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I correlati neurocognitivi dell’uso problematico dei social network

I meccanismi dell' uso problematico dei social network potrebbero avere una spiegazione neurocognitiva, come evidenziato dalla dual system perspective

Di Marianna Bottiglieri

Pubblicato il 03 Apr. 2017

L’ uso problematico dei social network, come Facebook, mentre si sta guidando, durante un meeting di lavoro o in altre circostanze che potrebbero portare a conseguenze negative, è stato collegato a uno squilibrio tra due sistemi cerebrali.

 

Hamed Qahri Saremi, un professore associato di sistemi d’informazione al De Paul University College of Computing and Digital Media, è co-autore dello studio insieme ad Ofir Turel, un professore di sistemi d’informazione e scienze decisionali alla California State University, Fullerton e ricercatore interno alla University of Southern California, Los Angeles.

 

La dual system perspective per spiegare l’ uso problematico dei social network

I due ricercatori, per indagare i meccanismi alla base dell’ uso problematico dei social network, hanno applicato la “dual system perspective”, una teoria mutuata dalla psicologia cognitiva che ipotizza che gli uomini abbiano due differenti meccanismi cerebrali che influenzano i processi di decision-making.

Essi ritengono che il Sistema 1 sia automatico e reattivo, venga innescato velocemente, spesso al di sotto del livello di coscienza, in reazione a stimoli come guardare i social network o ricevere una notifica dagli stessi; mentre il Sistema 2 è  un sistema riflessivo e razionale che viene innescato più lentamente, regola la cognizione, inclusa quella generata dal primo sistema, e controlla i comportamenti, aiutando gli individui ad evitare gli impulsi e le azioni che non sono nel loro interesse.

Utilizzando un questionario validato deputato a misurare l’ uso problematico dei social network, i ricercatori hanno raccolto le risposte di 341 studenti universitari del Nord America che utilizzano frequentemente Facebook.

I ricercatori hanno raccolto e ed analizzato dati riguardanti l’ uso problematico di Facebook durante un semestre e in seguito hanno seguito il percorso universitario di ogni studente per indagare la loro performance accademica – utilizzando la media dei voti – sia nei singoli semestri, che, cumulativamente, in tutto l’anno accademico.

I soggetti che avevano mostrato un uso problematico dei social network, nella fattispecie un uso di Facebook più marcato, avevano una forte preoccupazione cognitivo-emozionale (sistema 1), ma un controllo cognitivo-comportamentale più debole (sistema 2), mostrando uno squilibrio tra i due sistemi; di fatto, più grande era questo squilibrio, più i soggetti erano a rischio di sviluppare comportamenti legati all’uso problematico dei social.

Tra i risultati più importanti della suddetta ricerca sull’ uso problematico dei social network abbiamo:

  • Il 76% dei soggetti riportava l’utilizzo di Facebook in classe;
  • Il 40% dei soggetti utilizzava Facebook alla guida;
  • Il 63% dei soggetti riportava l’utilizzo di Facebook quando aveva una conversazione faccia a faccia con un’altra persona;
  • Il 65% dei soggetti sosteneva di utilizzare Facebook sul lavoro, invece di lavorare.

Il forte effetto dell’ uso problematico dei social media sulla performance accademica è sorprendente – sostiene Turel. – Un leggero incremento nell’ uso problematico dei social si traduce in una significativa diminuzione dei voti, e il declino nella performance è costante. Esso, infatti, si è protratto per un anno dopo il nostro primo studio – ha aggiunto.

Qahri-Saremi e Turel hanno scoperto che un uso problematico di Facebook influisce negativamente la performance accademica degli studenti: più problematico era l’utilizzo, meno alti erano i voti. Infatti, più del 7% delle differenze della media dei voti tra gli studenti, era attribuibile al grado di problematicità legato all’ uso dei social media.

Gli autori hanno definito il comportamento problematico come un “tipico comportamento impulsivo, spesso di breve durata, che è considerato inappropriato, proibito, o pericoloso in un dato ambiente o contesto, o per un dato status o obiettivo della persona“. Questi comportamenti problematici possono portare a conseguenze negative proprio come l’effetto sulla performance universitaria evidenziato nello studio.

La cosa più entusiasmante di questo studio, per me, è che il nostro modello di ricerca basato sul sistema dual, potrebbe spiegare in maniera molto adeguata come siano costituiti questi comportamenti e come essi possano essere controllati – sostiene Qahri-Saremi.

Sfortunatamente, i comportamenti problematici nell’utilizzo di “sistemi d’intrattenimento”, come i social media o i videogames, sono molto diffusi oggigiorno e vanno incrementandosi. In alcuni casi, essi hanno comportato gravi conseguenze per i fruitori, come si evince , ad esempio, dalle news che lo scorso anno hanno riguardato l’ uso problematico di Pokemon GO, i cui giocatori sono stati coinvolti in incidenti o sono stati derubati, perché erano distratti dal gioco. Pertanto, c’era bisogno di un modello di ricerca che potesse spiegare perché questi comportamenti emergano e come possano essere mitigati, obiettivo che si è riflesso abbastanza bene nel nostro lavoro – sostiene nuovamente Qahri-Saremi.

Lo studio sull’ uso problematico dei social network ha suggerito che le persone potrebbero iniziare a limitare l’ uso dei social media con delle strategie, ad esempio disattivando le notifiche dei social sul proprio telefono. E’ stato anche suggerito che i programmatori potrebbero prendere in considerazione l’idea di aggiungere specifiche di sistema che renderebbero ai fruitori più facile controllare il proprio comportamento problematico.

Seppure la teoria del sistema duale sia una teoria stabile e comprovata all’interno del filone della psicologia cognitiva, si pensa che Qahri-Saremi e Turel siano stati i primi ricercatori ad utilizzarla per spiegare l’eziologia dell’ uso problematico dei social network.

Il prossimo passo include delle ricerche aggiuntive estendendo lo studio ad altri social media, come i video games e le chat. Gli autori aggiungono che la ricerca futura potrebbe anche indagare se gli stessi risultati possano essere prodotti in altri contesti culturali ed educativi.

Inoltre, studi di neuroimmagine potrebbero integrare questi risultati ed individuare le strutture cerebrali del sistema sopra menzionato, nel contesto nell’ uso problematico dei social media.

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