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La personalità rimane davvero stabile nel tempo?

Uno studio longitudinale recente ha messo in discussione i risultati di ricerche precedenti, che attestavano come la personalità fosse stabile nel tempo.

Di Ilaria Loi

Pubblicato il 09 Mar. 2017

Il più lungo studio prospettico sulla personalità ha mostrato che non sembra esservi alcuna correlazione tra le misurazioni fatte a 14 anni e quelle a 77. È davvero così?

 

Gli studi precedenti dimostrano la stabilità della personalità

Immaginate di essere arrivati all’età di 77 anni e di ricevere la notizia dell’organizzazione di una rimpatriata con i vecchi compagni di scuola che non vedete da quando avevate 14 anni. Ovviamente sarete tutti cambiati molto nel corso del tempo, ma cosa dire a proposito della personalità? In linea di massima saranno tutti rimasti uguali a com’erano all’epoca o, al contrario, saranno irriconoscibili?

Diversi studi presenti in letteratura hanno messo in luce come molti tratti di personalità sembrino presentare una certa stabilità differenziale nel corso del tempo, anche a distanza di decenni. Queste ricerche si sono generalmente occupate dello studio dei diversi tratti di personalità e di come questi si possano modificare nel corso del tempo a partire dall’ adolescenza fino alla mezza età o dalla mezza età fino ad età più avanzate.

Per quanto i tratti di personalità mostrino in media un certo grado di cambiamento nell’arco di vita, l’essere umano sembrerebbe presentare a livello di differenze individuali una sostanziale stabilità (Hampson & Goldberg, 2006; Caspi et al., 2005; Roberts & DelVecchio, 2000).
Ad esempio, Hampson & Goldberg (2006), e successivamente anche Edmonds e collaboratori (2013), hanno rilevato la presenza di stabilità, anche se con differenze a livello dei singoli tratti, per quanto riguarda la personalità valutata nell’infanzia e quella valutata quarant’anni dopo. Per quanto riguarda la personalità in età successive, Leon e collaboratori (1979) hanno valutato diversi tratti (utilizzando l’MMPI, Minnesota Multiphasic Personality Inventory) in un campione di adulti di circa cinquant’anni d’età e, successivamente, hanno correlato quanto emerso con i dati ottenuti con lo stesso campione circa trent’anni dopo, rilevando, ancora una volta, l’esistenza di una sostanziale stabilità nelle misurazioni.

In generale, quindi, sia gli studi riguardanti la prima metà della vita di un essere umano sia quelli riguardanti i periodi successivi, sembrerebbero confermare la presenza di una buona dose di stabilità per quanto riguarda la personalità di ognuno. Sembrerebbe quindi plausibilmente lecito aspettarsi che questo costrutto rimanga stabile, per lo meno in parte, nel corso dell’intero arco di vita, quindi, ad esempio, tra l’adolescenza e la tarda età.

 

La ricerca longitudinale che mette in discussione i risultati precedenti

Recentemente però, Harris e collaboratori dell’università di Edimburgo hanno concluso una ricerca longitudinale, durata più di 63 anni, che suggerirebbe, al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, la presenza di un grado di stabilità quasi nullo per quanto riguarda la personalità intesa in senso generale. Gli autori, infatti, non hanno riscontrato alcuna correlazione tra le misurazioni fatte quando i partecipanti avevano 14 anni e quelle successive, fatte all’età di 77 anni. La personalità nel corso della tarda età sembrerebbe quindi essere decisamente diversa rispetto a quanto non fosse durante l’adolescenza.

Per poter far ciò, gli autori, nel 1950, hanno coinvolto un gruppo di insegnanti, chiedendo loro di valutare la personalità di un totale di 1,208 quattordicenni scozzesi, selezionati a partire da un più ampio campione di persone nate nel 1936, già reclutate dallo Scottish Council for Research in Education (SCRE) per lo Scottish Mental Survey sull’intelligenza, e valutate più o meno annualmente fino all’età di 27 anni (Deary et al., 2009). Più nello specifico, agli insegnanti era stato chiesto di valutare i ragazzi su sei diversi aspetti della personalità (Sicurezza di sé, Determinazione, Stabilità emotiva, Coscienziosità, Originalità e Desiderio di distinguersi) lungo una scala Likert a cinque punti. Comprensibilmente, queste sei caratteristiche non vengono considerate dagli autori una valutazione completa ed esaustiva della personalità, ma anzi, poiché moderatamente correlate tra loro, vengono esaminate come parte di un fattore sovraordinato (a sua volta parte del più generale costrutto “personalità”), definito “Affidabilità” (Deary et al., 2009), comparabile con ciò a cui attualmente si fa riferimento con il termine di “Coscienziosità” (per un approfondimento, cfr. Costa & Widiger, 1994).

Successivamente, poi, nel 2012, gli autori hanno ricontattato 635 dei partecipanti allo studio, dei quali 174 hanno accettato di partecipare ad una nuova valutazione costituita da un insieme di questionari e da un’intervista telefonica (alla quale hanno partecipato solamente in 131) riguardante i test cognitivi precedentemente inviati. Per quanto riguarda la personalità, la valutazione nel follow-up è stata formulata in modo analogo rispetto a quella precedentemente fatta dagli insegnanti. Ai partecipanti è stato inoltre chiesto di completare ulteriori misurazioni riguardanti intelligenza e benessere generale e di coinvolgere un proprio conoscente stretto affinché la valutazione della personalità potesse essere fatta anche in terza persona (affidabilità sé-altri).

