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Empowerment nello sport e disabilità: come favorire lo sviluppo e la crescita personale

Lo sport può favorire anche negli atleti con disabilità l' insegnamento di valori positivi e la costruzione di un carattere e di un fisico più forte.

Di Federica Liso

Pubblicato il 29 Mag. 2017

Aggiornato il 28 Mar. 2019 13:24

In uno studio di ricerca di Pensgaard e Sorensen si esaminano alcuni aspetti dello sport, nell’ottica di potenziamento del contesto per chi partecipa, con una speciale enfasi sugli atleti con disabilità. Vi è una tendenza nel mondo occidentale a promuovere l’integrazione delle persone con disabilità fisica, anche nello sport. Lo sport, dunque, è stato considerato un insegnamento di valori positivi, come la costruzione di un carattere e di un fisico più forte e più maturo.

Federica Liso, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI SAN BENEDETTO DEL TRONTO

 

Il concetto di empowerment

Chiamano disabili, atleti che fanno i 50 all’ora in bici, i 100 metri in 11”, saltano in alto 2 metri, corrono la maratona da non vedenti in 2h35’, lascio a voi valutare chi è il disabile nella vita comune.” Fabrizio Tacchino (Allenatore)

Tra le parole straniere ormai di uso corrente, “empowerment” è una delle poche a non avere ancora un preciso corrispettivo nella lingua italiana. Il termine deriva dal verbo inglese “to empower” che in italiano viene comunemente tradotto con “conferire poteri”, “mettere in grado di”. Letteralmente questo termine significa “potenziamento”, “responsabilizzazione”, “aumentare il proprio potere interno”, anche se empowerment è un concetto talmente complesso di cui è difficile dare una definizione unica ed esaustiva, perché, più che una categoria chiusa, esso è una costellazione di elementi collegati tra loro. Anche se la definizione è ancora un po’ troppo vaga, il termine trova una sua specificazione se applicato in alcuni degli ambiti in cui, sin dagli anni Sessanta, il concetto di empowerment è presente, come la politica, la psicologia, la medicina, l’organizzazione aziendale, la formazione.

Per l’essere umano, avere potere su se stesso, sentirsi ed essere efficace, avere la consapevolezza di poter incidere sugli eventi, godere di una buona autostima, considerare gli insuccessi come momento di apprendimento, sono parte di una condizione psicologica ben specifica. Tale condizione, però, non è data una volta per tutte, ma rappresenta un cammino che favorisce la speranza nel futuro e che permette di percepirsi come persone capaci di cimentarsi e riuscirci. E’ una persona capace di affrontare la vita e le sue sfide, capace di attraversare successi e insuccessi mantenendo saldo il potere su se stesso e arricchendo quotidianamente il suo “potere con l’altro”.

Un’ottica basata sull’empowerment prevede interventi di sostegno e di proposta di nuove opportunità sociali, secondo tre direzioni:
– generare alternative in modo immediato;
– far conoscere come e dove avere accesso alle risorse;
– incrementare l’autostima e la motivazione.

Un filone importante di studi è stato sviluppato nell’area della psicologia della comunità, ben rappresentata dalle ricerche di Zimmermann, che definisce il concetto di empowerment come il passaggio, per un individuo, dalla condizione di “learned helplessness” (impotenza appresa) a quella di “learned hopefulness” (percezione appresa di essere capaci), acquisito mediante la partecipazione attiva all’interno della comunità in cui è inserito.

Si evidenziano due principali differenti prospettive: una psico – sociologica ed una socio – organizzativa. Nel primo approccio, il principio guida è che, per produrre empowerment organizzativo, è necessario operare contestualmente sulle dimensioni individuali ed organizzative, dove le persone dipendenti e senza “potere” nell’organizzazione, possano sviluppare contemporaneamente un sentimento del proprio valore ed un maggior controllo sulla situazione lavorativa. Il secondo approccio (socio – organizzativo), considera due livelli, uno micro – organizzativo e uno macro – organizzativo, rilevando la determinante funzione ed interazione tra valori ed etica che concorrono a formare e rendere visibile la cultura di un’organizzazione.

L’empowerment nello sport e la disabilità

L’empowerment è visto, dunque, come un processo progressivo di adattamento, che non implica necessariamente una situazione iniziale di disagio o svantaggio. In altri termini, l’empowerment aumenta la qualità organizzativa nella misura in cui aumenta l’interazione sociale, intesa come il processo di apprendimento e di negoziazione di significati che intercorre tra gli attori sociali, tramite le loro reciproche azioni.

In particolare, il Comitato Paralimpico Internazionale dello Sport, ha definito l’empowerment come un tema di ricerca prioritario all’interno del settore della disabilità sportiva: “il processo attraverso il quale gli individui sviluppano le competenze e le capacità di ottenere il controllo sulla propria vita e di intervenire per migliorare la loro situazione di vita”.

