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La mindfulness nell’età evolutiva: l’efficacia della meditazione nei bambini

La mindfulness nei bambini e adolescenti può favorire la regolazione delle emozioni, l'autocompassione, la gestione dello stress e strategie di coping.

Di Elena Cristina

Pubblicato il 06 Giu. 2017

Aggiornato il 24 Set. 2019 15:38

La ricerca sugli interventi mindfulness nei bambini e adolescenti è ancora agli albori. Ciononostante esistono evidenze che testimoniano l’adattabilità e l’efficacia di questo tipo d’interventi, sia in campioni clinici che non, di bambini e adolescenti (Black e collaboratori, 2009).

Elena Cristina, OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Milano

 

I contributi della letteratura sulla mindfulness nei bambini

I più giovani hanno naturalmente motivazioni e bisogni differenti rispetto agli adulti, pertanto si rendono necessari opportuni adattamenti del protocollo MBSR (di John kabat-Zinn), specialmente nelle modalità e nei tempi. Fabbro e Muratori (2012) propongono di strutturare le sedute di meditazione in modo che siano molto brevi e che si svolgano con una routine invariata nel tempo, gli esercizi devono essere semplici, adeguati alle capacità dei destinatari, alla fine della meditazione è opportuno dedicare uno spazio per la condivisione delle esperienze e delle eventuali difficoltà. La competenza trasversale ai vari programmi di mindfulness nei bambini è il diventare consapevoli delle proprie emozioni (Fabbro e Muratori, 2012). Esistono inoltre tecniche e procedure di meditazione specifiche a seconda delle varie fasce d’età (5-8 anni, 9-12 anni, 13-18 anni) (Hooker, 2008).

Un recente contributo in letteratura è quello di Eline Snel (2015), terapeuta olandese e fondatrice dell’Academy for Mindful Teaching (AMT) con sede a Leusden (Paesi Bassi), autrice del libro “Calmo e attento come una ranocchia”(2015). La Prefazione del volume è curata dallo stesso John Kabat-Zinn che ne dichiara “un simile allenamento mentale ed emotivo non era mai stato accessibile ai bambini prima d’ora”. Il libro è una guida molto pratica per imparare cos’è la mindfulness e applicarla nella vita di tutti i giorni dei più piccoli in maniera molto giocosa; include un CD-ROM con 11 meditazioni guidate che genitori e bambini possono ascoltare ed esplorare insieme o da soli, in base alle proprie preferenze: 3 pratiche audio sono per bambini dai 5 ai 12 anni di età, 6 tracce audio vanno dai 7 ai 12 anni, 2 tracce vanno bene per bambini di qualsiasi età. La durata varia dai 4 ai 10 minuti. Le meditazioni guidate rappresentano il fulcro del programma ed insegnano ad essere più consapevoli in qualunque momento della giornata.

Le prime due tracce, n.1 Calmo e attento come una ranocchia e la n. 2, La piccola ranocchia, costituiscono la meditazione di base.
La traccia n.3, Attenzione al respiro, insegna come dirigere e spostare l’attenzione; la traccia n.4, Gli spaghetti, è un esercizio di rilassamento corporeo; la n.5, Premi il tasto Pausa, ha come obiettivo quello di imparare a non reagire impulsivamente; la n.6, Pronto Soccorso per sensazioni sgradevoli, per non lasciarsi sopraffare dalle emozioni; la traccia n.7, Un posto sicuro, è un esercizio di visualizzazione; la n.8, La fabbrica dei pensieri, per calmare il turbinio mentale; la n.9, Un piccolo incoraggiamento, per quando le cose sembrano non andare bene; la n.10, Il segreto della stanza del cuore, esercizio sulla gentilezza ed infine la n.11, Dormi bene, un piccolo esercizio di accompagnamento al sonno.

Non casuale è la scelta del simbolo della rana per rappresentare l’essenza della mindfulness.

