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Tutti in maschera, la sincerità al museo

La bugia fonda l’identità, eppure dai racconti dei pazienti si evince il prezzo delle finzioni: la menzogna sembra essere maschera della vulnerabilità

Di Giancarlo Dimaggio

Pubblicato il 05 Mag. 2017

In seduta Julien si mostra annoiato, l’idea di avere una parte vulnerabile gli suscita ribrezzo. Alla domanda della terapeuta: “Perché hai bisogno di presentarti così?”, la prima risposta è raggelante: “Perché sono un figlio dei tempi, un solitario idolatra trasgressivo”.

Un articolo di Giancarlo Dimaggio, pubblicato il 09/04/2017 su LA LETTURA del Corriere della Sera

 

Il suo vero nome è Andrea, ma si fa chiamare Julien, si irrita con chi non si attiene alla norma. Sedici anni e indossa lenti a contatto colorate: una gialla e una viola, mai dare riferimenti certi. Estate e inverno, non si stacca mai dal cappotto di pelle. Si ispira a Neo di Matrix, copia Marylin Manson, la sua regola è: attira l’attenzione, presentati forte. Perché è in psicoterapia? Ce l’hanno mandato i genitori, angosciati dai pensieri di suicidio che hanno letto sul diario. In seduta Julien si mostra annoiato, l’idea di avere una parte vulnerabile gli suscita ribrezzo. Alla domanda della terapeuta: “Perché hai bisogno di presentarti così?”, la prima risposta è raggelante: “Perché sono un figlio dei tempi, un solitario idolatra trasgressivo”.

Qualche mese dopo la risposta sarà: “Perché mi sento debole e se guardano quel lato di me vedono un verme e mi vergogno. La vita ha senso se vinci, senza la maschera sei spacciato”. Un segno dei tempi: la menzogna come coperta per la macchia, la vergogna come vera legge del comportamento, la sincerità un’arte da rinchiudere in musei polverosi.

Eppure la bugia nasce con un senso: fonda l’identità. Il bambino che mente sta imparando a tenere il mondo interno libero dall’influenza colonizzante dell’adulto, e a realizzare i propri piani anche in assenza di approvazione. Il bambino che non sa mentire resterà a vita un’appendice non pensante del genitore.

La sincerità, d’altra parte, nel museo ci sta stretta. Dobbiamo sapere a chi credere, chi è la fonte attendibile d’informazioni. La gran parte di quello che i bambini apprenderanno non sarà frutto di esperimenti scientifici condotti in prima persona. Assorbiranno conoscenza trasmessa e quindi l’attendibilità della fonte assume un’importanza tremenda.

La capacità di fidarsi lo psicologo cognitivo Dan Sperber la chiama fiducia epistemica: credere che una persona ci stia fornendo informazione sincera e rilevante. Se minata, secondo lo psicoanalista Peter Fonagy, si radica la psicopatologia: il mondo diventa pericoloso e confonde. La fiducia epistemica si trasfonde nella mente del bambino da un interlocutore sincero. La salute mentale dipende da questo, la frattura della fiducia primaria crepa le relazioni umane. Fiducia epistemica non implica ingenuità, ma sapere a chi credere, quando, e a quali condizioni.

Ha ragione Julien: liberarsi della sincerità è il gesto che segna la nostra epoca? Drammaticamente probabile. Non si pensi alla cosiddetta post-verità: termine noioso, parola di moda che presto non ricorderemo: chi detiene il potere ha sempre divulgato informazione falsa. Di fatto, generare illusioni è un’arte che ultimamente alletta da pazzi.

Il prezzo delle finzioni noi psicoterapeuti lo calcoliamo dai racconti dei nostri pazienti, Julien ha mille fratelli e sorelle. Livia è una trentenne proprietaria di un circolo sportivo. Beve troppo si sente sola e ha ventitré identità sui social, segnalate in aumento. Ne trae piacere, conosce uomini, si fa portare a letto ma al mattino non parla, troppa fatica essere coerente con la maschera indossata la sera prima. Il terapeuta presto scopre che: il padre era prepotente e considerava Livia un’idiota e lei oggi è d’accordo. Inoltre: è cresciuta con l’idea di dover rendere felici tutti, ma alla fine della giornata non sa più cosa vuole per sé. Costruirsi avatar la consola: gratificazione virtuale e sesso reale a costo basso e nessuno di cui dovere prendersi cura. Il verdetto finale glielo dà lo specchio: chi sei? Cosa vali? Spietate le risposte: nessuno e niente.

Alla fine si tratta di scegliere: la sincerità, ben dosata, rinsalda la generazione successiva. Mentire è un gioco bellissimo, ottimo per individuarsi. Ma anche per avere mille rapporti gratificanti a breve e neanche un futuro.

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Giancarlo Dimaggio
Giancarlo Dimaggio

Psichiatra e Psicoterapeuta - Socio Fondatore del Centro di Terapia Metacognitiva-Interpersonale

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