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Social Withdrawal e Hikikomori: definizione e ipotesi d’intervento

L' Hikikomori è un fenomeno riscontrato tra gli adolescenti, che consiste nel ritiro fra le mura domestiche e la mancanza di qualunque rapporto sociale.

Di Daniela Grimaudo

Pubblicato il 26 Apr. 2017

Aggiornato il 26 Set. 2019 15:40

Con il termine Social withdrawal si intende una condizione sociale caratterizzata prevalentemente da sentimenti di solitudine, isolamento, ritiro dalla società e dalle relazioni interpersonali. Nelle società nipponiche questo fenomeno si configura con l’espressione Hikikomori che deriva dal verbo Hiku (tirare indietro) e Komoru (ritirarsi) ed indica una sindrome sociale che va diffondendosi ormai in maniera critica (S. Moretti, 2010) e capillare.

Daniela Grimaudo, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MODENA

 

Hikikomori e social withdrawal: in cosa consistono

Il giovane Jun ha diciotto anni, fa il test di ammissione in un’ università ma non lo supera. Cerca di non scoraggiarsi, continua a studiare da solo, ma lentamente va alla deriva, fino a quando si chiude nella sua stanza, dorme durante il giorno e di notte legge testi di filosofia e guarda la televisione.

Occasionalmente prende la sua mountain-bike e di notte scorrazza per le strade della  città che dorme. Quando incontra qualcuno dei suoi vicini- racconta Jun- si sente guardato con diffidenza e a volte con ostilità: è troppo diverso dagli altri ragazzi”.

La storia emblematica dell’ Hikikomori Jun è raccontata dal giornalista americano Michael Zielenziger in un importante testo dal titolo “ Non voglio più vivere alla luce del sole” ( M. Ammaniti, 2009).

Con il termine “Social withdrawal” si intende una condizione sociale caratterizzata prevalentemente da sentimenti di solitudine, isolamento, ritiro dalla società e dalle relazioni interpersonali. Nelle società nipponiche questo fenomeno si configura con l’espressione “Hikikomori” che deriva dal verbo Hiku (tirare indietro) e Komoru (ritirarsi) ed indica una sindrome sociale che va diffondendosi ormai in maniera critica (S. Moretti, 2010) e capillare.

Questa sindrome si manifesta in modi differenti: permanenza in ambiente domestico per lunghi periodi di tempo, mancanza di rapporti amicali, assenza di comunicazione con la famiglia, evitamento di qualsiasi forma di contatto visivo, assenza quindi di relazioni significative e/o intimità emotiva e fisica.

Il termine hikikomori è stato formulato dallo psichiatra Saito Tamaki, direttore del dipartimento psichiatrico dell’Ospedale Sofukai Sasaki di Chiba, non lontano da Tokyo, negli anni Novanta del secolo scorso, per riferirsi al fenomeno di persone che hanno scelto una condizione di autoreclusione (se–clusione) permanente al fine di ritirarsi dalla vita sociale. Il ministero giapponese della salute definisce hikikomori gli individui che rifiutano di uscire dalla casa dei genitori, isolandosi nella propria stanza per periodi superiori ai sei mesi, con la possibilità che la permanenza in autoreclusione si prolunghi per un numero non breve di anni, in una condizione di stabile dipendenza economica dalla famiglia. Essi sono soliti pranzare e cenare nella propria stanza con un vassoio passato dal genitore attraverso la porta appena socchiusa e si recano in bagno con percorsi che, per tacita intesa familiare, vengono lasciati il più possibile non frequentati. Si interrompe ogni rapporto con il mondo della scuola, dell’università o del lavoro (U.  Mazzone, 2009).

L’identikit del giovane Hikiikomori si esprime attraverso determinate caratteristiche comportamentali e strutturali che delineano una nuova forma di categoria psicopatologica: giovane tra i 14-30 anni, di estrazione sociale medio-alta, nel 90% dei casi di sesso maschile per lo più figlio unico di genitori entrambi laureati (S. Moretti, 2010). Di solito, giovani maschi, anche se la presenza femminile pare in aumento e comunque tendono ad invertire il ritmo giorno-notte, trascorrono parte del tempo a chattare, leggere, giocare al computer o guardare la televisione, determinati a non rientrare nel grande flusso sociale.

Le cause dell’ Hikikomori, un fenomento in crescita

Nella prefazione di un libro dal titolo molto eloquente “ Hikikomori. Narrazione da una porta chiusa”, di C. Ricci, Mazzoni sostiene che le cause più frequentemente addotte, come spiegazione di tale comportamento, siano di diverso tipo: quelle sociali, come debolezza nella capacità di stringere relazioni, insicurezza, perdita dell’impiego, vergogna, scarsità di motivazioni; quelle scolastiche, come bullismo, sollecitazioni competitive, fallimento negli esami, rifiuto della scuola; quelle famigliari, come pressioni per il raggiungimento di più elevati livelli di istruzione, difficoltà di relazioni, padre assente, madre iperprotettiva, e, infine, ma molto distanziate, quelle individuali, legate soprattutto a problemi psicologici (U. Mazzone, 2009).

