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Paranoia e complottismo: quali sono le differenze?

La paranoia si associa all' egocentrismo che viene però vissuto come fonte di tortura mentre nel complottismo l'egotismo è gratificante e viene ricercato.

Di Giampaolo Salvatore

Pubblicato il 10 Mag. 2017

Aggiornato il 04 Set. 2023 10:52

Paranoia e complottismo: Mentre il paranoico lotta con tutte le forze contro la percezione della propria vulnerabilità ontologica, molti complottisti scimmiottano la diffidenza, brandiscono una paranoia-giocattolo, solo per alimentare una forma di autocompiacimento, per la ricerca narcisistica di apprezzamento speciale, di distinzione dalla massa. Il paranoico è egocentrico, e per lui questo egocentrismo è fonte di tortura; il complottista è egotista, e per lui questo egotismo è fonte di gratificazione.

 

Ho letto gli articoli di Giovanni Maria Ruggiero intitolati L’origine del complottismo: dalla landa delle ipotesi ragionevoli alle terre selvagge dei deliri e Credulità e paranoia nel Bel Paese: gli italiani sono più creduloni o complottisti?

Li ho trovati piacevoli, incisivi, stimolanti. Porto con me due punti importanti: 1) di fronte al caos, a eventi inspiegabili, crudeli, apparentemente contronaturali, la nostra mente è incapace di accettazione silenziosa; ricorda piuttosto un nerd saccente: usa troppo la logica, riscrive il mondo creando trame contorte purché prevedibili; essenzialmente perché l’imprevedibilità, il caos, per la nostra mente sono indigesti; 2) C’è una parentela strettissima tra recettività alle astrusità complottistiche e paranoia (“credulità e paranoia sono gemelle separate”, dice Giovanni): entrambe creano, personificano un “nemico” esterno, tallonano colpevoli diabolici per dare soluzione a problemi che è meglio non affrontare: nel caso del complottismo, il senso collettivo di impotenza rispetto alla noncurante spietatezza della natura; nel caso della paranoia, il dolore riferito di una ferita interna all’individuo, l’eco di “qualche aspetto spiacevole o indesiderabile della propria vita” che si insinua tra gli interstizi della coscienza.
Tutto convincente.

E’ vero: l’analogia tra paranoia e ideazione complottistica è indirettamente corroborata dalla ricerca. Idee a sfondo persecutorio e complottistiche possono presentarsi in forme più o meno sfumate anche nella popolazione generale (Chapman & Chapman, 1980; Claridge, 1997; Freeman, 2007; Peters, Joseph, & Garety, 1999; Shevlin, Murphy, Dorahy, & Adamson, 2007; Strauss, 1969). Questo assunto è tra l’altro coerente con l’idea che l’ideazione paranoide possa rappresentare una strategia adattativa appropriata a fronte di pericoli reali che è possibile incontrare nei contesti sociali (Gilbert, 2005). In altre parole, la paranoia può essere considerata un’euristica del tipo better safe than sorry (Gilbert, 1989) che non è appannaggio esclusivo dei “paranoici”: in termini di sopravvivenza, meglio sovrastimare la probabilità che l’altro sia malevolo e possa danneggiarmi piuttosto che stimare realisticamente quella probabilità per poi dovermene pentire anche solo una volta.

 

Le differenze tra la paranoia e il complottismo

Ok, diciamo che il complottismo è una forma di paranoia parafisiologica presente in grado variabile nell’essere umano e pure etologicamente fondata. Però per me pensare a questa continuità tra paranoia e complottismo è allo stesso tempo un invito forte a cercare le differenze tra le due. Un po’ come in quel gioco della Settimana Enigmistica, in cui ci sono due vignette apparentemente uguali, ma che differiscono per (di solito sette) piccoli particolari.

A questo punto mi viene in mente il marito morbosamente geloso del film “L’Enfer” di Claude Chabrol. Un uomo perfettamente adattato al suo ambiente, che sviluppa progressivamente il convincimento delirante che la moglie lo tradisca, e pure in un modo per lui particolarmente umiliante. Arriverà a ucciderla, convinto di essere nel giusto.

Poi mi sono venuti in mente alcuni miei pazienti. Un mio paziente di 32 anni costruì gradualmente il delirio in base al quale i servizi segreti dell’azienda per cui aveva appena iniziato a lavorare subito dopo la laurea avessero organizzato un complotto ai suoi danni con l’intento di ucciderlo. La terapia lo aiutò a capire che il suo delirio era la risposta alle situazioni, frequenti, in cui si sentiva debole fisicamente, fragile rispetto a un altro percepito come forte e dominante: Una questione di sopravvivenza…di essere alla mercé del più forte, disse una volta.

Un’altra mia paziente, 26 anni, la notte successiva alla rottura di un breve rapporto sentimentale con un coetaneo si svegliò in preda all’angoscia e sentì la voce del ragazzo che le impartiva ordini su come comportarsi con i genitori. Si convinse gradualmente che il ragazzo stesse ordendo con la sua banda un piano per abusare di lei sessualmente. La ragione, confessata con enorme imbarazzo: la banda la considerava sessualmente irresistibile. In una seduta della fase avanzata della terapia disse “Il nocciolo del problema sta in questo senso di inferiorità […] per tutta l’adolescenza ho avuto fortissima questa sensazione […]. Anche con le mie amiche avevo la sensazione che mi volessero danneggiare perché era come se andassero a colpire il mio punto debole…

Emil Kraepelin ci sarebbe andato a nozze. Tutti questi soggetti rientrano nella sua definizione di paranoia (1919) come psicosi caratterizzata da uno sviluppo progressivo di idee deliranti sistematizzate, incentrate su temi vari quali la grandezza, la persecuzione o l’infedeltà. Nosologia a parte, in tutti e tre i casi il soggetto si sente a livello preriflessivo, somatico, vulnerabile rispetto all’altro, che è percepito come dominante. La condizione più temuta per il sé è quella di subordinazione, sottomissione e inferiorità rispetto all’altro. Per chi voglia approfondire, io e i miei colleghi analizziamo nel dettaglio questo aspetto nel nostro manuale Terapia Metacognitiva Interpersonale della Schizofrenia (Salvatore, Dimaggio, Ottavi, Popolo, 2017).

