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Quella strana sensazione… Il fenomeno Not Just Right Experience: quale relazione con il Disturbo Ossessivo Compulsivo?

Secondo un recente studio all’aumentare del livello di Not just right experience aumenta anche la gravità dei sintomi del Disturbo Ossessivo Compulsivo

Di Guest

Pubblicato il 12 Feb. 2017

Aggiornato il 11 Apr. 2018 09:36

Il fenomeno Not just right experience (NJRE) viene definito come una sensazione soggettiva, relativa al fatto che un’esperienza venga percepita come “non completamente soddisfacente” o che le cose vengano percepite come “non a posto” e potrebbe avere una relazione con il disturbo ossessivo compulsivo.

Irene Puppi – OPEN SCHOOL Scuola Cognitiva Firenze

 

L’individuo che fa esperienza della Not just right experience si sente spinto ad agire per modificare l’ambiente circostante con lo scopo di diminuire il disagio conseguente a tale sensazione. Il disagio che ne deriva risulterebbe infatti dalla discordanza tra le performance dell’individuo o lo stato reale delle cose, e i propri standard (Mancini, Gangemi, Perdighe & Marini, 2008).

Già nel 1903 Janet nella sua opera “Les obsessions et la psycastènie” parlò di “un senso interno di imperfezione” e descrisse tale esperienza come “la percezione che le azioni compiute non siano realizzate completamente o che non producano un adeguato senso di soddisfazione” (in Pitman, 1987a, p. 226).

 

Not just right experience e disturbo ossessivo-compulsivo

Diversi studi (Coles, Frost, Heimberg & Rhéaume, 2003; Coles, Heimbergh, Frost & Steketee, 2005; Ghisi et al., 2010; Sica et al., 2015) hanno indagato questo fenomeno rilevando una forte associazione tra Not just right experience e i sintomi ossessivo-compulsivi e in alcuni casi individuando un ruolo cruciale della Not just right experience nell’eziologia e mantenimento del Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC).

Pitman (1987b), nella teorizzazione del modello cibernetico, ipotizza lo sviluppo del Disturbo Ossessivo Compulsivo a partire da un disaccordo tra le proprie aspettative (input interni) e le esigenze ambientali. I rituali compulsivi, in tale prospettiva, vengono interpretati come la risposta dell’individuo a tale discrepanza, come un tentativo di diminuire la distanza tra aspettative interne e stimoli esterni.

Tale discrepanza viene sperimentata proprio come una sensazione che le cose non siano esattamente giuste, non siano corrette, non siano just right.

Summerfeldt e colleghi hanno invece ipotizzato alla base del Disturbo Ossessivo Compulsivo la presenza di una sensazione sovrapponibile alla Not just right experience e che loro chiamano “senso d’incompletezza”. Secondo le loro ricerche, vi sono alcune dimensioni sottostanti al Disturbo Ossessivo Compulsivo, quali: l’ansia anticipatoria, la sensibilità al potenziale pericolo e un’esagerata tendenza all’evitamento di questo. Non tutti gli individui però combaciano con questo profilo e spesso alcuni pazienti descrivono piuttosto un senso d’insoddisfazione del loro stato attuale e una spinta a correggere una profonda sensazione di imperfezione.

Sulla base delle ricerche di Rasmussen & Eisen (1992), Summerfeldt e collaboratori (2004) hanno quindi costruito un modello dimensionale del Disturbo Ossessivo Compulsivo. Essi propongono l’esistenza di due dimensioni ortogonali, l’evitamento del pericolo e l’incompletezza, che in combinazione potrebbero essere alla base della maggior parte delle manifestazioni di questo disturbo.

 

Compulsioni, not just right experience e decision making

Il costrutto Not just right experience si ritrova inoltre nelle teorie che, alla base del mantenimento dei comportamenti compulsivi, individuano la presenza di deficit nei meccanismi di stop e di decision making.