“La rana è un animale davvero straordinario. E capace di fare salti enormi, ma sa anche stare ferma, calma e immobile. Si accorge di tutto ciò che succede intorno a lei, ma non reagisce subito ogni volta. La rana rimane ferma e respira. Risparmia le energie e non si lascia trascinare da tutte le idee che le passano per la testa. Resta calma e ferma, e intanto respira. La sua pancia si solleva e si abbassa, si gonfia un po’ e poi si sgonfia. Se può farlo una rana, puoi farlo anche tu. Tutto quello che ti serve è un po’ di attenzione, attenzione al respiro, attenzione e calma”. (p. 38)

Lo stesso Suzuki Roshi, grande maestro zen giapponese, in una delle sue principali opere, “Mente Zen” (1976), scrive:

“Dovete essere come una rana. Ecco il vero zazen1. […] Se siamo come una rana, siamo sempre noi stessi. Ma persino una rana a volte perde se stessa, e allora fa una brutta smorfia. E se qualcosa le passa accanto, lo afferra e mangia. Perciò credo che una rana stia sempre a chiamarsi. E penso che anche voi dovreste farlo. Persino nello zazen può capitare che perdiate voi stessi […] Siccome perdete voi stessi, il vostro problema diverrà un vero problema per voi. Se non perdete voi stessi, anche se avete delle difficoltà, in effetti non c’è alcun problema di sorta […].
Quando voi siete voi stessi, vedete le cose così come sono, e diventate tutt’uno con ciò che vi circonda. Lì si trova il vostro vero sé. Lì possedete la vera pratica; possedete la pratica di una rana […] E’ per questo che dobbiamo sempre richiamarci a noi stessi come un medico che si ausculta”(p.66-67).

Il libro “Calmo e attento come una ranocchia” funge da filo conduttore e da approfondimento rispetto alla pratica; si articola in 10 brevi capitoli: introduzione alla mindfulness; come essere genitori più consapevoli; l’attenzione comincia dal respiro; allenare l’attenzione; dalla testa al corpo; superare la tempesta interiore; gestire le emozioni difficili; la fabbrica dei pensieri; è bello essere gentili; pazienza, fiducia e capacità di mollare la presa. Per ogni sezione vengono indicate le tracce audio con cui fare pratica formale e altri consigli pratici con cui allenare le capacità di mindfulness e compassione, quotidianamente, in maniera informale, attraverso degli espedienti ludici, da attuare in qualunque circostanza (mentre si lavano i denti, si fa la spesa, si mangia, osservando il respiro in diverse situazioni, etc.). Un esempio è la pratica dell’accorgersi della propria scortesia” in cui si utilizza un braccialetto da mettere al polso destro come promemoria, per ricordarsi di essere gentili con se stessi e con gli altri. Ogni volta che ci si comporta in maniera sgarbata, l’invito è quello di spostare il braccialetto sull’altro polso, con un sorriso. Un’altra pratica è quella del “guardare più in là” in cui ci si prende del tempo per pensare e trovare una caratteristica positiva in una persona che ci è antipatica o ci infastidisce.
“Calmo e attento come una ranocchia” è dunque un modo semplice, fantasioso e divertente per avvicinare i più piccoli alla coltivazione della presenza mentale, fisica ed emotiva e la connessione con se stessi, gli altri e il mondo.
Il contributo di Eline Snel è pensato per l’educazione e la crescita dei propri figli da parte di genitori che vogliono anch’essi diventare sempre più consapevoli.

I programmi di mindfulness nei bambini

E. Snel ha messo a punto un corso di formazione sulla mindfulness nei bambini nelle scuole, intitolato Mindfulness Matters (La consapevolezza conta), basato sul programma per adulti di JKZ. A tale programma, anch’esso di otto settimane, avevano partecipato 300 bambini e 12 insegnanti. Il corso prevedeva mezz’ora di lezione didattica (frontale) a settimana e dieci minuti di esercizi giornalieri, nei quali i bambini venivano invitati a mettere in pratica i concetti appresi in aula. Sia i bambini che gli insegnanti hanno riscontrato cambiamenti positivi: un’atmosfera più serena in classe, una maggiore concentrazione, fiducia e una maggior apertura, gentilezza ed indulgenza con se stessi e con i compagni.