Poi ho pensato al complottismo. E mi è subito venuta in mente una complottista convinta. Un’amica di mia moglie.
Per lei il vaccino trivalente è ovviamente causa di autismo. Tutte le volte che per contratto coniugale mi sono costretto a incontrarla, l’ho sentita delirare su multinazionali dei vaccini che ostacolano diabolicamente la presa di coscienza da parte della collettività di una verità così fondamentale. (Per inciso, pensava che Wakefield fosse la denominazione di una di queste multinazionali. Doveva aver carpito il nome da una conversazione e averlo poi leggermente decontestualizzato). Se penso all’amica di mia moglie però faccio un po’ fatica ad attribuirle un’incapacità di silenziare la mente razionale e di impedirle di mettersi al servizio di una diffidenza paranoide. Faccio fatica, insomma, a scorgere in casi come questo quell’iperproduzione di concatenazioni logiche che caratterizza l’ideazione complottistica, e che la rende per certi versi simile ai processi della paranoia. Vedo qualcos’altro. Qualcosa di più sottile. E insopportabile. E qui mi sa che si gioca la più importante differenza tra complottismo – almeno in casi come questo – e paranoia.

Mentre il paranoico lotta con tutte le forze contro la percezione della propria vulnerabilità ontologica, molti complottisti scimmiottano la diffidenza, brandiscono una paranoia-giocattolo, solo per alimentare una forma di autocompiacimento, per la ricerca narcisistica di apprezzamento speciale, di distinzione dalla massa. Il paranoico è egocentrico, e per lui questo egocentrismo è fonte di tortura; il complottista è egotista, e per lui questo egotismo è fonte di gratificazione. Il protagonista de L’Enfer, i pazienti che ho citato, e tanti altri che seguo, lottano per la loro sopravvivenza, l’amica di mia moglie lotta per affermare se stessa auto-alimentando la credenza di riuscire a vedere cose che gli altri non vedono, di essere più intelligente di chi la circonda, della moltitudine di incoscienti che ancora continuano a far vaccinare i propri figli.

Il paranoico ha onore, e onestà intellettuale: affronta il suo nemico sul campo. Molti complottisti cercano riscatto dall’insulto dell’anonimato, e in questo sono piuttosto codardi: per il complottista, come dice Giovanni, il nemico deve essere potente e invisibile, in modo tale che se pure riempirà il cielo di strie chimiche e la terra di bambini autistici, al complottista sarà bastato fargli “tana” e raccontare agli amici la propria astuzia (purtroppo, anche ai mariti degli amici!); poco importa se poi “si rassegnerà al dominio di quel nemico e si sentirà emendato dalla responsabilità di contrastarlo”.
E poi, un’altra differenza. Direi definitiva. I pazienti che ho citato sopra hanno chiesto aiuto. È successo quando si sono sentiti sfiancati dalla loro stessa diffidenza, o irrimediabilmente assediati da un nemico che era ormai ovunque. I complottisti – soprattutto quelli come l’amica di mia moglie – non chiederanno mai aiuto; devono convincerci del fatto che siamo noi ad avere urgente bisogno del loro, di aiuto.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Chapman L.J. & Chapman J.P. (1980). Scales for rating psychotic and psychotic-like experiences as continua. Schizophrenia Bulletin, 6: 476–489.
  • Claridge G. (1997). Schizotypy: Implications for Illness and Health. Oxford: Oxford University Press.
  • Freeman D. (2007). Suspicious minds: The psychology of persecutory delusions. Clinical Psychology Review, 27: 425–457.
  • Kraepelin, E. (1919). Dementia praecox and paraphrenia. Di G.M. Robertson (Ed), Huntington (NY), Robert E. Krieger, 1971.
  • Gilbert P. (1989). Human Nature and Suffering. London: Routledge.
  • Gilbert P. (2005). Compassion and cruelty: A biopsychosocial approach. In P. Gilbert (editor), Compassion: Conceptualisations, Research and Use in Psychotherapy (pp. 9–75). London: Routledge.
  • Peters E.R., Joseph S.A. & Garety P.A. (1999). Measurement of delusional ideation in the normal population: Introducing the PDI (Peters et al. Delusions Inventory). Schizophrenia Bulletin, 25: 553–576.
  • Salvatore, G., Dimaggio, G., Ottavi, P., Popolo, R. (2017). Terapia Metacognitiva Interpersonale della Schizofrenia. Franco Angeli.
  • Shevlin M., Murphy J., Dorahy M.J. & Adamson G. (2007). The distribution of positive psychosis-like symptoms in the population: A latent class analysis of the National Comorbidity Survey. Schizophrenia Research, 89: 101–109.
  • Strauss J.S. (1969). Hallucinations and delusions as points on continua function. Archives of General Psychiatry, 20: 581–586.
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