Per Wahl e collaboratori (2008), la difficoltà nell’interrompere i comportamenti compulsivi consisterebbe proprio in un problema di decision making, ossia riguardante la decisione se “sia stato fatto abbastanza”. Ad esempio un paziente che si lava le mani compulsivamente non ha dubbi sul fatto di averle lavate e sulla durata dell’azione, ma ha piuttosto il dubbio sul fatto di averle “lavate abbastanza” (Wahl et al., 2008). Secondo questa teoria il termine di un comportamento compulsivo sarebbe perciò preceduto da uno stato soggettivo particolare, un senso di soddisfazione o completezza (una sensazione di “just right”) in cui l’individuo sente di aver completato un’azione e decide di fermarsi.

 

Gravità dei sintomi ossessivo-compulsivi: correlazione con la Not just right experience

Altri dati a favore dell’ipotesi di una stretta associazione tra Not just right experience e Disturbo Ossessivo Compulsivo provengono dagli studi di Leckman e collaboratori (1995) e di Ferrão (2012), secondo i quali la Not just right experience sarebbe associata a una maggior gravità dei sintomi ossessivo-compulsivi.

Coles e collaboratori (2003) rilevarono inoltre una maggior correlazione tra la Not just right experience e alcuni quadri sintomatologici del Disturbo Ossessivo Compulsivo come ad esempio checking, ordering e doubting, e una più debole con washing, obssessing, hoarding e neutralizing.

Oltre a considerare le manifestazioni del Disturbo Ossessivo Compulsivo che mostrano maggiore correlazione con la Not just right experience, sono degne di merito anche quelle che mostrano una correlazione minore ma pur sempre rilevante. Per esempio il washing, potrebbe innescarsi da un tentativo di ridurre la probabilità di un eventuale temuto contagio, oppure da un tentativo di raggiungere una sensazione di “just right” (Feinstein, Faloon, Petkova & Liebowitz, 2003).

Coerentemente a tale ipotesi, il lavoro di Tallis (1996) ipotizzò che proprio il secondo tipo di washing potesse essere più strettamente correlato con la Not just right experience. In conclusione, è possibile che una maggiore precisione nel definire le motivazioni sottostanti la sintomatologia, possa rivelare delle correlazioni più precise tra i vari sintomi del Disturbo Ossessivo Compulsivo e la Not just right experience, nonché aiutare a comprendere  maggiormente l’eterogeneità di questo disturbo (Pietrafesa & Coles, 2009).

Le compulsioni, tipicamente concettualizzate come un tentativo di ridurre l’ansia diminuendo la probabilità di conseguenze minacciose per l’individuo, all’interno di tale cornice teorica vengono perciò ridefinite come un tentativo di diminuire l’ansia derivata dalla Not just right experience. Ad esempio, controllare che gli infissi delle finestre siano chiusi è comunemente ritenuto un comportamento che ha lo scopo di avere la conferma di aver chiuso correttamente le finestre e conseguentemente prevenire un eventuale furto o l’entrata di estranei in casa, ma in realtà la stessa compulsione, potrebbe essere innescata da un desiderio di alleviare una sensazione di disagio dovuta al fatto che in quel momento qualcosa nelle vicinanze non sia “a posto”.

In uno studio del 2005, Coles e colleghi hanno inoltre rilevato che le Not just right experiences possono essere indotte anche sperimentalmente e sono un fenomeno naturale che accade comunemente a tutte le persone, ma ciò che distingue tra pazienti con Disturbo Ossessivo Compulsivo e non, sarebbe la reazione dell’individuo alle esperienze di Not just right (ossia il disagio provato e l’urgenza di fare qualcosa durante l’esperienza, che risulterebbe maggiore nei pazienti con Disturbo Ossessivo Compulsivo).