Sebbene al di fuori di un setting scolastico, Lo e collaboratori (2016) hanno recentemente messo a punto un modello di disegno sperimentale che prevede l’implementazione del programma Mindfulness Matters di Eline Snel per bambini affetti da ADHD e i loro genitori, che parallelamente ricevono un training di Mindful Parenting. L’innovatività del protocollo sperimentale di Lo e colleghi consiste nel rivolgersi a bambini molto piccoli, dai 5 ai 7 anni di età, diversamente dagli studi presenti in letteratura che coinvolgono bambini sopra gli 8 anni. Secondo il loro disegno di ricerca, i bambini vengono suddivisi in piccoli gruppi di 4-6 partecipanti; le sessioni hanno durata di un’ora e durante la quarta e sesta classe sono previsti 30 minuti di attività condivisa in cui è data la possibilità ai genitori di praticare in vivo le abilità di mindfulness con i bambini, valutate da appositi ricercatori tramite apposite griglie di registrazione.

I principali obiettivi dei trattamenti mindfulness sono il miglioramento di tre aspetti fondamentali dell’attenzione nei bambini, ovvero la capacità di orientamento attentivo, l’attenzione sostenuta e le funzioni esecutive, mentre nei genitori una maggior autoregolazione, la riduzione del comportamento di “harsh parenting”, caratterizzato da ostilità e sentimenti negativi in risposta ai comportamenti di sfida dei bambini con ADHD, spesso responsabile dell’insorgenza di pattern disfunzionali di interazione alla base di disturbi oppositivi-provocatori e disturbi della condotta.

L’efficacia della mindfulness nei bambini e gli esiti positivi

La maggior parte degli interventi mindfulness-based implementati in età evolutiva sono difatti applicati al contesto scolastico, dal momento che bambini e ragazzi vi trascorrono la maggior parte del loro tempo.

Zenner e colleghi (2014) hanno condotto una meta-analisi che ha messo in luce un effetto positivo della mindfulness sia su variabili cognitive sia su variabili più prettamente psicologiche, come lo stress, le capacità di coping, la resilienza e l’accettazione. Tuttavia gli autori hanno evidenziato una serie di aspetti metodologici che impediscono di dichiararne una vera e propria efficacia: primo fra tutti, un’estrema eterogeneità dei diversi programmi analizzati, la variabilità degli strumenti di misura, l’instabilità delle misure di outcome (che in età evolutiva cambiano rapidamente), la sostanziale qualità degli studi pilota (non RCT), l’assenza di un gruppo di controllo, la bassa numerosità campionaria. A complicare ulteriormente il quadro sembrerebbero intervenire altre variabili, scarsamente controllabili, come il background socioculturale dello specifico contesto scolastico, la preparazione degli insegnanti e/o l’inserimento di eventuali esperti esterni nel corpo docenti, la possibilità di usufruire di tempi e spazi al di fuori della scuola. Pertanto sono difficilmente individuati quegli elementi (“ingredienti”) degli interventi mindfulness in grado di produrre degli effetti positivi; sembrerebbero maggiormente intervenire fattori non specifici come il supporto percepito dei pari, la novità del programma ed un generale rilassamento.

Nonostante la mancanza di omogeneità di dati, la pratica di mindfulness nei bambini produce effetti sulle funzioni cognitive ed emotive. Nello specifico, la letteratura evidenzia un effetto positivo della pratica di presenza consapevole sui bambini che mostrano difficoltà nelle funzioni esecutive, coinvolte nella regolazione delle emozioni e del comportamento.

Un trattamento che si è dimostrato efficace nel miglioramento delle funzioni esecutive è il programma Inner kids di Flook et al. (2010). Anche il programma ideato da Susan Kaiser Greenland (2010), ispirato al programma MBSR di JKZ, che si propone di incrementare sia gli aspetti di attenzione che di consapevolezza e compassione, attraverso attività di gioco e movimento, specificamente pensate per i bambini in età evolutiva oltre che per il contesto scolastico, produce effetti positivi sulle variabili di metacognizione e regolazione del comportamento, misurate con il questionario Behavior Rating Inventory of Executive Function o BRIEF (Gioia et al., 2000), somministrato a genitori ed insegnanti. L’autrice ha riscontrato un miglioramento significativo in entrambe le scale, specialmente per coloro che in baseline mostravano valori più bassi, su un campione di bambini tra i 7 e i 9 anni prima e dopo la partecipazione al training di Mindfulness in età evolutiva.

