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Second Life, L’Avatar Therapy e l’effetto Proteus

L' Avatar therapy è una forma di terapia virtuale, che avviene attraverso l'utilizzo di alterego e l’identità reale dei pazienti è celata dietro un Nickname

Di Marco Lazzeri

Pubblicato il 24 Mag. 2017

L’ avatar therapy si basa sull’utilizzo della personalità traslata del paziente attraverso una realtà virtuale; i pazienti, infatti, vengono accolti in studi virtuali dagli alterego dei loro terapeuti.

Second Life

Second Life è un mondo virtuale tridimensionale creato nel 2003 dalla società californiana Linden Lab con l’obiettivo di creare un modo innovativo di condividere esperienze. Benchè oggi sia passato un po’ di moda e con un numero di utenti inferiori rispetto al suo lancio avvenuto nel 2003, in Second Life si combinano insieme sia gli elementi di una chat (che rappresenta la modalità di comunicazione base con la quale si interagisce), sia gli elementi di un gioco di ruolo, ossia la capacità di muoversi in questo determinato cyberspazio tramite un personaggio che ci rappresenta. Ognuno può far entrare in gioco la propria immaginazione e costruire il proprio business, la propria abitazione e la propria immagine ed entrare in veri e propri ambienti tridimensionali. La struttura di questo mondo virtuale è quella di un vasto arcipelago di isole di proprietà dei residenti, plasmabili secondo le proprie esigenze.

A loro disposizione trovano strumenti indispensabili quali la possibilità di condividere video anche in streaming, musica e programmi radiofonici, parlare tra di loro attraverso non solo la chat, ma anche la voce.

L’opportunità alternativa concessa da questo nuovo strumento capace di fare evadere dalla realtà, parte dall’idea di dare all’individuo la possibilità di potersi creare il proprio aspetto esteriore, quello che può essere più adatto alla propria “seconda vita”. Gli utenti infatti possono decidere come apparirà il loro Io digitale (avatar). Il sistema mette a disposizione dell’utente un’ampia gamma di caratteristiche somatiche e di abiti. L’identità reale è celata dietro un Nickname, che può essere fantasioso oppure essere attinto da una lista fornita dai programmatori, prima di effettuare il primo accesso in Second Life. L’immersione in questo mondo comporta quindi l’assunzione di un’identità diversa e quindi anche il comportarsi di conseguenza. Significa lasciarsi alle spalle la propria immagine, appartenente alla vita reale, per diventare chi si desidera essere, o per essere semplicemente se stessi. Ma ciò che distingue Second Life dai comuni giochi 3D sta nel fatto che questo mondo virtuale non solo è popolato, ma è anche costruito dagli utenti stessi che lo modificano secondo le loro preferenze, progettando case o addirittura, interi quartieri. Ad oggi Second Life è ancora attivo, nonostante il calo vistoso degli utenti. E, secondo quanto dichiarato da Linden Lab, Second Life non chiuderà ancora. Inoltre, per chi non lo sapesse, la società californiana ha annunciato che aprirà un nuovo mondo virtuale il cui nome sarà “Sansar”, che significa “universo”. Sansar, la cui apertura pare sia stata fissata a metà del 2017, sarà appositamente pensato per la realtà virtuale e molte delle sue caratteristiche saranno simili a quelle di Second Life.

Avatar Therapy

La e-therapy, conosciuta anche come cybertherapy o net-therapy è la consulenza psicologica che si avvale della Rete come strumento di interazione tra paziente e professionista. Si usano a questo fine le e-mail, i programmi di instant messaging, le chat testuali, skype e così via. ll cliente si rivolge ad un professionista qualificato per ricevere aiuto nel risolvere i suoi problemi psicologici, per porre domande o dubbi, restando  comodamente nella propria casa e, qualora lo volesse, nel più completo anonimato. Nonostante la e-therapy si presenti come espediente senz’altro “innovativo”, esiste però uno strumento di consulenza psicologica e psicoterapico forse ancora più inedito. Il suo nome? L’ avatar therapy. L’ avatar therapy si basa sull’utilizzo della personalità traslata del paziente attraverso una VR, i pazienti infatti vengono accolti in studi virtuali dagli alterego dei loro terapeuti.Il dottor D. Craig Kerley (D. Craig Kerley, Psy.D. Georgia Licensed Psychologist), è uno psicologo che, con il nickname di Craig Kamenev, ha aperto in Second Life il Center for Positive Mental Health. Questo centro, primo caso di avatar therapy in America, è composto da uno studio professionale, un’ampia camera con i cuscini in terra per gli incontri di gruppo e una confortevole sala d’attesa. Il Dottor Kerley, impersonato mirabilmente dal suo avatar, tiene in Second Life sessioni di terapia di 50 minuti, regolarmente prenotate e pagate. Al posto del dialogo in prima persona c’è il dialogo in chat, mentre al posto del lettino reale compare invece quello virtuale. Per meglio comprendere l’attività del collega americano tenuta in Second Life, ho deciso di riportare l’intero contenuto della sua intervista comparsa sul quotidiano La Stampa del 30/08/2006:

Dottor Kerley, come funziona una seduta di terapia psicologica in Second Life?

