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Essere vittime di bullismo in età infantile aumenta il rischio di sviluppare disturbi cronici in età adulta

Le vittime di bullismo durante l'età infantile possono manifestare delle conseguenze sulla salute fisica e psicologica anche nel futuro.

Di Ilaria Loi

Pubblicato il 28 Mar. 2017

Le vittime di bullismo, sottoposte a stress di tipo cronico, risultano essere a rischio di sviluppare diversi disturbi sia psichiatrici sia fisiologici. Essere vittime di bullismo durante l’infanzia comporta effetti a lungo termine, correlati all’esposizione a fattori di stress di tipo cronico, a livello della salute sia fisica sia mentale. In particolare, secondo quanto evidenziato da un recente articolo pubblicato dalla rivista Harvard Review of Psychiatry, vi sarebbe un maggior rischio di sviluppare, nel corso dell’età adulta, malattie cardiache e diabete.

 

Essere vittime di bullismo: gli effetti sulla salute fisica e psicologica

I recenti passi avanti, fatti all’interno della comunità scientifica, inerenti la comprensione degli effetti negativi che l’esposizione cronica a fattori di stress ha sulla salute di ognuno, mostrano come ci sia un sempre più incalzante bisogno di chiarire le implicazioni a lungo termine dell’aver subito atti di bullismo in età infantile. Il bullismo, infatti, viene considerato come una forma di stress di tipo sociale cronico (Olweus, 1994) e, in quanto tale, potrebbe portare, al pari di altri fattori di stress continuativi e cumulativi nel tempo, a significative conseguenze a lungo termine a livello della salute, non solo psicologica, ma anche fisica. Per quanto le prime vengano indagate già da tempo (Kumpulainen, 2008), ancora poco si sa circa le seconde, ovvero circa le ricadute sulla salute fisica, sia immediata sia a lungo termine.

Il bullismo viene definito come una tipologia sistematica di abuso di potere, con la messa in atto in modo ripetuto nel tempo di comportamenti aggressivi che intenzionalmente recano danni ai propri pari (Olweus, 1994). Un tempo liquidato come innocua esperienza infantile, questa modalità comportamentale disfunzionale viene ora riconosciuta come un significativo fattore di rischio per la salute psicologica, soprattutto se messa in atto in modo prolungato nel tempo. Per quanto sussistano ancora delle questioni aperte soprattutto circa la direzione dell’associazione, esso è stato spesso correlato a maggiori rischi di sviluppare disturbi psichiatrici quali, ad esempio, ansia, depressione, ideazione e comportamento suicidario (Lereya et al., 2015).

Inoltre, i bambini che sono stati vittime di bullismo mostrano anche maggiori probabilità di presentare nell’immediato sintomi a livello fisico, a tal punto che la presenza di sintomi ricorrenti e apparentemente inspiegabili vengono spesso considerati dei campanelli d’allarme circa la presenza di possibili fenomeni di bullismo (Gini & Pozzoli, 2009). Secondo Zarate-Garza e collaboratori, autori di un recente articolo sul tema, sarebbe quindi estremamente importante riuscire a comprendere i processi biologici sottostanti la correlazione tra questi fenomeni psicologici e fisiologici, soprattutto riguardo il loro potenziale impatto sulla salute sul lungo periodo.

In linea con questo, studi riguardanti differenti tipologie di esposizione a fattori di stress cronico hanno sollevato la questione circa il fatto che l’ essere vittime di bullismo, “una classica forma di stress cronico sociale”, potesse portare ad effetti persistenti anche per quanto riguarda la salute fisica. Infatti, qualsiasi modalità di stress cronico, sia esso di tipo fisico o mentale, può creare notevole tensione a livello corporeo, portando nel tempo ad un logorio continuo, fino a creare dei veri e propri “danni da usura”.