Anche Saltzman e Goldin (2008), applicando il programma MBSR for children (della durata di 8 settimane) su un campione di 30 bambini, hanno ottenuto risultati incoraggianti per diverse problematiche di natura emotiva, riscontrando una minor reattività emotiva, una minore tendenza all’autocritica ed anche una maggiore compassione verso di sé e verso gli altri dopo il training di Mindfulness.

I programmi di mindfulness per adolescenti

Anche per quanto concerne la popolazione adolescente, sono stati ideati eterogenei programmi mindfulness-based applicati al contesto scolastico.

Come già illustrato da Andrea Bassanini in un articolo del 2013, “Mindulness: effetti del programma di pratica per la scuola”, praticare la mindfulness a scuola riduce i sintomi depressivi, lo stress e migliora il benessere percepito degli adolescenti. Citando lo studio di Kuyken, W., Weare et al. (2013), frutto della collaborazione tra l’università di Exeter, Oxford e Cambridge, condotto su un campione di 522 ragazzi inglesi, dai 12 ai 16 anni della scuola secondaria, i ragazzi a cui è stato inserito il Mindfulness in Schools Programme nel proprio curriculum formativo, contrariamente a chi ha mantenuto il curriculum standard, hanno riportato livelli significativamente inferiori alla scala CES-D (Center for Epidemiologic Studies Depression Scale) della depressione e al follow-up (a due e a tre mesi), livelli bassi di stress nella fase post-intervento, misurato con il Perceived Stress Scale (PSS). Inoltre, al follow-up, hanno ottenuto punteggi più alti di benessere, misurato con la scala Warwick–Edinburgh Mental Well-Being Scale (WEMWBS).

Il Mindfulness in Schools Programme, rientrando a pieno titolo nella tradizione dei protocolli mindfulness (come MBCT, MBSR e MBRP), prevede un training della durata complessiva di nove settimane, una in più del classico programma MBCT, con frequenza settimanale. Tuttavia è anche stato strutturato nel rispetto dei principi guida del lavoro con gli adolescenti: una maggior esplicitazione dei concetti, il riadattamento degli interventi in forme più brevi e quindi più fruibili dai destinatari, un forte uso dell’interazione e della componente esperienziale, il ricorso a strumenti informatici che consentissero di esportare i temi appresi durante il corso nella vita quotidiana: un libretto informatico con i temi principali, un set di pratiche di mindfulness su CD e MP3.

Dal presente studio, emerge significativa la variabile relativa al grado di pratica personale svolta dai partecipanti tra una sessione e la successiva ed una correlazione positiva tra questa e il miglioramento del benessere personale, l’abbassamento dei livelli di stress e l’abbassamento dei livelli di depressione al follow-up di tre mesi.

In un ulteriore articolo, scritto da Linda Confalonieri “Mindfulness a scuola & minor rischio depressivo negli adolescenti”, si presentava una ricerca belga di Raes e collaboratori (2013), pubblicata sulla rivista Mindfulness, su un ampio campione di studenti adolescenti (N=400) che hanno seguito un training di mindfulness a scuola (ben diverso dal classico setting clinico) e che presentavano, a termine del programma, minori probabilità di sviluppare sintomi depressivi e ansiosi nei mesi successivi, rispetto al gruppo di controllo. Tutti i partecipanti allo studio sono stati sottoposti a dei test prima dell’intervento, dopo la conclusione e a sei mesi di distanza (follow-up). Al pre-test entrambi i gruppi (sperimentale e di controllo) hanno presentato percentuali simili di sintomi depressivi (21 e 24%); al termine del programma tale percentuale si è significativamente ridotta nel gruppo sperimentale: 15% contro il 27% di soggetti con sintomi depressivi nel gruppo di controllo. Tale differenza si è mantenuta anche nel follow-up a sei mesi: 16% contro il 31% del gruppo di controllo. Il più grande limite dello studio di Raes et al., (2013) è che i ragazzi adolescenti facenti parte del gruppo di controllo non hanno ricevuto alcun tipo di trattamento; oltre alle ricadute in termini di correttezza metodologica dell’impianto di ricerca emerge anche una questione etica nel non offrire i potenziali benefici derivanti dalla partecipazione ad un programma di mindfulness.

