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ACT e trauma: l’uso dell’ACT nei disturbi associati ai traumi e il ruolo centrale della relazione terapeutica – Report dal congresso Mindfulness, Acceptance, Compassion

Report dal Congresso 3G 2017: Mindfulness, Acceptance, Compassion: nuove dimensioni di relazione.

Di Alessia Incerti

Pubblicato il 28 Mar. 2017

I° congresso italiano di confronto tra psicoterapie cognitivo-comportamentali di terza generazione:

Mindfulness, Acceptance, Compassion: nuove dimensioni di relazione

 

Milano, 24 marzo 2017 – ore 9:00

E’ tutto pronto per aprire il collegamento con Russ Harris in diretta dall’Australia. E’ ospite autorevole della prima tavola plenaria dell’ultimo giorno di congresso.

Un congresso che ha visto 450 partecipanti impegnati ad ascoltare le relazioni di 22 esperti.

R. Harris è tra i principali esponenti dell’ Acceptance and Commitment Therapy modello di terapia cognitivo comportamentale di terza ondata, a lui il anche il merito di aver reso semplici i concetti chiave dell’ ACT, permettendone la diffusione in Europa. Tra le  sue numerose pubblicazioni anche testi fruibili anche dai non addetti ai lavori.

Harris dichiara che lo scopo del suo intervento è far riflettere su come, per comprendere i processi coinvolti in questo modello di psicoterapia, sia necessario sperimentare su di sé ciò che viene proposto ai propri clienti. Questo facilita al terapeuta la comprensione della complessità del paziente stesso.

 

ACT: le metafore di Russ Harris

La prima domanda che Harris invita a porci è: “come vediamo noi i nostri pazienti? Sono degli arcobaleni o dei muri sull’autostrada?

Può non essere sempre facile per noi terapeuti riuscire a vedere oltre l’etichetta con la quale il paziente si presenta a noi (“sono un depresso sono sempre stato così”) ma è fondamentale osservare il paziente e guardarlo come una persona da apprezzare e scoprire.

Quando la terapia diviene complessa, è importante prestare attenzione alla trappola “fusione” con il nostro giudizio e non perdere l’atteggiamento compassionevole.

Harris propone una metafora per comprendere gli aspetti della relazione terapeutica nell’ACT.

La metafora delle due montagne:

“Sai che molte persone arrivano in terapia credendo che il terapeuta sia una sorta di essere illuminato, che ha risolto tutti i suoi problemi, e ha messo tutto a posto, ma in realtà non è così. È più come se tu stessi scalando la tua montagna là in fondo e io stessi scalando la mia montagna quaggiù. E da dove sono io, sulla mia montagna, posso vedere cose sulla tua montagna che tu non puoi vedere, come una valanga che sta per cadere, o un sentiero alternativo che puoi imboccare o che non stai utilizzando la tua piccozza in modo efficace. Ma ti prego di non credere che io abbia raggiunto la cima della mia montagna e mi sia seduto e rilassato, a prendermela con calma. Il fatto è che io sto ancora scalando, sto ancora facendo errori e sto ancora imparando da questi. E alla fine, siamo tutti uguali. Siamo tutti scalando la nostra montagna fino al giorno in cui moriremo. Ma il bello è che tu puoi migliorare sempre più nello scalare e imparare sempre più ad apprezzare il viaggio. E questo è il lavoro che faremo qui, si lavora insieme siamo una squadra!”

Harris sottolinea, in questo modo il valore dell’esperienza di condivisione che caratterizza la condizione umana. Tutti, pazienti e terapeuti, possiamo sentirci imprigionati dagli stessi pensieri.

L’ACT è un modello che è a favore della self-disclousure ovvero considera lo svelamento degli stati interni del terapeuta al paziente come una possibilità non una tecnica obbligatoria ma una possibilità per convalidare l’esperienza del paziente: “le cose che succedono nella mia mente di terapeuta succedono anche a te, anche a me che sono il tuo terapeuta può succedere di pensare che non sono bravo a fare le cose. E quando mi svelo in questo modo, il mio paziente mi dice: come ma tu sei un dottore, anche tu hai dei pensieri negativi?”.