 

La Ricerca: quale relazione tra Not just right experience e Disturbo Ossessivo Compulsivo

Alla luce di questi studi il presente lavoro di ricerca, sviluppato come tesi di laurea magistrale, si propone di dare un piccolo contributo alla conoscenza del fenomeno della Not just right experience.

Si ipotizza quindi una relazione tra Not just right experience e Disturbo Ossessivo Compulsivo attraverso uno studio di induzione sperimentale e automonitoraggio in un campione di 106 studenti universitari.

In una prima fase sono stati somministrati dei questionari al fine di indagare la prevalenza delle Not just right experiences, alcuni domini psicopatologici (depressione, ansia, worry) e le caratteristiche ossessivo-compulsive. Nelle fasi successive sono state invece analizzate le differenze tra i soggetti nell’esperire tale sensazione, sia in ambito d’induzione sperimentale sia in una situazione naturale.

 

Obiettivi e ipotesi

A partire dai risultati di precedenti ricerche (Coles et al., 2003, 2005), che dimostrerebbero la presenza di una stretta associazione tra il costrutto Not just right experience e il Disturbo Ossessivo Compulsivo rispetto ad altre psicopatologie (ansia, depressione, worry), in questo studio si vuole verificare se:

  • Il costrutto di Not just right experience sia specifico per il Disturbo Ossessivo Compulsivo; si ipotizza perciò di rilevare associazioni positive tra i punteggi ottenuti al NJRE-Q-R e quelli ottenuti ai questionari che indagano le caratteristiche ossessivo compulsive (OCI, OBQ, MPS), e di rilevare associazioni più deboli tra Not just right experience e i test (BAI, BDI-II, PSWQ) che indagano gli altri domini psicopatologici (ansia, depressione, worry,).
  • In ambito d’induzione di laboratorio, gli individui che al NJRE-Q-R hanno riportato un elevato livello di Not just right experience esperiscano maggior disagio e spinta a modificare gli stimoli sperimentali rispetto agli individui con un basso livello di Not just right experience.
  • In una situazione naturale, gli individui con elevata Not just right experience riportano maggior disagio e urgenza di modificare l’ambiente durante un’esperienza di Not just right rispetto a individui con bassa Not just right experience.

 

Metodologia

Partecipanti

Alla ricerca hanno preso parte 106 studenti della Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Padova. Il campione è stato suddiviso in due gruppi sulla base del valore mediano ottenuto alla NJRE Severity Scale che è risultato uguale a 16. I partecipanti che avevano ottenuto un punteggio superiore sono stati inseriti nel gruppo con elevata Not just right experience mentre quelli con un punteggio inferiore nel gruppo con ridotta Not just right experience.

 

Strumenti

Gli strumenti utilizzati nella ricerca sono stati:

  • Una batteria di test composta da:
  1. Beck Anxiety Inventory (BAI; Beck, Epstein, Brown, & Steer, 1988)
  2. Multidimensional Perfectionism Scale (MPS; Hewitt & Flett, 1991, 2004)
  3. Obsessive Beliefs Questionnaire (OBQ; Obsessive Compulsive Cognitions Working Group, 1997)
  4. Obsessive Compulsive Inventory (OCI; Foa, Kozak, Salkovskis, Coles, & Amir, 1998)
  5. NJRE Questionaire-Revised (NJRE-Q-R; Coles et al., 2005)
  6. Beck Depression Inventory (BDI-II;  Beck, Steer & Brown, 1996)
  7. Penn State Worry Questionnaire (PSWQ; Meyer, Miller, Metzger & Borkovec, 1990)
  • Un’intervista creata ad hoc per la ricerca divisa in due parti: la prima parte è composta da domande che indagano le considerazioni dell’individuo rispetto alla batteria di test (lo scopo è di tenere il soggetto all’interno del laboratorio e celare le finalità dell’esperimento); la seconda parte è costituita da alcune domande riguardanti l’induzione di Not just right experience in laboratorio. Le domande, alcune associate ad analogo-visivo, permettono di quantificare alcuni parametri (come l’intensità del disagio, l’urgenza a modificare l’ambiente, la responsabilità percepita), durante la Not just right experience indotta sperimentalmente.
  • Un diario di automonitoraggio da compilare a casa.