Una soluzione a questo aspetto è stata trovata dal gruppo di ricerca di Karen Bluth e collaboratori (2015), i quali hanno formato un gruppo di controllo con i soggetti in lista d’attesa, beneficiari anch’essi dell’intervento di mindfulness ma in un tempo successivo ai soggetti sperimentali.
Lo scopo delle autrici del Nord Carolina è stato testare la praticabilità, l’accettabilità e gli outcome psicosociali preliminari dell’adattamento del programma per adulti Mindful Self-Compassion alla popolazione adolescente, ribattezzato col nome Making Friends with Yourself (MFY, acronimo)

Nella ricerca sono stati reclutati 34 ragazzi di età compresa tra i 14 e i 17 anni. La maggior parte erano ragazze (26). Tutti i ragazzi provenivano da famiglie con un alto livello di scolarizzazione (laurea, master, titoli post-laurea, dottorato). Come criterio d’inclusione nello studio è stato scelto un punteggio inferiore a 13 ad una versione modificata della scala KADS (Kutcher Adolescent Depression Scale; LeBlanc et al. 2002) , con una suddivisione interna degli item riguardanti comportamenti autolesivi e comportamenti suicidari, e la risposta negativa all’item “nell’ultima settimana, solitamente hai mai avuto pensieri o compiuto azioni suicidarie?”. I partecipanti sono stati assegnati tramite randomizzazione ad un gruppo sperimentale e ad un gruppo di controllo (lista d’attesa). L’assessment è stato effettuato tramite una somministrazione online di una batteria di test prima e dopo la conclusione del programma (prima del gruppo sperimentale e poi del gruppo di controllo). La frequenza al programma e la sopravvivenza del campione sono state usate come misure della praticabilità dell’intervento; mentre le audio-registrazioni della classe, della durata di 6 settimane, sono state analizzate per determinare il grado di accettabilità per la popolazione adolescente.

I risultati mostrano come, a confronto con la lista d’attesa dei partecipanti (soggetti di controllo), il gruppo di soggetti che ha ricevuto l’intervento ha ottenuto punteggi statisticamente significativi alle misure dell’autocompassione, della soddisfazione di vita, un più basso punteggio ai test di depressione rispetto ai soggetti di controllo (lista d’attesa), in concomitanza ad una maggior capacità di mindfulness e connessione sociale, più bassi livelli di ansia.

Attraverso un’analisi congiunta dei dati ottenuti dal gruppo dei soggetti di controllo con i dati del primo gruppo di soggetti sperimentali, si evince un incremento significativo nelle capacità di mindfuness, di autocompassione e un decremento altrettanto significativo dei livelli di depressione, ansia, stress percepito e stati affettivi negativi dopo la partecipazione al programma.
Inoltre, i risultati della regressione dimostrano che l’autocompassione e la mindfulness predicono un decremento nei livelli di ansietà e di depressione, nello stress percepito, e un aumento nella soddisfazione di vita a seguito della partecipazione al programma MFY.

Il “Making Firends with Yourself” è un programma della durata di 6 settimane, con frequenza settimanale, ogni incontro della durata di 90 minuti. Similmente al programma per adulti (Neff and Germer, 2013), ogni sessione settimanale è incentrata su un tema specifico. Il 1° incontro consiste in una presentazione generale del programma, l’introduzione alla mindfulness e all’autocompassione tramite una serie di pratiche e attività che incoraggiano l’autoscoperta dei partecipanti di queste abilità. L’incontro n.2 si focalizza principalmente sulla mindfulness e introduce una serie di pratiche tradizionali come il respiro consapevole e la consapevolezza alle sensazioni fisiche del corpo. Il 3° incontro s’incentra sul cervello dei teenagers e include una presentazione didattica di come i due sistemi cerebrali (il sistema di controllo cognitivo e il sistema motivazionale) si sviluppano in stadi differenti dello sviluppo cerebrale nel corso dell’adolescenza. Il sistema di controllo cognitivo include lo sviluppo della corteccia prefrontale (pensiero logico, decision-making) mentre il sistema motivazionale implica lo sviluppo del sistema limbico e dell’amigdala (ad esempio nella regolazione delle risposte di attacco o fuga). Viene dunque incoraggiata la discussione in merito alle conseguenze di questi cambiamenti sul temperamento del ragazzo, sul suo comportamento e sui rapporti familiari. La sessione n.4 si focalizza sull’autocompassione intesa come qualcosa di diverso dall’autostima e come la prima sia un modo migliore e più efficace di rapportarsi a se stessi. A tal proposito vengono utilizzati anche strumenti video per metterne in luce le differenze tra i due costrutti. Nella 5° sessione, ci si focalizza sul sentimento di gratitudine presentato come valore nucleare dell’adolescenza e dell’intero spirito del programma.