Nell’ACT l’accento non è posto pertanto su cosa pensiamo ma su come lo facciamo, con quale sguardo ci rivolgiamo alla nostra esperienza. Vorrei invitare il lettore a seguire questo esercizio proposto da Russ Harris ai partecipanti:

Vorrei tu immaginassi che questo libro rappresenti tutti i tuoi pensieri, sentimenti e ricordi difficili con cui hai lottato per tanto tempo. E mi piacerebbe che tu lo afferrassi forte in modo che io non possa togliertelo. Adesso mi piacerebbe che lo mettessi davanti in modo da non riuscire più a vedermi e che lo avvicinassi così tanto al viso da toccarti quasi il naso. Adesso com’è cercare di avere una conversazione con me, mentre sei completamente dentro nei tuoi pensieri e sentimenti?” (Harris R. 2011).

Questa semplice metafora sintetizza come l’ACT spiega l’emergere della psicopatologia dall’ “evitamento esperenziale”: ossia nelle insieme di strategie che mettiamo in atto con lo scopo di controllare le nostre esperienze interne (pensieri, emozioni, sensazioni o ricordi), siano esse positive o negative, anche mediante comportamenti disfunzionali.

Se osserviamo i comportamenti, le azioni che compiamo nella nostra giornata, notiamo che possiamo classificarle secondo due categorie:

  • Towards ovvero mosse che ci dirigono verso i nostri valori, verso ciò che riteniamo importante per noi;
  • Away ovvero comportamenti che portano lontano da quello che vorremmo essere e avere.

Immagino un bersaglio verso cui scaglio le frecce del mio arco, l’evitamento esperenziale non è una buona risposta alla sofferenza, ci porta a lanciare la freccia fuori dal paglione. Lanciare fuori dal bersaglio, evitare, cercare di controllare i pensieri è parimenti faticoso, come prendere un bel respiro e mirare al bersaglio.

ACT e trauma l uso dell ACT nei disturbi associati ai traumi e il ruolo centrale della relazione terapeutica - Report dal congresso Mindfulness, Acceptance, Compassion 1

Russ Harris paragona la Mindfulness a un coltellino svizzero utile al processo di Accettazione

Sul versante opposto dell’evitamento vi è l’accettazione, guardando le esperienze della nostra vita con occhi benevoli senza giudicarle, senza lo sguardo dell’inquisitore. Ci permetterà di accettare noi stessi con i nostri pensieri e le nostre emozioni e di cogliere il loro valore informativo. Andremo nella direzione dei nostri valori e mireremo al bersaglio!

Ecco alcune domande che Harris ci suggerisce di porre ai nostri pazienti per aiutarli a individuare i propri valori:

  • In quale direzione vuoi andare?
  • Cos’ è importante per te? Quali valori?
  • Quali azioni vuoi fare?
  • Da quale punto vuoi iniziare?
  • Cosa t’ impedisce di andarci ?
  • Quali sono i blocchi?

A noi terapeuti spetta il compito di mostrare al paziente le cose positive che già sta compiendo per dirigersi verso i valori, e di insegnare abilità per sganciarsi dai blocchi.

La Mindfulness è paragonata ad un coltellino svizzero ricco di tanti piccoli strumenti per favorire consapevolezza ed accettazione.

Harris nel suo intervento odierno ci ha fornito riflessioni ed esercizi pratici per relazionarci anche con un paziente maldisposto, con chi è dubbioso circa la terapia e il cambiamento, ci ha indicato come interrompere il dialogo rimuginante, e favorire nei nostri pazienti il  proseguire lungo la rotta delle cose per loro importanti (i valori).

Harris termina il suo intervento, applaudissimo dalla sala, citando Winston Churchill:

 “Il successo è l’abilità di passare di fallimento in fallimento, senza perdere l’entusiasmo”.

Ed io non trovo modo migliore per concludere, volgendo al lettore il medesimo augurio.

 

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Alessia Incerti
Alessia Incerti

Psicologa e Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Harris R (2011). Fare ACT: Una guida pratica per professionisti all’Acceptance and Commitment Therapy. Franco Angeli, Milano.
  • Harris R (2011). La trappola della felicità: come smettere di tormentarsi e iniziare a vivere. Erickson.
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