 

Procedura:

La ricerca era costituita da tre fasi sperimentali:

  • Compilazione della batteria di test
  • Intervista ed esperimento di induzione di NJRE in laboratorio
  • Compilazione di un diario di automonitoraggio per una settimana

La prima fase sperimentale consisteva nella somministrazione agli studenti della batteria composta dai 7 questionari. Ogni partecipante si è poi presentato in laboratorio nei giorni successivi per sottoporsi all’esperimento. È importante sottolineare come gli studenti all’inizio non fossero a conoscenza di come in realtà si sarebbe svolta la ricerca dopo la fase di compilazione della batteria, ma erano solo stati informati che in laboratorio avrebbero risposto a un’intervista strutturata riguardante le loro impressioni sulla batteria di test. In questa seconda fase, ogni studente è stato fatto accomodare nel laboratorio che, a scopo di ricerca, era stato allestito con particolari stimoli sperimentali (un pennarello sul pavimento, un portapenne rovesciato, due penne incrociate senza tappo, una scrivania storta) potenzialmente in grado di indurre una sensazione di Not just right experience.

Una volta entrato in laboratorio ogni partecipante è stato fatto sedere dalla parte opposta della scrivania rispetto allo sperimentatore per essere sottoposto all’intervista che comprendeva alcune domande rispetto alla batteria di test (lo scopo era di tenere il partecipante all’interno del laboratorio e di celare il reale scopo dell’esperimento). Dopo circa dieci minuti dall’inizio dell’intervista, lo sperimentatore si assentava lasciando il partecipante da solo. Durante questo intervallo di tempo l’individuo era libero di osservare il laboratorio e gli stimoli sperimentali e quindi di spostarli o modificarli nel caso lo infastidissero. Passati due minuti lo sperimentatore rientrava e sottoponeva al partecipante la seconda parte dell’intervista riguardante l’induzione di Not just right experience (ad esempio veniva valutato il grado di disagio indotto dagli stimoli) e gli eventuali comportamenti o modifiche messe in atto. Al termine della seconda parte dell’intervista (della durata di 10 minuti), a ogni partecipante veniva illustrato il vero scopo della ricerca e consegnato un diario di automonitoraggio da compilare nel corsa della settimana successiva (dove inserire le Not just right experiences esperite naturalmente indicandone la durata, l’intensità del disagio e l’urgenza di far qualcosa). Alla fine della settimana di automonitoraggio, i partecipanti riconsegnavano il diario presso il laboratorio.

 

Risultati e Conclusioni

Per quanto riguarda la prima ipotesi, secondo la quale il costrutto Not just right experience è specifico per il Disturbo Ossessivo Compulsivo, i risultati emersi dalle analisi hanno rilevato la presenza di un’associazione tra Not just right experience e Disturbo Ossessivo Compulsivo, anche dopo aver controllato le variabili quali depressione, ansia e worry; infatti all’aumentare del livello di Not just right experience aumenta anche la gravità delle caratteristiche ossessivo-compulsive. In particolar modo sono emerse associazioni più forti con il checking mentre associazioni più deboli con il washing, doubting, ordering e hoarding confermando parzialmente quanto emerso dagli studi di Coles e colleghi (2003). Inoltre è stata riscontrata la presenza di associazioni tra il Not just right experience e ansia, depressione e worry.