Le differenze del programma per adolescenti, rispetto alla versione per adulti, sono la maggior brevità del trattamento, gli accorgimenti legati all’età dello sviluppo (un maggior utilizzo di attività, anche manuali, e dall’uso di meditazioni guidate più brevi) ed un affondo specifico sulla natura del cervello dell’adolescente.

Gli adolescenti sono stati gradualmente introdotti alla pratica della mindfulness, attraverso una serie di pratiche di natura sia formale sia più informale. Nel primo caso, per esempio, è stata consegnata una traccia audio per la pratica di autocompassione tramite un body-scan, invitandoli a portare calore e affetto ad ogni parte del loro corpo, semplicemente notando le sensazioni emergenti in quella zona del loro corpo. Un esempio di pratica informale è rappresentato dalla pratica “A Moment for Me”; ai ragazzi è stato insegnato come fare un gesto amorevole, ad esempio sgranchirsi le braccia o le gambe, mentre ricordano a se stessi di fare tre cose: il riconoscere la loro sofferenza nel momento in cui sta accadendo, il riconoscere che la sofferenza emotiva è universale e parte dell’essere umano, il confortare attivamente se stessi specialmente nei momenti più critici, ripetendosi fra sé e sé frasi di gentilezza amorevole. Infine, in occasione dell’ultimo incontro (6°), viene chiesto ai partecipanti un feedback rispetto al programma, alle pratiche preferite e quelle meno, alla meditazione in generale e alle loro opinioni su come rendere migliorabile il programma stesso.

Per incoraggiare la pratica durante la settimana, i ragazzi sono stati incoraggiati ad accedere ad un sito dal quale potevano scaricare materiale sia audio che video, sebbene con tracce pensate per adulti. Un sito con materiale di supporto per adolescenti non era disponibile. Prima dell’inizio di ciascuna classe, i ragazzi sono stati invitati a compilare una scheda in cui riportare il numero di giorni durante la settimana in cui hanno praticato la mindfulness e l’autocompassione sia formalmente sia informalmente.

Tutte le classi sono state audioregistrate e trascritte verbatim (poi sottoposto ad analisi tramite Atlas-ti 7.5) allo scopo di informare la comprensione degli autori circa le modalità di meditazione e di pratica della self-compassion così come di altre attività che sono efficaci e ben accettate dagli adolescenti.

Sono stati utilizzati i seguenti strumenti di misura
The Children and Adolescent Mindfulness Measure (CAMM; Greco et al. 2011) che valuta l’attenzione momento per momento e l’accettazione delle esperienze interne. I partecipanti devono indicare le loro risposte agli item su una scala Likert a 5 punti (0, “mai vero” 4, “assolutamente vero”). Punteggi più alti indicano maggiori capacità di mindfulness. Un esempio di item è il seguente “Divento sconvolto quando ho certi pensieri e cerco di scacciare via i pensieri che non mi piacciono”.
-Positive and Negative Affect per misurare con quale frequenza sperimentano affetti negativi (ostilità, senso di colpa, distress) e positivi (interesse, soddisfazione, iniziativa, etc.) (PANAS; Watson et al.1988).
-la versione breve della Self-compassion scale, short form (SCS-SF; Raes et al.2011), ad esempio: “cerco di guardare ai miei errori, fallimenti come parte della condizione umana e quando sto attraversando un periodo veramente difficile, dò a me stesso la cura e la tenerezza di cui ho bisogno”
-State-Trait Anxiety Inventory (STAI; Spielberger et al. 1983)
-the Student’s Life Satisfaction Scale (Huebner, 1991) “la mia vita sta andando bene”, “la mia vita è migliore di quella della maggior parte degli altri bambini”.
-The Short Mood and Feelings Questionnaire (SMFQ; Angold et al. 1995) “mi sono sentito miserabile o infelice e ho sentito come se fosse impossibile pensare correttamente o concentrarmi”
-The Social Connectedness scale, una scala di 8 item che valuta il senso di appartenenza interpersonale e la consapevolezza soggettiva di essere in una relazione intima col mondo sociale (Lee and Robbins 1998, p. 338). Esempi di item includono “Mi sono sentito disconnesso dal resto del mondo che mi circondava e anche verso le persone attorno che conosco, mi sono sentito come se in realtà non appartenessi.”

