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Essenza e operatività della psicoterapia cognitiva. Un seminario di Studi a Palermo

Il 18 aprile Roberto Lorenzini ha tenuto un seminario a Palermo e ha illustrato i principi cardine della psicoterapia cognitivo comportamentale.

Di Angela Ganci

Pubblicato il 15 Mag. 2017

Si è svolto a Palermo il 18 aprile scorso, nella ridente sede di Villa Niscemi, il seminario di studi condotto dal professor Roberto Lorenzini, psichiatra psicoterapeuta e direttore didattico IGB Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva Sede di Palermo, che ha illustrato i principi cardine su cui si fonda l’approccio cognitivo al funzionamento della mente e i principi base su cui, a partire da tali presupposti, poggia la psicoterapia cognitiva.

 

Metacognizione e dipendenze - nuove prospettive terorico-cliniche - Workshop Palermo - Istituto TolmanIl cognitivismo nasce nella prima metà del Novecento negli Stati Uniti ad opera di autori come Beck – spiega Lorenzini – L’idea centrale è che le emozioni siano influenzate dai pensieri e che siano questi ultimi a determinare la realtà, costituita dalle interpretazioni mediate dall’azione di schemi e credenze con origini nell’infanzia”.

Ciò che è rilevante quindi, più che la realtà in sé, il modo in cui noi parliamo a noi stessi, è il dialogo interno che fornisce la nostra personale visione di noi e del mondo, tanto nella salute quanto nella patologia.

Esemplificando: se arriva il mio capo e non mi saluta, posso interpretare in modi diversi questo evento, a cui seguiranno diverse emozioni, frutto di altrettante interpretazioni. Così se penso Chi si crede di essere? adotto una valutazione da cui scaturisce rabbia; se penso Che ho fatto? mi sentirò preoccupato; ancora se penso Qui nessuno si accorge di me, mi sentirò depresso. Ecco che la depressione si spiega con tipici pensieri negativi di inutilità che risalgono a un’età precoce dello sviluppo: le vicende infantili sono determinanti nella valutazione di se stessi e del mondo e ciò contrasta con il luogo comune secondo cui il cognitivismo non si interesserebbe del passato”.

Quali sono nel dettaglio gli elementi strutturali del cognitivismo, con particolare riferimento alle credenze che tanta importanza hanno nella strutturazione del proprio mondo?

Gli elementi essenziali del cognitivismo sono gli scopi e le credenze. I primi guidano il comportamento e sono in parte automatici, come nel comportamento predatorio, e in parte appresi, per cultura, modificandosi nel tempo. Le credenze sono la fotografia della realtà, e fanno scegliere una strada piuttosto che un’altra per raggiungere il nostro scopo. La caratteristica centrale delle credenze è la loro inerzia, la loro resistenza al cambiamento – continua Lorenzini – Esemplificando: la credenza per cui tutti mi devono amare è adattiva almeno in età precoce, quando l’interesse del bambino è l’amore dei genitori; non è più adattiva a quarant’anni poiché non è possibile essere amati da tutti. Ecco che, spinto da questa credenza, metterò in atto determinati comportamenti, come l’eccessiva richiesta di attenzioni, che avranno solo l’effetto di allontanare gli altri. Ugualmente dalla credenza per cui stare da solo è terribile seguirà un comportamento di eccessivo attaccamento agli altri, e facilmente ciò condurrà all’essere lasciati. Insomma, il meccanismo nevrotico fà sempre gli stessi errori, amplificandoli. Obiettivo della psicoterapia orientata alla modificazione delle credenze disfunzionali sarà pertanto individuare differenti strategie di perseguimento degli scopi o, se lo scopo è irraggiungibile, imparare a cambiare strada”.

Quali le opzioni offerte dalla psicoterapia cognitiva per il miglior adattamento della persona agli scopi vitali per il suo benessere, in particolare la vicinanza emotiva?

Il primo passo è la presa di consapevolezza del carattere disadattivo delle credenze, che limitano di fatto la realizzazione personale e sociale, attraverso una presa di distanza critica (Quello che penso è utile? Mi serve?). Il secondo passo è l’adozione di pensieri più realistici, che consentano di raggiungere più agevolmente gli scopi, tecnica nota come ristrutturazione cognitiva. Obiettivi che possono essere raggiunti solo attraverso un’adeguata relazione terapeutica, entro la quale si gioca la partita: infatti il terapeuta, a differenza degli altri, non deve compiacere il paziente e le sue credenze, di modo che il paziente stesso possa individuarne la problematicità”.

Strategie differenziate e molteplici per raggiungere gli scopi, ovvero più scopi per la propria vita, dalla famiglia al lavoro agli amici, affinché l’eventuale insuccesso in un’area non determini il crollo dell’intero mondo della persona. E di crollo della realtà, di frattura di senso e di necessità di ricostituire un senso nuovo è stata dedicata la seconda parte della lezione, attraverso la disamina dei pensieri deliranti e del lavoro terapeutico con i disturbi psicotici.

Partiamo dalla considerazione che il pensiero delirante si pone in continuità con quello normale e che non necessariamente è bizzarro, come nel pensare che qualcuno mi vuole male; ciò che ovviamente caratterizza il delirio è la sua impenetrabilità ovvero la resistenza alla critica, che diventa il punto focale dell’intervento – continua Lorenzini – La relazione terapeutica, decisiva per il buon esito terapeutico, dev’essere incentrata sull’ascolto attivo e non giudicante e tendere alla critica del delirio, spingendo il paziente a formulare ipotesi alternative (meno angoscianti) alle credenze psicotiche. Ciò in vista della riformulazione di un progetto esistenziale che dia dignità e una migliore qualità della vita, un risanamento a quel senso inaccettabile di invalidazione di temi fondamentali, che costituiscono i pilastri dell’identità, come ad esempio l’essere un buon padre, che possono aver dato origine al delirio paranoico”.

Un compito complesso, in cui il terapeuta mette in moto empatia, tecnica, abilità che si scontrano con meccanismi di difesa difficili da smantellare, poiché utilizzati al fine di dare un senso a un vissuto che improvvisamente e irrimediabilmente risulta arcano, perduto, negato.

Un percorso impegnativo di natura psicologica da accostare a un supporto farmacologico, benchè l’attuale stato dei servizi non possa vantare un reale ed efficace utilizzo della componente non farmacologica della cura. “Per la psicosi prevale ancora il modello medico e socio-riabilitativo sul modello psichiatrico della legge 380. La psicoterapia a mio avviso sembra limitarsi a favorire l’aderenza ai farmaci e a far accettare costruttivamente il problema, funzioni limitative rispetto alle competenze proprie dello psicoterapeuta. Per il futuro confido nella sensibilità delle istituzioni per un coinvolgimento maggiore dei professionisti della mente nel trattamento di patologie di ogni livello di gravità” conclude Lorenzini.

 

 

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Angela Ganci
Angela Ganci

Psicologia & Psicoterapeuta, Ricercatrice, Giornalista Pubblicista.

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