I dati reperiti dai centri di supporto No-Profit e sovvenzionati dal ministero della salute giapponese parlano di una cifra ufficiale che quantifica in oltre il milione quegli adolescenti che praticano hikikomori in Giappone; si tratta di un fenomeno in via di espansione non soltanto in Corea e in Cina ma si riscontrano alcune particolarità simili perfino nella cultura occidentale tanto da poter segnalare già una tipica presenza anche negli Stati Unite e nel nord Europa (Block. J.J. 2008) .

Attualmente in Italia si registrano circa cinquanta casi, ufficialmente dichiarati, di giovani adolescenti, presi in carico come Hikikomori (L. T. Pedata, M. Interlandi, 2012)

Il social withdrawal: il ritiro dalla società

Come abbiamo precedentemente affermato il Social Withdrawal indica proprio l’isolamento, il mettersi in disparte, il ritiro dalla società e nonostante i i giovanissimi trascorrano il loro tempo su internet, con fumetti o video giochi, attenzione! il fenomeno va distinto dall’ abuso tecnologico o da altre forme patologiche, anche se, presentano un elemento comune: si sceglie una vita virtuale che sostituisce in pieno il reale ( L.T. Pedata, M. Interlandi 2012).

Il Social Withdrawal è un ritiro dalla società, è un rifugiarsi nella solitudine ma paradossalmente questi giovani interagiscono virtualmente con il mondo; quel senso di vergogna sperimentato nel contatto con l’altro, in rete viene placato, anche se non completamente.

La dimensione del gruppo sulla piattaforma virtuale crea un senso di appartenenza e di accettazione immediata che non sembra essere caratterizzato dai tempi e dalle regole più severe a cui sottostanno i gruppi nella realtà quotidiana ( Lavenia 2012).

Piotti, nel testo “Il banco vuoto. Diario di un adolescente in estrema reclusione” si è dedicato al tentativo di capire quale sia la motivazione dei nuovi eremiti domestici, dei ragazzi in reclusione volontaria, ritirati per mesi o anni nella loro cameretta immersi nella realtà virtuale, apparentemente dimentichi dei doveri, dei piaceri della loro età e delle aspettative nei loro confronti da parte delle famiglie, della scuola o dagli amici disertati.

Anni di lavoro clinico, sostiene Pietropolli Charmet, hanno mostrato quanto sia difficile per i genitori entrare in contatto con quel che accade nella mente di un figlio in piena crisi evolutiva e quanto questo sia per loro fonte di una terribile sofferenza.

Reazioni interne ad eventi esterni avvengono secondo uno schema particolare e secondo uno stile di pensiero preciso.

Come mai un ragazzo decide di recludersi nella sua stanza, connesso al pc, immerso in un’ esistenza virtuale e rifiutando la scuola? Perchè cosi tanta paura nell’ interagire con l’altro? Nella società del Sol Levante questo fenomeno potrebbe assumere le sembianze di una ribellione contro un paese schiacciato dal conformismo e omogeneità, dove non vi è spazio per la differenza e diversità, in cui i giovani non trovano una loro collocazione. Probabilmente in una situazione del genere, nasce il dilemma: scappare o sopravvivere

Perchè non tentare quindi la strada virtuale in cui non vi è nessuna pressione, nessuna demarcazione biologica, dove tempo e spazio hanno un personale significato, al riparo da quella vergogna struggente, lontano  dallo sguardo dell’altro sesso, dal gruppo, dai coetanei.

Teo e Gaw in una rassegna del 2010 concludono sostenendo che il ritiro sociale grave o acuto potrebbe in futuro essere incluso nel DSM come una nuova psicopatologia a sé stante (Teo e Gaw, 2010).

Secondo il punto di vista di Piotti e Lupi quel che è certo è che l’apparenza e il successo sono valori di riferimento in un modello educativo sempre più diffuso. Molti adolescenti si sono trovati a fare i conti con idee grandiose rispetto al proprio Sè, con aspettative imponenti, con l’idea di essere dei bambini speciali e hanno avuto grandi difficoltà ad accettare le loro caratteristiche reali, umane e in quanto tali limitate.

Di fronte agli ideali di perfezione che vengono ulteriormente sottolineati dai mass-media il ragazzo fragile, che scarseggia di autostima si sente terribilmente inadeguato. Se l’idealizzazione è troppo elevata infatti non basta più essere carini o un pò sopra le righe, occorre essere perfetti e ogni valutazione che non corrisponde alla perfezione si traduce in bruttezza (Spiniello, Piotti, Comazzi).

