expand_lessAPRI WIDGET

Un compito della psicologia nello sport

Spesso lo sport si ferma a una forma di addestramento, trasformando così le sue potenzialità educative in una causa d’insicurezza.

Di Guest

Pubblicato il 16 Feb. 2017

Lo sport dedica molte attenzioni allo sviluppo delle qualità fisiche e tecniche e alla prestazione ma, specie a livello giovanile, non impiega tutte le potenzialità di cui potrebbe disporre.

Vincenzo Prunelli

 

Insieme con la famiglia e la scuola, lo sport è una delle tre più potenti agenzie educative, ma non ha sviluppato metodi per formare la persona, e non rispetta i tempi dello sviluppo, che hanno necessità di tipi specifici d’insegnamento.

Vorrebbe raggiungere tutte le potenzialità dello sportivo, ma dice che cosa e come fare, e offre soluzioni uguali per tutti, e così mortifica il talento, che è diverso per ognuno. Crede che lo sviluppo dell’intelligenza dipenda dalla quantità delle conoscenze e non anche dalla libertà di creare e trovare da soli le soluzioni. E immagina che la personalità, il carattere, la capacità critica, l’iniziativa libera, le motivazioni e l’autonomia possano avere uno sviluppo autonomo o, forse, che rappresentino un pericolo per la governabilità.

 

Ciò che va corretto

Occorre cambiare molto. Innanzitutto, non voler formare troppo presto lo sportivo adulto, pronto per un agonismo subito vincente. Sembra un obiettivo legittimo, ma occorre fare alcune considerazioni. Per vincere durante la formazione, occorre prima di tutto non commettere errori, ma un giovane che non sbaglia non tenta il nuovo. Si limita a ripetere ciò che gli è richiesto, tenta di imitare il gesto ideale, quello del campione, e non arriva ai livelli dell’intelligenza dove operano creatività, iniziativa libera, originalità, intuizione e ingegno, le facoltà della mente che impiega il talento.

Spesso lo sport si ferma a una forma di addestramento, e così trasforma le sue potenzialità educative in una causa d’insicurezza. Forma uno sportivo non abituato a gestire da solo ciò che riguarda la propria funzionalità e i propri compiti e non preparato ad amministrarsi da solo, da portare per mano perché non autonomo.

Soffoca le motivazioni che, per il giovane, sono gli stimoli naturali a evolvere e migliorare. Il giovane ha bisogno del riconoscimento dell’adulto, di scoprire sempre nuove capacità per sentirsi più abile, di raggiungere i traguardi adatti alle possibilità di cui dispone e di superare la propria inferiorità nei confronti dell’adulto. Per questo ha bisogno di scoprire e sperimentare le proprie forze, liberare i propri impulsi creativi ed evolutivi, e verificare di poter accedere da solo a nuove abilità.

Lo sport vuole vincere subito, magari senza interessarsi del come e del livello della prestazione. Usa stimoli che aumentano la tensione a spese della lucidità e della padronanza della situazione, ma il compito della formazione è l’adulto che sa impiegare tutti i propri mezzi. Ha fretta, e impiega ciò che è subito utilizzabile per la prestazione, valuta il risultato e non la qualità della prestazione, usa stimoli che sul giovane non hanno effetto e cerca di incrementare il rendimento aumentando le pressioni. Tutto questo significa sostituire il gesto tecnico ancora grezzo del giovane con interventi irruenti e scorretti, e non tentare il nuovo, cioè non giocare per scoprire il talento.

 

I principi e la proposta

Il talento non si manifesta quando l’istruttore chiede esecuzioni difficili o di imitare il gesto del campione. Non è semplicemente una qualità tecnica o un’abilità fisica, ma una qualità personale che si esprime quando la situazione richiede o lascia spazio a soluzioni nuove e impreviste. Non ha senso chiedere al talento di essere più abile in ciò che fanno tutti, ma in ciò che è possibile a lui, e qui occorre andare ai livelli superiori dell’intelligenza.

Quale libertà lasciare? Al bambino basta giocare senza vincoli, perché il gioco lascia tutto lo spazio all’iniziativa libera e alla fantasia. Poco più tardi, quando è il caso di impratichirsi e dare un ordine più logico al gioco, bastano poche regole dentro le quali esercitare tutta la creatività e la fantasia. Il ragazzo, che ormai ha acquisito confidenza con il senso critico e sa impegnarsi in un lavoro, cioè a non operare più soltanto per un piacere del momento, può iniziare la formazione tecnica e fisica vera e propria.

La scoperta e l’uso del talento non sono diversi dall’apprendimento per prove ed errori. Occorre avere la libertà di tentare il nuovo per seguire un’idea o un’intuizione, mentre giocare solo per vincere impone di evitare l’errore, e per questo chiama in causa il ragionamento che è lento, obbliga a scegliere tra varie soluzioni e frena originalità, la creatività, gli automatismi e l’iniziativa immediata, essenziali nei giochi di situazione.