«Si svolge più o meno come una sessione di chat terapeutica, ma in questo caso l’ambiente in realtà virtuale di Second Life offre indicazioni aggiuntive che non sarebbero disponibili in chat. Il paziente, e il terapista, forniscono indirettamente un gran numero di informazioni sulla loro personalità, in base al design del loro avatar, al nome scelto e agli abiti. Inoltre, l’uso di gesti introduce la possibilità di ricevere piccole informazioni non-verbali aggiuntive durante la terapia».

Quali sono i vantaggi di questo tipo di terapia?

«Il vantaggio primario della avatar therapy è la possibilità, per chiunque abbia un accesso limitato ai servizi psicologici, di usufruirne ugualmente. Nello specifico, chi ha gravi problemi fisici o soffre di fobia sociale debilitante o, ancora, di agorafobia spesso non è in grado di rivolgersi a un servizio specializzato. Ho scoperto che moltissime persone in queste condizioni usano Second Life come forma primaria di interazione sociale. Un altro vantaggio è proprio la natura virtuale: quando il problema è la fobia sociale, il paziente può sfruttare il gioco per svolgere un’interazione in un ambiente più “sicuro” rispetto alla vita reale. Queste sessioni di pratica possono poi essere gradualmente trasferite nella vita reale, quando il paziente prende fiducia nei propri mezzi. Gli stessi principi si applicano al trattamento della depressione, degli stati di collera e di problemi relativi all’ansia, come il disordine ossessivo-compulsivo e i deficit sociali collegati alla sindrome di Asperger».

Come nasce l’ avatar therapy? Ci sono altri psicologi che la praticano?

«Non conosco altri terapisti che conducono l’ avatar therapy in questo momento. Nei mondi virtuali, tuttavia, ci sono spesso gruppi di mutuo supporto, nei quali persone con problemi simili si riuniscono per discuterli. L’unico riferimento riguardo l’ avatar therapy è il libro online di John Suler “The Psychology of Cyberspace”».

Come hanno reagito gli abitanti di Second Life all’esperimento?

«Inizialmente con diffidenza. Molti degli abitanti di vecchia data non erano sicuri se il Center for Positive Mental Health fosse una simulazione o qualcosa di reale. Quando le persone hanno cominciato a capire che i nostri gruppi di discussione erano veri, hanno partecipato in numero sempre maggiore. Ora il gruppo di Second Life conta su 120 partecipanti e fino a 30 persone partecipano alle singole sessioni”».

Nonostante l’intervista sia affascinante e curiosa, lo scetticismo su queste forme di interazione terapeutica è largamente condiviso da molti professionisti della salute mentale. Non c’è dubbio che un’interazione via avatar, piuttosto che via chat, renda più pregnante e realistica la comunicazione fra due individui, ma resta la grande incognita della corporeità assente. In altre parole si possono eliminare gli elementi di fisicità senza snaturare il rapporto umano, vero agente terapeutico? A questa domanda risponderà la ricerca clinica e nel caso che la risposta sia confortante l’ avatar therapy ha dei vantaggi assolutamente indiscutibili, primi fra tutti il superamento di barriere geografiche e spaziali e la più semplice accessibilità per coloro che trovano troppo impegnativo un approccio tradizionale.

 

L’effetto Proteus

Nick Yee e Jeremy Bailenson, entrambi ricercatori della Stanford University, hanno condotto diversi studi sulla possibilità che gli avatar virtuali possano avere qualche effetto sul comportamento che l’utente adotterà nell’ambiente virtuale nel quale agisce. Essi hanno ad esempio assegnato a due gruppi di studenti un avatar per ciascuno. E’ stato dato loro meno di un minuto per esaminare le loro nuove “anime”(in una sorta di specchio virtuale) e poi sono stati “sospinti” in una stanza virtuale in compagnia di un altro avatar, controllato da un aiutante all’oscuro delle finalità dell’esperimento. Indipendentemente dalla loro altezza nella vita reale alcuni soggetti del primo gruppo hanno avuto in sorte avatar più alti dell’altro personaggio nella stanza, altri si son dovuti accontentare di avatar più bassi.

