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Problemi da affrontare nel trattamento dei disturbi dell’alimentazione in Italia

In Italia sono sono ancora tanti problemi da affrontare per garantire ai pazienti con DCA una cura del disturbo con i migliori trattamenti evidence-based

Di Riccardo Dalle Grave

Pubblicato il 09 Mag. 2017

Aggiornato il 08 Feb. 2024 15:04

Negli ultimi dieci anni sono stati aperti in Italia numerosi servizi clinici per il trattamento dei disturbi dell’alimentazione, ma rimangono molti problemi da affrontare per riuscire ad offrire ai pazienti la garanzia di essere curati con i migliori trattamenti disponibili evidenziati dalla ricerca.

 

In primo luogo, i centri clinici sono distribuiti in Italia a macchia di leopardo, con alcune regioni che sono in grado di fornire ai pazienti tutti i livelli di cura coordinati secondo un modello a rete di centri di riferimenti, mentre in molte altre sono mancanti soprattutto i livelli di cura più intensivi.

In secondo luogo, le opzioni di trattamento offerte ai pazienti affetti da disturbi dell’alimentazione nei servizi clinici esistenti dipendono dalle risorse disponibili e dalla formazione ricevuta da clinici. Anche se sono disponibili trattamenti psicologici evidence-based, come la terapia cognitivo comportamentale migliorata (CBT-E) (Fairburn, 2008) per tutte le categorie diagnostiche dei disturbi dell’alimentazione degli adulti (Poulsen et al, 2014; Fairburn et al. 2009, 2013) e degli adolescenti (Dalle Grave et al. 2013, 2015; Calugi et al. 2015), la terapia psicodinamica focale (FPT) per gli adulti con anoressia nervosa (Zipfel et al. 2014), la psicoterapia  interpersonale (IPT) per la bulimia nervosa (Fairburn et al 2015) e il trattamento basato sulla famiglia (FBT) per gli adolescenti con anoressia nervosa (Lock et al. 2010), essi sono raramente somministrati ai pazienti oppure, quando lo sono, i terapeuti deviano spesso dal protocollo raccomandato dimenticando di utilizzare alcune procedure, oppure omettendole di proposito o introducendo procedure non previste (Waller, 2016).

Nella maggior parte dei casi sono somministrati trattamenti eclettici multidisciplinari evidence-free in cui si combinano, non sempre in modo coerente, psicoterapie generiche di diversa natura con interventi nutrizionali e psicofarmacologici prescrittivi, dettati principalmente dalla formazione ricevuta dai vari operatori e non da un modello teorico comune specifico per la cura dei disturbi dell’alimentazione.

In terzo luogo, in alcuni servizi clinici c’è un’enfasi eccessiva sul ricovero, ed è comune per i pazienti ricevere cure completamente diverse, sia in termini di teoria e contenuti, quando passano da una forma meno intensiva di cura (per es. il trattamento ambulatoriale) a una più intensiva (per es. il trattamento riabilitativo ospedaliero) e viceversa. Questo crea discontinuità nel percorso di cura e disorienta comprensibilmente i pazienti sulle strategie e procedure da utilizzare per affrontare il disturbo dell’alimentazione. Alcuni centri di ricovero, inoltre, hanno liste d’attesa eccessivamente lunghe.

Infine, pochi centri clinici raccolgono dati sull’esito dei trattamenti a breve e a lungo termine.

Non c’è una soluzione unica a questi problemi. Un aumento delle risorse dedicate al trattamento dei disturbi dell’alimentazione potrebbe aiutare, ma forse un migliore utilizzo di quelle disponibili potrebbe essere una strategia ancora più efficace.

L’obiettivo primario per migliorare la situazione attuale dovrebbe essere riuscire a offrire alla maggior parte dei pazienti un trattamento ben somministrato basato sull’evidenza scientifica prima possibile. Le terapie basate sull’evidenza sono poco costose, perché sono somministrate da un “singolo” terapeuta (CBT-E, IPT) o da equipe multidisciplinari (FBT) in 20-40 sedute, e determinano, nei 2/3 dei pazienti che concludono il trattamento (circa l’80%), una remissione duratura dal disturbo dell’alimentazione (Poulsen et al, 2014; Fairburn et al. 2009, 2013; Fairburn et al 2015; Lock et al. 2010). I vantaggi di questi trattamenti, che includono alti livelli di efficacia e bassi costi sono, però, realizzabili soltanto se i terapeuti hanno ricevuto una formazione adeguata, altrimenti i tassi di risposta si riducono drasticamente.