Dalle analisi dei dati, al contrario di quanto atteso, è stato possibile rilevare una generale mancanza di correlazione tra le misurazioni raccolte ai 14 anni dei partecipanti e quelle raccolte ai 77, sia per quanto riguarda quelle auto-compilate sia per quelle compilate da terzi. La mancanza di correlazione permane sia considerando i singoli fattori sia considerando il costrutto sovraordinato. In aggiunta, per quanto la variabile Affidabilità sia risultata essere positivamente correlata con l’indice di benessere generale nell’età più avanzata, non è emerso alcun legame tra l’Affidabilità valutata a 14 anni e il livello di benessere successivo. Anche quest’ultimo dato risulta essere discordante rispetto a quanto emerso da studi precedenti che, invece, avevano messo in luce come un maggior punteggio relativo alla coscienziosità fosse associato a maggiori livelli di benessere nei decenni successivi (ad es. Gale et al., 2013).

 

La personalità dell’adolescenza non è conforme a quella dell’età avanzata

Da quanto emerso sembrerebbe quindi non essere poi così inverosimile pensare che la personalità che ci caratterizzerà in età avanzata non avrà praticamente nulla a che vedere con quella caratterizzante la nostra adolescenza. Non a caso, sia l’adolescenza sia la prima età adulta vengono considerati come periodi altamente caratterizzati da sviluppi e modifiche, anche a livello di personalità, e, parimenti, anche la tarda età porta con sé notevoli possibilità di sviluppo. Si può quindi affermare che i partecipanti allo studio abbiano attraversato tutti i principali momenti di cambiamento, compresi gli aggiustamenti più fini e sfumati a livello di personalità che possono avvenire lungo tutto l’arco di vita.

Gli autori concludono quindi che più tempo si lascia passare tra due diverse misurazioni della personalità e minore sarà la relazione tra di essi, fino ad arrivare ad un momento in cui, superati i 63 anni di distanza, la relazione può addirittura divenire nulla.

 

I limiti della ricerca

Per quanto i risultati dello studio di Deary e collaboratori (2016) possano essere interessanti e degni di nota, soprattutto perché in direzione contraria rispetto a quanto ci si aspetterebbe sulla base degli studi precedentemente svolti sul tema, però, sarebbero sicuramente necessarie ulteriori conferme in merito. È infatti possibile muovere qualche critica nei confronti del disegno sperimentale che potrebbe, per lo meno in parte, minare l’affidabilità di quanto ottenuto dagli autori.

Ad esempio, se da un lato l’aver considerato uno span temporale così vasto possa sicuramente essere un valore aggiunto alla ricerca, dall’altro non si può non pensare al fatto che in più di sessant’anni le teorie riguardanti la personalità siano profondamente cambiate. A tal proposito, la comunità scientifica attualmente ritiene, quasi in modo unanime, che la personalità possa essere concettualizzata al meglio facendo riferimento al Five Factor Model, che definisce il costrutto come formato da cinque diversi tratti. All’inizio della ricerca di Harris e collaboratori negli anni ’50, però, questo modello non era ancora stato formulato e questa mancanza potrebbe plausibilmente spiegare il perché dell’assenza di correlazione emersa tra le misurazioni: se la valutazione fosse stata fatta in modo meno superficiale e più completo, con riferimento a teorie più recenti ed accreditate, forse sarebbe potuto emergere qualche legame.

Inoltre, la valutazione iniziale fatta dagli insegnanti potrebbe essere solo parzialmente veritiera e affidabile, dal momento che gli insegnanti conoscono un singolo aspetto della vita dei propri alunni, quello accademico (non a caso, la valutazione fatta è risultata correlare in modo significativo con gli indici di intelligenza). Infine, anche l’alto grado di drop out riscontrato all’interno del campione potrebbe aver contribuito alla creazione di un esito falsamente negativo.

Alla luce delle limitazioni riscontrate a livello metodologico, si può affermare che i dati siano nel complesso, per quanto interessanti, di difficile interpretazione e che quindi sia sicuramente necessario svolgere ulteriori indagini, più controllate e attendibili, prima di poter concludere che la personalità sia o meno stabile nel corso del tempo.

Degno di nota, però, è infine uno studio svolto da Milojev & Sibley (2014) in Nuova Zelanda, che, valutando la personalità attraverso il Five Factor Model (con l’aggiunta di un sesto tratto, Onestà-Umiltà), ha permesso di identificare come effettivamente nel corso di vita (tra i 20 e gli 80 anni) si vada incontro a notevoli variazioni nella stabilità dei diversi aspetti della personalità, raggiungendo il massimo della stabilità durante la mezza età e declinando verso l’età più avanzata. Cercando di guardare oltre le limitazioni dello studio di Harris e collaboratori, quindi, la mancanza di correlazione tra le due valutazioni della personalità potrebbe forse essere almeno in parte spiegata dalla mancanza di stabilità che caratterizza le due fasce d’età considerate.

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