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Il ruolo dell’intelligenza emotiva nella professione medica: l’abilità di comprendere le emozioni cambia nel corso degli anni?

In un recente studio è stato indagato come i punteggi di intelligenza emotiva ed empatia di medici in formazione variano nel corso degli anni di studio

Di Ilaria Loi

Pubblicato il 27 Mar. 2017

L’ intelligenza emotiva sembra ricoprire un ruolo preponderante nel determinare come un medico si approccerà al suo paziente: un medico emotivamente capace, rende il paziente più fiducioso anche verso il trattamento somministrato.

 

L’ intelligenza emotiva viene definita come quell’abilità di riconoscimento e comprensione delle emozioni sia in se stessi che negli altri e di utilizzo di tale consapevolezza nella gestione e nel miglioramento del proprio comportamento e delle relazioni con gli altri.

Salovey & Mayer (1997) affermano che “l’ intelligenza emotiva coinvolge l’abilità di percepire, valutare ed esprimere un’emozione, l’abilità di accedere ai sentimenti e/o crearli quando facilitano i pensieri, l’abilità di capire l’emozione e la conoscenza emotiva, l’abilità di regolare le emozioni per promuovere la crescita emotiva ed intellettuale”. In tal senso, l’ intelligenza emotiva si compone di una parte di valutazione ed espressione delle emozioni, una parte di regolazione ed una parte di vero e proprio utilizzo delle stesse.

 

L’ intelligenza emotiva nella professione medica

Questo aspetto dell’intelligenza ricopre così un ruolo preponderante nel determinare, ad esempio, come un medico starà al capezzale di un suo paziente.

Di fronte ad un medico emotivamente disponibile e capace, il paziente si sentirà più fiducioso nei suoi confronti, migliorando così in generale la relazione medico-paziente e anche il grado di aderenza al trattamento somministrato. Sembra, inoltre, che l’ intelligenza emotiva sia in grado di influire anche sulle capacità del medico di far fronte allo stress e di mettere in atto abilità inerenti la resilienza, rendendolo così meno propenso ad esperienze negative quali il burnout, o la sindrome da stress (Weng, 2008).

Attualmente, presso il Centro Medico dell’Università di Loyola (Loyola University Medical Center), sono in corso una serie di studi che hanno lo scopo di capire come sfruttare le abilità di intelligenza emotiva dei medici per poter migliorare in parallelo sia il loro livello di benessere personale sia le modalità di cura dei pazienti.

 

L’ intelligenza emotiva nei pediatri

Ad esempio, in un recente studio pubblicato dal Journal of Contemporary Medical Education, Shahid e collaboratori hanno valutato i livelli di intelligenza emotiva di medici pediatri ancora in formazione, ponendo particolare attenzione a come i diversi punteggi variassero con il progredire degli anni di formazione.

Ciò che è emerso è che, al contrario di quanto rilevato da Chan e collaboratori (2014) con un campione di internisti di ortopedia, i medici, anche se ancora in formazione, sembrerebbero presentare in media livelli di intelligenza emotiva maggiori rispetto a quelli della popolazione generale, per quanto la differenza non sia risultata statisticamente significativa. Più nello specifico, i medici hanno totalizzato in media un punteggio di 110 ad un questionario sull’ intelligenza emotiva (il punteggio medio della popolazione generale è di 100), con valori più alti per quanto riguarda le sottoscale riguardanti il controllo degli impulsi, l’empatia e la responsabilità sociale e valori minori nelle sottoscale sull’assertività, la flessibilità e l’indipendenza.

Nonostante siano già presenti in letteratura numerosi studi riguardanti l’ intelligenza emotiva in ambito medico, la ricerca di Shahid e collaboratori, per la prima volta, ha coinvolto un campione composto dai cosiddetti residents, ovvero quei medici specializzandi ancora in formazione che stanno svolgendo attività di tirocinio all’interno di un ospedale sotto la supervisione di un medico di ruolo. Questo tipo di internato in medicina generalmente ha una durata che va tra i tre e i quattro anni (tre per quello in pediatria, quattro per med-peds, un internato che combina sia pediatria sia medicina interna). Il campione di tale ricerca era così composto da 31 pediatri in formazione e 16 internisti med-peds.

Per quanto riguarda la valutazione quantitativa dell’ intelligenza emotiva, ai partecipanti è stato chiesto di completare il Bar-On Emotional Quotient Inventory, un questionario self-report ben validato e composto da 133 item focalizzati sulla misurazione delle diverse abilità inerenti tale tipologia di intelligenza.

Dalle analisi, confrontando i punteggi in base all’anno di formazione, è emerso come gli internisti al terzo e quarto anno ottenessero punteggi maggiori alle sottoscale relative all’assertività rispetto a quanto non totalizzassero gli studenti al primo e secondo anno. Questo, secondo gli autori, potrebbe essere comprensibile alla luce dell’acquisizione di maggiore conoscenza, di maggiori abilità e di un affinamento della conoscenza di sé che caratterizzerebbe il progredire degli anni di formazione.

D’altra parte, in linea anche con studi precedenti (Neumann et al., 2011), gli autori hanno evidenziato come i punteggi degli internisti al primo e secondo anno per quanto riguarda l’empatia fossero significativamente maggiori rispetto a quelli degli studenti degli anni successivi. Ci si potrebbe quindi chiedere se il grado di assertività di ognuno possa aumentare solo a fronte di una diminuzione dei livelli di empatia.

Al contrario del fattore generale dell’ intelligenza (QI), però, l’ intelligenza emotiva può essere insegnata ed appresa, quindi, secondo quanto affermato da Shahid e collaboratori, la messa in atto di interventi volti al miglioramento della stessa dovrebbe focalizzarsi principalmente sulle aree riguardanti l’indipendenza, l’assertività e l’empatia, con lo scopo di aiutare i medici a divenire sì più assertivi, ma senza che questo infici l’empatia.

A tal proposito, recentemente, i pediatri e gli internisti dell’Università di Loyola sono stati coinvolti in un programma educazionale riguardante il miglioramento delle abilità di intelligenza emotiva e l’analisi dei dati, per quanto ancora provvisoria, sembrerebbe mostrare un miglioramento generale nei livelli di intelligenza emotiva posseduta dai partecipanti, anche a livello del benessere personale e della gestione dello stress.

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