Rispetto alla seconda ipotesi, secondo la quale in ambito d’induzione di laboratorio chi ha elevati livelli di Not just right experience esperisce maggior disagio e spinta a modificare gli stimoli sperimentali rispetto a chi ha bassi livelli di Not just right experience, è stato osservato che il 33,98% del campione ha notato la presenza degli stimoli e ha provato una corrispondente sensazione di disagio e fastidio e il 26,21% ha compiuto un’azione per modificare l’ambiente sperimentale. Analizzando la presenza di differenze tra i due gruppi (Alto/Basso Not just right experience), nell’osservazione degli stimoli sperimentali e dei comportamenti emessi, i risultati però non hanno mostrato differenze statisticamente significative. Anche per quanto riguarda le sensazioni associate all’induzione (come ad esempio il grado di disagio provato di fronte agli stimoli che dovevano indurre una Not just right experience o la difficoltà nell’allontanare il pensiero dello stimolo disturbante), indagate mediante la seconda parte dell’intervista, non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra i due gruppi.

Questi risultati possono essere spiegati considerando il ruolo della responsabilità. Molto probabilmente, come osservato da Coles e collaboratori (2005), la responsabilità percepita dall’individuo può moderare la relazione tra Not just right experience e le reazioni associate ad esse (come ad esempio il disagio e l’impulso ad agire). Tale spiegazione è supportata anche dai modelli cognitivo-comportamentali (Salkovskis, 1985; Salkovskis et al., 2000), che affermano come sia proprio la valutazione della responsabilità, in relazione ai pensieri intrusivi, a determinare la reazione associata ad essi. Il campione di studenti ha infatti percepito una scarsa responsabilità durante l’induzione (se si osservano i valori medi del grado di responsabilità percepita durante l’induzione, questi sono molto bassi) dovuta probabilmente al contesto artificiale del laboratorio.

Per quanto riguarda la terza ipotesi, le persone con elevati livelli di Not just right experience hanno riportato valori medi di disagio, urgenza e durata maggiori durante le esperienze di Not just right, rispetto alle persone caratterizzate da bassi livelli di Not just right experience. Inoltre la presenza di questi risultati in un campione non clinico, suggerisce che le esperienze di Not just right siano comuni anche nella popolazione normale e, quindi, esperibili naturalmente nella vita quotidiana (Ghisi et al., 2010).

Dalle analisi dei risultati sono inoltre emerse delle associazioni tra alcuni domini cognitivi del Disturbo Ossessivo Compulsivo e le caratteristiche delle Not just right experiences, e nello specifico tra: la numerosità delle Not just right experiences con “perfezionismo” e “sovrastima del pericolo”; l’urgenza di agire con “perfezionismo”, “responsabilità per danno”, “sovrastima del pericolo” e “fusione pensiero e azione”; e infine il disagio con la “sovrastima del pericolo” e “fusione pensiero e azione”.

In conclusione, è possibile affermare che il fenomeno Not just right experience sia strettamente collegato con le caratteristiche sintomatologiche ossessivo-compulsive, e studi futuri potrebbero includere il fenomeno Not just right experience, all’interno dei fattori di vulnerabilità del Disturbo Ossessivo Compulsivo (Sica et al., 2013, 2015; Taylor et al., 2014). Ulteriori ricerche potrebbero inoltre indagare i substrati neuronali implicati sia nelle compulsioni effettuate per evitare una minaccia, sia in quelle effettuate con lo scopo di raggiungere uno stato di “just right” in quanto, se fossero mediate da differenti substrati, potremo avere importanti ricadute a livello del trattamento farmacologico (Ghisi et al., 2010).

Infine da un punto di vista clinico, la conferma di un ruolo fondamentale del Not just right experience nel Disturbo Ossessivo Compulsivo, metterebbe in discussione le abituali strategie terapeutiche (es. esposizione e prevenzione della risposta, ERP), in quanto proprio nei pazienti con Disturbo Ossessivo Compulsivo e con elevata Not just right experience, si è rilevata una minor risposta a questo tipo di trattamento (Foa, Abramowitz, Franklin & Kozak, 1999; Summerfeldt, 2004).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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