In uno studio di ricerca di Pensgaard e Sorensen si esaminano alcuni aspetti dello sport, nell’ottica di potenziamento del contesto per chi partecipa, con una speciale enfasi sugli atleti con disabilità. Vi è una tendenza nel mondo occidentale a promuovere l’integrazione delle persone con disabilità fisica, anche nello sport. Lo sport, dunque, è stato considerato un insegnamento di valori positivi, come la costruzione di un carattere e di un fisico più forte e più maturo. D’altra parte, lo sport è stato, anche, criticato per essere troppo concentrato sul miglioramento delle prestazioni e di essere indifferente, sia al ruolo dello sport come cultura pratica, fisica e psicosociale, sia alle conseguenze degli atleti con disabilità. La questione è definire quali aspetti siano positivi o negativi e quali siano in grado di influenzare l’esperienza sportiva per le persone con disabilità fisica o psicologica.

Il disabile convive con pesanti modificazioni della propriocezione, della esterocezione, delle sensazioni relative al dolore/piacere; alcuni piaceri gli sono preclusi, alcuni dolori diventano abituali o comunque più frequenti della norma e alcune sensazioni muscolari sono assenti dalla nascita o sono improvvisamente sparite. Il quadro affettivo legato alla propria immagine psichica risente sia dei connotati negativi risultanti dalla propria figura riflessa nello specchio, che del giudizio degli altri. Nell’affrontare un contesto sociale c’è dunque una inibizione determinata dalla coscienza di disporre di un corpo imperfetto. Queste sono le premesse fondamentali dinnanzi alle quali si trovano sia il disabile che vuole intraprendere l’attività sportiva, sia il tecnico che insieme a lui deve affrontare un percorso complesso e a volte difficile.

Si fonda tutto sull’integrazione di questi atleti e come ciò potrebbe modificare il proprio livello di empowerment. Si tratta, dunque, di capire se gli atleti con disabilità perdono il loro “potere” oppure riescono, attraverso l’integrazione, a diventare atleti qualificati. Un aspetto importante consiste nel saper fronteggiare sia gli aspetti tecnici della disciplina, sia le dinamiche che si sviluppano nella relazione.

In base a quanto espresso finora si può comprendere come il disabile rappresenti una sfida ancor più ardua per il tecnico che si trova a lavorare con lui. Infatti, nel caso della disabilità fisica si assiste ad una compromissione del piano corporeo/motorio e, conseguentemente, di quello emotivo, invece nel caso della disabilità mentale la compromissione investe anche il piano cognitivo. Ciò comporta una grande difficoltà, a seconda del grado di disabilità, rispetto alla capacità di percepire e pensare di se stessi e degli altri; elaborare i propri ed altrui stati emotivi; saper contenere i propri stati emotivi; comunicare con il mondo esterno; essere attenti; saper apprendere e memorizzare; essere motivati.

Per un disabile la pratica regolare dell’attività sportiva riveste i seguenti vantaggi:
– rispetto ad un piano cognitivo migliora la conoscenza del proprio corpo, dello spazio, del tempo e della velocità;
– rispetto ad un piano fisico, incrementa la forza muscolare, la capacità di equilibrio, la cinestesia e la coordinazione motoria, grazie alle ripetizioni consapevoli e finalizzate degli atti motori;
– rispetto ad un piano sportivo, acquisisce le conoscenze tecniche delle varie discipline sportive.

La pratica sportiva produce uno stato di soddisfazione generale, favorisce la disciplina e l’allenamento che, di conseguenza, portano al contenimento degli stati emotivi incrementando la capacità di autocontrollo, in modo da avere la possibilità di aumentare la propria autonomia.

Nella metodologia d’insegnamento proposta, il tecnico deve tener conto delle tappe dello sviluppo psicofisico dell’allievo, in quanto la sua capacità di ricezione ed assimilazione di contenuti e proposte pratiche è strettamente correlata alla sua maturazione psicofisica. Secondo il principio dell’individualizzazione, si considerano le differenze individuali nei ritmi cinetici, nell’efficienza e nell’efficacia causate dal deficit motorio. Il tecnico deve saper apprendere e riconoscere questi diversi aspetti, poiché in base a questi sarà possibile una buona programmazione didattica. La funzione socio – educativa dell’attività motoria aiuta l’individuo a sviluppare al massimo le sue potenzialità, evidenziando ciò che egli è già in grado di fare.

L’individuo disabile, dunque, prima conoscerà se stesso, il suo corpo, in seguito sperimenterà la motricità altrui, imparando ad osservarla, interpretarla e riconoscendone il suo valore espressivo.

Lo sport capovolge la situazione in cui si trova il disabile, egli infatti si trova ad aumentare le proprie attività, ampliando il proprio volume di azione e allargando gli orizzonti fisici. L’allenamento rappresenta la chiave del successo e per la sua programmazione, la relazione tra l’allenatore e l’atleta gioca un ruolo decisivo.

Concludendo, si può constatare come il disabile, spesso per i suoi deficit cognitivi, presenti una difficoltà nell’elaborazione mentale dell’azione da compiere che a volte risulta rigida e poco adattiva. Sarà premura del tecnico fare in modo di riuscire ad evidenziare le potenzialità dell’atleta, mettendolo nelle condizioni più favorevoli per “vincere”.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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  • G. Burgio, lessico oggi: orientarsi nel mondo che cambia, Aggiornamenti Speciali, Rubbettino Editore, 2003.
  • www.bulletin-apa.com
  • http://sds.coniliguria.it
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