Gli elementi preferiti del programma in generale sono le pratiche più concrete, ossia l’osservazione diretta delle sensazioni fisiche (ad esempio, il self compassion body scan, trovato dai partecipanti “molto rilassante”):

“mi sono sentito come avessi fatto un sonnellino rigenerante…quanto è durato ? 15 minuti….è sembrato durasse ore!”; “mi sentivo veramente stanco oggi, perché non ho chiuso occhio la notte scorsa ma ora mi sento decisamente meglio!”.

Lo strumento più utile è stato quello del “sassolino del qui ed ora”, come modo per lasciar andare le preoccupazioni sul futuro e sul passato portando la consapevolezza al presente, al pari della pratica di gentilezza amorevole, in combinazione con un dialogo interno gentile verso di sé o verso gli altri.
Non solo, un certo numero di partecipanti ha anche espresso la preziosa utilità dell’apprendimento della componente dell’autocompassione come parte dell’esperienza dell’umano.

“In qualunque modo tu ti possa sentire, non sei solo in questo. Qualcun altro sente quello che stai provando tu, sa da dove vieni, sebbene tu creda che nessuno possa capirti, ci sarà qualcuno che lo comprende appieno”.

Un altro partecipante ha riportato che la mindfulness lo ha aiutato a focalizzarsi e concentrarsi sui lavori scolastici.
I partecipanti hanno anche riportato alcuni suggerimenti per eventuali variazioni e adattamenti di alcuni aspetti del programma che non hanno funzionato molto bene a loro avviso. In particolare, la maggior parte di loro ha riportato aspetti legati alla pratica formale a casa; ad esempio che fosse disagevole e dispendioso accedere al sito per ascoltare le tracce guida, troppo lunghe. Al contrario la pratica dell’essere nel momento presente, applicabile in qualsiasi momento di stress (come il sassolino del qui ed ora) è stata molto apprezzata. E’ stato anche suggerito l’invio di e-mail infrasettimanali come promemoria per la pratica.

Nel corso del programma delle 6 settimane, i partecipanti hanno sviluppato una maggior comprensione del costrutto dell’auto-compassione. Diversi partecipanti hanno dichiarato di iniziare a basare la propria valutazione di sé in base a questa capacità più che al considerarsi come buoni in funzione della loro performance, ottenendo un beneficio nel ridurre la quota di ansia scolastica, maggiori risultati positivi nello stesso rendimento, la riduzione di rimuginio, maggior tolleranza verso i propri errori, una maggiore facilità ad addormentarsi, una maggior capacità nello stabilire le priorità (discernere ciò che è importante e necessario fare nell’immediato rispetto a ciò che può aspettare) e nel prendere decisioni.
Un dato interessante di questo studio, contrastante rispetto alla letteratura generale, è che il grado di pratica al di fuori del setting scolastico non sembra correlare con il miglioramento significativo delle capacità di mindfulness e autocompassione, che sembrerebbe ascrivibile alla mera frequenza della classe e ad una più generale operazione meta-riflessiva.
Il MFY risulta dunque promettente come programma per incrementare il benessere psicosociale negli adolescenti. Tuttavia, trattandosi di uno studio pilota, sono necessari ulteriori studi per sostanziare l’evidenza scientifica. Nello specifico sarebbe utile ottenere misure più a lungo termine e analizzare più in profondità i meccanismi sottesi all’efficacia clinica.

