso quanto il supporto del genitore che dovrebbe riuscire ad assecondarne, al di là della minaccia del proprio ruolo, il cammino spesso fisiologico.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Coratti, B., Lorenzini, R., Scarinci, A., Segre, A., (2012) Territori dell’incontro. Strumenti psicoterapeutici, Alpes Italia, Roma.
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