Il senso di inadeguatezza spesso porta ad una sorta di ansia sociale e quindi quale strada migliore per nascondere il proprio corpo dallo sguardo degli altri percepiti come criticanti se non quello di rinchiuderlo in un angusto spazio, considerato ormai l’unica ancora di salvataggio? Il pensiero disfunzionale che si cela dietro, considera l’aspetto esteriore perennemente inadeguato e porta così a stati di ansia sociale che a loro volta si traducano in ritiro sociale e auto-esclusione.

La presa in carico in terapia di adolescenti ritirati socialmente

La presa in carico terapeutica di un adolescente che decide di sparire dal palcoscenico sociale e di rinchiudersi nella propria cameretta è un lavoro complesso e delicato (R.Spiniello, A.Quintavalle, 2015). Non è il ragazzo che si precipita dallo psicologo. Lui è  li dentro la stanza, impegnato a trovare strategie per rendere invisibile il proprio corpo alla società dei coetanei. A detta sua sta anche bene fra le mura domestiche avendo eliminato con la sua condizione da eremita proprio ciò che più teme: lo sguardo dell’altro. Sono i genitori ad essere allarmati. Ovviamente se il ragazzo non esce da casa sua, sarà lo psicologo a farlo: si allontanerà dalla sua scrivania, si metterà in gioco con il suo corpo, con le sue attitudini e competenze professionali e andrà a scovare il ragazzo lì dove si trova e inizierà a intessere con lui una relazione terapeutica costituita all’inizio da silenzi e rifiuti e successivamente da sguardi, parole e donazione di senso (R.Spiniello, A.Quintavalle, 2015).

Condurre il ragazzo fuori casa non è l’obiettivo principale di questo intervento domiciliare, quanto piuttosto quello di avere il permesso di stare insieme a lui nella stanza, entrare nel suo mondo, nell’immaginario, negli interessi carichi di significato (R.Spiniello, A.Quintavalle, 2015).

L’accompagnamento verso l’esterno avverrà successivamente quando il giovane sarà in grado di eseguire alcuni esercizi di esposizione: inizialmente facendo semplicemente una camminata, successivamente raggiungendo i negozi vicino casa e infine costruendo piccole relazioni sociali per poi lentamente reintegrarsi nella società. E’ necessaria anche una ristrutturazione cognitiva; si potrebbe lavorare sulla tendenza a denigrarsi o a valutarsi continuamente come inutile, inadeguato, indegno o sfortunato. Purtroppo questa tendenza all’ evitamento contribuisce a mantenere l’umore depresso, a rinchiudersi e non permette alla persona di sperimentare brevi stati mentali positivi, nè di constatare che in realtà non è così incapace come crede di essere. I pensieri, le convinzioni negative su di sè, sul mondo, sul futuro hanno un ruolo chiave nell’esordio e nel mantenimento di questo fenomeno.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Block. J.J. 2008 “Issues for DSM-V: Internet Addiction”, in Am. J. Psychiatry, 165, 2008, pp. 306-307.
  • Lavenia G, 2012. Internet e le sue dipendenze. Dal coinvolgimento alla psicopatologia. Franco Angeli, Milano
  • Moretti S. 2010 - Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza – Vol. IV –N. 3 –Settembre-Dicembre 2010
  • Pedata T. L., Interlandi M., 2012, “adolescenti e tecnologie ai tempi della crisi-interventi educativi.” Rivista Scuola IaD, N° 5 Ricerca e Tecnologia
  • Piotti A.,2012 Il banco vuoto. Diario di un adolescente in estrema reclusione. Franco Angeli, Milano.
  • Piotti A., 2008. “La società degli hikikomori” in Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione, Franco Angeli, Milano
  • Ricci C. (2010), Hikikomori. Narrazione da una porta chiusa. Aracne. Roma
  • Spiniello R., Piotti A., Comazzi D.,2015. Il corpo in una stanza. adolescenti ritirati che  vivono di computer. Franco Angeli, Milano
  • Saito, T., 1998. Shakaiteki Hikikomori [Social Withdrawal]. PHP Kenkyuujo, Tokyo
  • Teo, A.R., Gaw, A.C. 2010. Hikikomori, a Japanese culturebound syndrome of social withdrawal? A proposal for DSM-5. Journal of Nervous and Mental Disease, 198, 444–449.
  • Zielenziger M., 2008. Non voglio più vivere alla luce del sole: il disgusto per il mondo esterno di una nuova generazione perduta, Elliot Edizioni, Roma,
  • http://www.elliotedizioni.com/catalog/images/Repubblica.pdf
  • http://www.terzocentro.it/
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