Karen Bluth e la sua équipe hanno condotto un ulteriore studio che ha coinvolto ragazzi di età compresa tra i 13 i 18 anni, fornendo maggiore sostanza empirica al costrutto dell’auto-compassione. I partecipanti sono infatti stati testati in laboratorio tramite il protocollo sperimentale Trier Social Stress Test (Kirschbaum et al., 1993) per ottenere una valutazione di baseline della risposta fisiologica di stress. Il Trier Social Stress Test ha previsto 5 minuti per la preparazione di un discorso, 5 minuti per il discorso e 5 minuti per un compito matematico (sottrarre 7 a partire da 2023) di fronte a due membri di una commissione valutativa, mentre venivano audio videoregistrati di fronte ad una telecamera.

Il protocollo sperimentale è stato opportunatamente adattato alla popolazione adolescente: il tema del discorso era incentrato sul tipo di lavoro estivo ideale e veniva data la consegna ai valutatori di non assumere un’espressione facciale totalmente neutra e fredda, dal momento che è stato riscontrato in letteratura che può indurre una maggiore vulnerabilità al pianto, specialmente nelle ragazze adolescenti. Nelle diverse fasi sperimentali sono stati misurati, ad intervalli di tempo regolari (es: ogni tre minuti), la pressione sanguigna (BP- blood pressure), la frequenza del battito cardiaco (HRV- heart rate variability) e il tasso di cortisolo tramite un campione salivare. Le stesse misure sono state raccolte in una successiva fase di riposo (recovery), della durata di 20 minuti.

Successivamente il campione di soggetti è stato suddiviso in due gruppi: il gruppo ad alta autocompassione (HSC, High Self Compassion) e il gruppo a bassa autocompassione (LSC, Low Self Compassion). Nel primo gruppo è stato riscontrato un maggior numero di soggetti maschi; questo dato è in linea con altri studi precedenti (Bluth e Blanton, 2014) secondo cui i maschi risulterebbero maggiormente autocompassionevoli rispetto alle femmine.
Tuttavia tra i due gruppi, HSC e LSC, non sono emerse differenze statisticamente significative rispetto al parametro della frequenza del battito cardiaco, sebbene si sono osservati incrementi di minor intensità nella HRV durante il test di stress (discorso e compito aritmetico) nel gruppo alta autocompassione rispetto al gruppo bassa autocompassione.

Il gruppo alta autocompassione mostra altresì un tasso globale di cortisolo più basso, indicativo di una minor intensità di risposta fisiologica di stress.
Una possibile spiegazione dell’assenza di una differenza significativa tra i due gruppi nella HRV è presumibilmente amputabile alle differenze di genere nella reattività cardiovascolare e dell’asse ipotalamo- ipofisi-surrene (più marcata nei maschi) e nella differente strategia di coping utilizzata: coloro che risultano avere una più bassa misura nell’autocompassione sembrerebbero ricorrere ad un maggior irrigidimento come modalità di autoregolazione, che quindi provoca un incremento della frequenza cardiaca, contrariamente al gruppo di soggetti con più alta autocompassione che ricorrono all’auto-rassicurazione e consolazione.

Gli autori dunque hanno fornito una prima evidenza empirica sul ruolo dell’autocompassione quale fattore protettivo in risposta ad eventi sociali stressanti. Gli adolescenti con maggior autocompassione sono più capaci di fornire supporto a se stessi, di consolarsi in momenti critici, proteggendosi dal potenziale effetto negativo di eventi stressanti quotidiani (ad esempio il non ricevere un invito ad una festa). Bluth e collaboratori suggeriscono di intendere l’autocompassione come una forma di supporto sociale interiorizzata.

Sebbene vi siano diversi limiti nello studio (bassa numerosità campionaria, sbilanciamento di genere con prevalenza di soggetti di sesso femminile, mancata considerazione di fattori quali razza, etnia, status socioeconomico, fattori culturali e tipo di educazione ricevuta), esso suggerisce l’opportunità di coltivare l’autocompassione come risorsa personale aggiuntiva in grado di promuovere un maggior benessere emotivo e ponendo le fondamenta per una sana traiettoria di sviluppo.

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