Nel secondo gruppo di studenti metà degli avatar assegnati rappresentavano volti più attraenti di quelli della controparte, l’altra metà erano invece meno attraenti. Il compito affidato a tutti era quello di accordarsi con l’altro personaggio nella stanza per dividere una somma di denaro. Hanno così riscontrato che le persone a cui era stato dato un avatar virtuale più alto erano negoziatori più aggressivi, mentre quelli con l’avatar più basso erano più inclini a scendere a compromessi anche quando questo non era proprio nel loro interesse. Coloro che avevano un avatar meno attraente inoltre, mentre parlavano con l’altro personaggio, si fermavano mediamente un metro più lontano da lui di quanto facessero quelli a cui era stato assegnato un avatar attraente. Queste influenze dell’avatar sui comportamenti degli utenti sono state chiamate effetto Proteus dal nome del dio greco del mare Proteo che, restio a raccontare ciò che vedeva con i suoi poteri di divinazione, sfuggiva alle domande assumendo forme sempre diverse.

In un altro studio, gli stessi ricercatori hanno potuto verificare che gli atteggiamenti stereotipici e i pregiudizi possono essere minimizzati se un individuo viene inserito nel corpo virtuale di un altro. Per esempio quando i partecipanti erano rappresentati in ambiente virtuale con l’avatar di persone anziane, gli stereotipi negativi verso gli anziani diminuivano sensibilmente.

In un altro studio, condotto da Sophia Grundnig e colleghi, ci si poneva questa domanda: che succede se un uomo entra e agisce in un ambiente virtuale con un avatar da donna e viceversa?

In questo nuovo studio non si è trattato soltanto di fingersi una donna per chattare con le donne, ma si è trattato di assumerne le sembianze, di muoversi col suo corpo, di indossare i suoi abiti, di avere le sue caratteristiche.

La stessa cosa naturalmente è accaduta per utenti femminili che hanno vissuto la loro esperienza virtuale sperimentale con un avatar maschile. Un altro gruppo di soggetti ha invece giocato con un avatar congruente col proprio sesso biologico. Entrati nell’ambiente virtuale di World of Warcraft (WoW) tutti i partecipanti allo studio sono stati coinvolti in due situazioni comunicative. Nella prima situazione gli uomini – donna sono stati contattati da un avatar donna per parlare di vestiti e di moda, mentre le donne – uomini sono state contattate da avatar uomini per parlare di “cose da maschi” (lotte e armi). Nella seconda situazione un avatar di sesso opposto a quello dell’avatar del partecipante cominciava a flirtare con lui, realizzando, negli utenti con gender-switching, un approccio omosessuale. Dopo l’interazione on line, i partecipanti hanno compilato un questionario sul concetto di sé.

I risultati hanno evidenziato che gli uomini –> donna giudicavano più criticamente il proprio aspetto fisico, rispetto agli uomini con avatar congruente con il loro sesso, mentre le donne–>uomini giudicavano meglio le loro abilità verbali rispetto alle donne rappresentate con avatar congruenti con il loro sesso. Questo suggerisce che il fatto stesso di aver messo piede in ambiente virtuale con un avatar del sesso opposto al proprio ha effetti misurabili sul concetto di sé, anche se, probabilmente, temporanei. In particolare il gender switching sembra avere un effetto negativo negli uomini sul giudizio che essi danno sulla propria gradevolezza estetica e un effetto positivo nelle donne sul giudizio che esse danno sulle proprie abilità verbali. L’effetto Proteus sembra quindi realizzarsi non solo con riferimento a comportamenti e attitudini, ma anche rispetto al concetto di sé. In generale tutti questi studi ci informano di un’intensa plasmabilità psicologica delle persone quando “diventano” avatar in ambienti virtuali, e danno conto anche del successo di ambientazioni come World of Warcraft. Se le persone tendono ad adattare il proprio concetto di sè in accordo con l’aspetto del proprio avatar, giochi di tale calibro sono capaci di trasformare letteralmente persone ordinarie in eroi, elfi, folletti o maghi. Quanto detto finora ci porta a una profonda conclusione: non si possono più ridurre i cybermondi a meri spazi ludici e sociali, ma bisogna tenere conto delle partite “psicologiche” profonde che vi prendono piede, senza però demonizzarli.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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