Questo processo, definito Carico Allostatico (Allostatic Load), risulta quindi essere l’esito delle risposte biologiche a modalità di stress continuative o ripetute (ad es. risposte del tipo fight or flight), il prezzo che il nostro organismo paga per adattarsi alle condizioni mutevoli che affronta e adeguarsi alle situazioni di vita vissute modificando alcuni parametri interni allo scopo di mantenere le funzioni di singoli organi e apparati. Sebbene questi meccanismi siano protettivi nel breve periodo, si parla di “prezzo da pagare” in quanto a lungo termine possono insorgere dei problemi, soprattutto se divengono cronici nel tempo, andando a logorare cellule, tessuti e organi e compromettendone così il funzionamento ottimale, come riflesso dell’impatto cumulativo dello stress sull’organismo stesso. A tal proposito, diversi studi empirici hanno dimostrato come lo stress cronico porti ad alterazioni a livello neuroendocrino, infiammatorio e metabolico (ad es. Naninck et al., 2015).

Quando una persona viene esposta ad alti livelli di stress per brevi periodi, l’organismo nella maggior parte dei casi riesce efficacemente a far fronte alla sfida e a tornare allo stato di benessere iniziale. D’altro canto, con tipologie di stress cronico e prolungato nel tempo, un simile processo di recupero potrebbe non aver modo di essere messo in atto, portando così al suddetto Carico Allostatico per sovraccarico, con conseguente impatto negativo su quei processi fisiologici critici per la salute e il benessere dell’organismo.

A causa dell’aumento del Carico Allostatico, lo stress cronico può portare a cambiamenti a livello ormonale, infiammatorio e anche metabolico. Sul lungo periodo, queste alterazioni fisiologiche possono contribuire allo sviluppo di disturbi quali, ad esempio, depressione, diabete, patologie cardiache e anche al progredire di patologie psichiatriche.

Inoltre, l’esposizione precoce a significativi fattori di stress può influenzare il modo in cui l’organismo si sviluppa e organizza per rispondere ad ulteriori fattori di stress futuri. Questo è possibile in parte grazie ai cosiddetti cambiamenti epigenetici, ovvero alterazioni a livello della funzionalità dei geni in seguito ad esposizione ambientale, che modificano la risposta ad eventi stressanti. In parte, è anche possibile che lo stress cronico alteri direttamente l’abilità del bambino di sviluppare quelle abilità psicologiche legate alla resilienza, andando così a ridurre la sua futura capacità di far fronte allo stress in modo adattivo e costruttivo.

Per quanto attualmente non sia ancora stato dimostrato un legame di tipo causa-effetto tra lo stress cronico, bullismo compreso, e lo sviluppo di patologie sul lungo termine, future indagini, che coniughino l’osservazione clinica con la ricerca scientifica di base, potrebbero assumere un ruolo determinante nella comprensione, anche in ottica di interventi preventivi, della relazione tra queste due variabili.

La review di Zarate-Garza e collaboratori, mettendo in luce le recenti scoperte in merito alla relazione sussistente tra bullismo, infiammazione e disfunzioni metaboliche, esplicita la possibilità che effettivamente il bullismo possa aumentare il rischio di sviluppare una serie di disturbi, che implicano processi quali l’infiammazione e la difesa immunitaria. La ricerca mostra così quanto possa essere importante tenere in considerazione il bullismo e le sue conseguenze già all’interno delle cure cliniche standard per l’infanzia. In tal senso, il bullismo non può più quindi essere solamente considerato come un mero processo sociologico o biologico, ma sarebbe da leggersi come un vero e proprio problema biopsicosociale che richiederebbe ricerche ed interventi integrati. Chiedere ed interessarsi del bullismo e delle sue vittime risulta così essere un concreto passo avanti nell’intervento a favore della prevenzione dell’esposizione traumatica a fattori stressanti potenzialmente cronicizzabili e della riduzione del rischio di sviluppare future comorbilità psichiatriche correlate (ad es. Walker et al., 2014).

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