In Italia purtroppo anche i terapeuti specializzati nel trattamento dei disturbi dell’alimentazione, raramente ricevono una formazione sulle psicoterapie basate sull’evidenza. Per tale motivo è necessario sviluppare nuove modalità di formazione, per esempio corsi post-universitari specificatamente costruiti per formare i terapeuti e far acquisire loro le abilità necessarie per usare queste forme di psicoterapia. I corsi dovrebbero includere le metodologie abitualmente usate per formare i clinici negli studi controllati, come la disponibilità di un manuale, l’uso di un approccio didattico interattivo, l’osservazione di sedute attuate da esperti, la pratica del role-playing e la registrazione delle sedute per far valutare a dei colleghi la fedeltà al protocollo del trattamento.

Ai pazienti che non rispondono alle psicoterapie basate sull’evidenza scientifica dovrebbero essere offerti trattamenti più intensivi come il day-hospital o il ricovero in centri di riferimento altamente specializzati. In questi centri è offerta in genere una vasta gamma di procedure mediche, psichiatriche, psicologiche ed educative evidence-free spesso incoerenti tra loro che forniscono messaggi contraddittori ai pazienti senza un razionale teorico. Per far fronte a questo problema è auspicabile che anche nei centri intensivi di cura sia offerto ai pazienti un approccio coerente possibilmente basato sulla teoria e che i terapeuti, pur mantenendo i loro ruoli professionali specifici, condividano la stessa filosofia e adottino interventi basati sull’evidenza. Tali competenze dovrebbero essere acquisite attraverso programmi di formazione specifici che si aggiungano al percorso formativo di base del singolo professionista nella propria disciplina di pertinenza. Dopo la dimissione è inoltre indispensabile, per limitare il tasso di ricaduta che affligge i trattamenti intensivi, fornire ai pazienti un trattamento ambulatorio che non sia in contraddizione con quanto fatto durante il ricovero.

Un esempio di trattamento sviluppato in Italia che soddisfa le indicazioni riportate nel precedente paragrafo è la CBT-E intensiva (Dalle Grave, 2017; 2011; 2012). L’intervento, basato sulla CBT-E ambulatoriale, è stato adattato per la terapia ambulatoriale intensiva e il ricovero ed è somministrato da un’ équipe multidisciplinare non eclettica, composta da medici, psicologi, dietisti ed infermieri, tutti formati nella CBT-E.

L’efficacia del trattamento è stata valutata dal Villa Garda-Oxford Study, uno studio randomizzato e controllato eseguito presso la Casa di Cura Villa Garda in collaborazione con il centro CREDO dell’università di Oxford (UK) e pubblicato su Psychotherapy and Psychosomatics (Dalle Grave et al, 2013).

I risultati dello studio indicano che circa il 90% dei pazienti ha completato il trattamento e più dell’85% ha raggiunto un peso normale. Dopo la dimissione si è verificata una moderata perdita di peso solo nei primi 6 mesi ed è stata limitata solo ai pazienti adulti. Il 73,9% degli adolescenti aveva un peso normale dopo 12 mesi dalla dimissione. Oltre al recupero del peso, il trattamento ha determinato una riduzione significativa delle preoccupazioni per il peso e la forma del corpo: un miglioramento mantenuto anche 12 mesi dopo la dimissione. Questi risultati hanno suscitato molto interesse a livello internazionale e trattamenti ospedalieri basati sul modello di Villa Garda, sono stati recentemente implementati in Norvegia, Svezia, Danimarca, Olanda, Inghilterra e negli USA.17

Ai pazienti che non rispondono a più trattamenti ambulatoriali e intensivi ben somministrati può essere presa in considerazione la somministrazione di interventi che hanno l’obiettivo primario di migliorare le qualità di vita, piuttosto che la riduzione dei sintomi (Hay & Touyz , 2015) . Questa decisione va, comunque, presa con cautela, perché i pazienti, anche con una lunga durata del disturbo dell’alimentazione, se ingaggiati attivamente nel trattamento possono raggiungere la remissione o comunque un notevole miglioramento della loro psicopatologie e del loro stato nutrizionale (Calugi et al. 2017).

Infine, è auspicabile riuscire a dedicare maggiori risorse alla ricerca per sviluppare trattamenti più potenti ed efficaci per tutti i disturbi dell’alimentazione rispetto a quelli attualmente disponibili.

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