La “normalità” è ciò che si può essere con lo sviluppo completo delle qualità di fisico, intelletto e carattere. Non ha senso, ma soprattutto è diseducativo, chiedere più di quanto ognuno possa dare. Specie nell’infanzia, per esempio, pretendere il gesto perfetto o quello del campione, significa mortificare le motivazioni, la sicurezza di essere adeguati ai compiti e il coraggio per scoprire e sperimentare il proprio talento.

Non si può allenare solo il fisico perché, se non è la mente a gestire le qualità fisiche e tecniche, il rendimento e l’iniziativa, avremo solo un mezzo sportivo.

Infine, la formazione non termina mai, perché lo sportivo vero continua a imparare, evolvere e scoprire qualcosa di sé fino al termine dell’attività.

 

Gli obiettivi e i modi della formazione

I primi obiettivi sono la tutela dei bambini e dei giovani nella pratica dello sport e la proposta di un’educazione che li conduca verso la vita adulta.

Lo sport può essere una potente agenzia educativa, ma richiede una cultura, adeguata a tutti i livelli della pratica sportiva, che sintetizzi le potenzialità dell’educazione e dello sport. O, in altri termini, che formi lo sportivo nella sua globalità, e promuova una pratica in grado di portare ognuno alla completezza sportiva e personale possibile. La psicologia dello sport deve offrire gli strumenti scientifici e operativi a genitori, società calcistiche, istruttori e chiunque abbia un ruolo educativo e formativo nei confronti del bambino e del giovane, affinché sappiano intervenire su eventuali disagi ma, ancora di più, per accompagnare ognuno a completare lo sviluppo possibile, che è la condizione per eliminare qualsiasi disagio.

C’è chi crede che questo tipo di educazione, fondata sulla soddisfazione delle motivazioni e non sull’imposizione di sacrifici e sul castigo per gli errori e le trasgressioni, sia permissiva, ma essa prevede o, anzi, porta all’acquisizione di regole e doveri, la rinuncia a pretese e privilegi e all’impegno per fare la propria parte.

È chiaro che il fine è anche preparare il bambino alla pratica dello sport dell’adulto, ma con un evolvere dell’insegnamento e delle richieste che si adatti ai mezzi e ai caratteri specifici di ogni momento dello sviluppo.

Per portare tutti a un buon livello sarebbe sufficiente evitare gli errori, pur commessi in buona fede, che accadono nella formazione, ma per consentire a ognuno di arrivare a quello possibile alla sua dotazione, occorre creare le condizioni perché ci arrivi da solo. Occorre farlo presto e non solo nello sport, perché la vita adulta inizia nella prima infanzia o, forse meglio, alla nascita, e un brutto inizio può non essere più correggibile. E, specie nello sport, occorre considerare che il talento non si può trasmettere, e che, per non soffocarlo, occorre non sostituirlo con la richiesta di pure esecuzioni o, peggio, con la richiesta di trucchi, furbate o gesti violenti.

Ciò che vogliamo fare si può sintetizzare in un unico obiettivo: formare uno sportivo pronto ad assumere le potenzialità formative dello sport e a trasformarle in tratti stabili del carattere, che significa portare l’allievo a sviluppare tutte le proprie risorse e a utilizzarle in qualsiasi compito e attività.

E La professionalità? Lo sport è un potente strumento educativo, e la professionalità è un modo di proporsi di chi ha raggiunto la maturità personale. Lo sport che obbedisce a precise regole e ne pretende l’osservanza esige che nessuno si possa sottrarre agli impegni che gli spettano, perché allena alla libertà, all’iniziativa, alla cooperazione e alla responsabilità. Allena al coraggio, che non è temerarietà o sprezzo del pericolo, ma non tirarsi indietro di fronte al rischio di sbagliare, accettare un danno personale per un vantaggio collettivo, mettersi a disposizione del compagno in difficoltà anche a rischio di uno svantaggio personale e/o a tentare anche quando potrebbe risultare inutile.

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Lo sport che fa bene ad ogni età: bisogni, esigenze e motivazioni connesse all'attività sportiva nelle diverse fasi di crescita - Immagine: 76948823
Lo sport che fa bene ad ogni età: bisogni, esigenze e motivazioni connesse all’attività sportiva nelle diverse fasi di crescita

Allo sport ci si avvicina a qualsiasi età con motivazioni diverse, è importante così un ambiente sportivo focalizzato sul rispetto degli stadi di sviluppo.

ARTICOLI CORRELATI
Maria Montessori e il suo metodo applicato in tutto il mondo

La vita e l'eredità di Maria Montessori e il suo contributo alla psicologia attraverso l'elaborazione del metodo Montessori

Lev Semënovič Vygotskij

La vita e il lavoro di Lev Semënovič Vygotskij e l'importanza delle sue teorie nel panorama psicologico passato ed attuale

WordPress Ads
cancel